Al Castello di Rivoli è stata inaugurata lo scorso 2 novembre la mostra dedicata al celebre artista egiziano Wael Shawky. Una mostra che – curata da Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria – che tenta di restituire una rilettura su gli avvicendamenti storici che hanno visto lo scontro ideologico dei popoli e delle culture tra l’ Oriente Arabo e l’Occidente Europeo durante il periodo delle Crociate.
Cabaret Crusades è una mostra che ci permette di individuare il messaggio concettuale di Wael Shawky -suddiviso in tre atti temporali (1096-1099, 1099-1145, 1204) – attraverso la ricostruzione di ambientazioni storiche – in bilico tra il teatro e l’action-motion – atte a creare, lungo il percorso espositivo della Manica Lunga, una mappa geografica nella quale inserire negli schermi videoproiezioni di ‘burattini virali e allegorici‘.
Le videoproiezioni si inseriscono in una narrazione metateatrale mentre il pubblico, seduto nelle panchine antistanti agli schermi, osserva una ri-versione della tradizione europea, precisamente siciliana, dell”Opera dei Pupi’. I Paladini – cari all’animazione teatrale dell’Occidente e difensori della Cristianità – vengono sostituiti dall’artista in allegorici e spesso zoomorfi burattini.
Un esempio lo troviamo nel capito terzo della trilogia presentata da Wael Shawky ed intitolata The Secrets of Karbala: burattini in vetro di Murano, sembianze dei personaggi che intrecciano forme umane, animali e memorie di antiche maschere africane; un villaggio che ricostruisce un minareto in un ‘piccolo palcoscenico rialzato‘ con ventisei sculture-burattini immersi in un giardino fatto di piccoli bonsai e che senza dubbio, a mio avviso, evoca – per via delle dimensioni e dell’idea del villaggio in miniatura – una stretta relazione con la struttura tradizionale dei presepi in terracotta del Settecento.

E dalla continuità con la storia, ad esempio, Shawky preleva dalla collezione Lupi di Torino antichi burattini del Settecento, creandone degli altri in ceramica per il video Cabaret Crusades: The Path of Cairo (2010).
Ed è per comprendere meglio la differenza in questa mostra di allestimento bipolare – che presenta da una parte video animati con burattini in movimento e dall’altra burattini inanimati e statici – che riporto la seguente descrizione che propone la curatrice Carolyn Christov-Bakargiev:
‘Mentre l’opera filmica poggia sul concetto di imitazione della vita reale attraverso la simulazione dei movimenti nel tempo con una rapida successione di scene e l’uso di tecniche di registrazione, l’arte dei burattini poggia sul l’universo simbolico di oggetti che sono irreversibilmente inanimati fino a che non vengono manipolati da un burattinaio‘.
Il lavoro di ricerca artistica presentato in questa mostra da Shawky è il frutto di una riflessione nata da uno studio comparativo sulle fonti islamiche medievali di Usama Ibn Munqidh, Ibn al-Qalànisi e dello storico libanese Amin Maalouf (Crociate viste dagli Arabi, 1983).

Concludo con la seguente citazione, una suggestione socio-politica della curatrice Marcella Beccaria:
‘I visitatori vengono trasportati in un passato remoto i cui echi sono però riconoscibili nel nostro instabile presente di guerre mediorientali e nuove incertezze‘.
Add Comment