Nell’autunno del 2019 è uscito un libro particolarmente interessante, edito dalla prestigiosa casa editrice Adelphi e curato da Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortaș, dal titolo Una segreta complicità. Il volume comprende la corrispondenza tra Emil Cioran e Mircea Eliade, che si snoda per più di cinquant’anni. Ed è con Cicortaș, docente di Storia delle tradizioni religiose all’Università di Trento e studioso, in particolare, di Eliade, che ci siamo intrattenuti per una conversazione sul libro che siamo lieti di condividere con i nostri lettori.
Intervista a cura di Maria Rita Montagnani
MRM – Horia Corneliu, tu hai curato molti libri, ma cosa ti ha spinto a curare questo libro di corrispondenza epistolare tra Eliade e Cioran? È stata una scintilla o una “lenta combustione”?
HCC – L’idea è nata nel periodo in cui stavo preparando, insieme a Massimo Carloni, le lettere di Cioran al fratello Aurel, pubblicate nel 2015 da Archinto. L’esistenza del carteggio Eliade-Cioran era nota, ma ad essere pubblicate (in Romania) erano solo le lettere giovanili. Il corpus epistolare era in buona parte inedito, e di fatto lo è tutt’ora, tranne qui in Italia. Per tradurre e pubblicare il carteggio abbiamo lavorato soprattutto su manoscritti. Così, la scintilla iniziale ha provocato poi la lenta combustione: raccogliere il materiale sparso a Chicago, Parigi e in Romania, tradurlo, annotarlo…
MRM – I due personaggi in questione sono due giganti nell’ambito della cultura, pur se in campi diversi, ma cosa li accomuna maggiormente secondo te? E cosa invece li differenzia?
HCC – A uno sguardo superficiale, i due viaggiano su orbite differenti. In primis la loro scrittura, se s’intende non solo lo stile ma anche i generi praticati, le loro professioni, i loro interessi, i loro gusti letterari. Ma li unisce un comune destino, di scrittori romeni in esilio, legati da un sodalizio che risale agli anni Trenta. Allora, da giovani, respiravano lo stesso clima culturale, s’interrogavano su molti problemi e avevano frequentazioni comuni. In parte questo è proseguito a Parigi. Le loro differenze personali sono state uno stimolo, più che un ostacolo, per la loro amicizia, che non ha mai subito incrinature serie.
MRM – È molto emozionante leggere le loro lettere, soprattutto seguirne gli “arabeschi” narrativi che, da pensieri profondi e filosofici, virano improvvisamente al quotidiano, sfiorando l’intimità di ciascuno di essi… Cioran che peso ha avuto sul pensiero di Eliade? E Eliade ha esercitato una qualche influenza su Cioran?
HCC – Nel 1932, quando i due si conobbero, il pensiero di Eliade (che aveva venticinque anni, mentre Cioran ne aveva ventuno) era già formato, almeno nelle sue coordinate fondamentali. Cioran era più giovane di quattro anni – una differenza di età che tenderà a svanire, com’è naturale –, ma nemmeno Eliade e i suoi scritti hanno avuto su di lui un’influenza significativa. Su Cioran, in generale, l’influsso dei contemporanei agisce a livello più personale, costringendolo a reagire, attraverso la scrittura, a qualcosa che lo irritava, non gli tornava o con cui non era d’accordo. In Eliade, invece, i contemporanei (amici compresi) sono spesso presi a prestito per la costruzione di alcuni personaggi delle sue opere narrative e teatrali; vale anche per Cioran, “utilizzato”, ad esempio, nell’opera teatrale Uomini e pietre (Bietti) e nel romanzo La foresta proibita (Jaca Book).
MRM – Dalla corrispondenza si evince la forza e la complessità di due pensieri ma anche la loro grande capacità di abbracciare una dimensione umana, fatta di semplicità, disincantata e persino leggera. Cos’era la fragilità per loro?
HCC – Per l’insonne e apocalittico Cioran, tutto è fragile o potenzialmente tale: la vita, i rapporti umani, l’equilibrio sociale e politico. Per Eliade, che aveva una visione più serena e meno tetra sull’esistenza, è possibile reperire, dietro gli aspetti fragili e precari dell’esistenza, “strutture” che trascendono l’immediato, la storia, le sofferenze personali. Hanno usato entrambi quello strumento fragile che è la scrittura – Cioran negli aforismi, Eliade nella narrativa – come mezzo di riscatto dalla fragilità umana.
MRM – Eliade grande storico delle religioni, saggista, mitografo. Cioran grande moralista e “filosofo”. A parte l’episodio Sorana, del 1933, che emerge anche nel volume, c’è stato qualche altro momento di competizione tra i due amici?
HCC – Non mi risulta. Su quell’episodio, che pure lasciò le sue tracce, i due si fecero poi delle belle risate.
MRM – Come studioso romeno, hai forse un senso di appartenenza con questi due giganti tuoi conterranei?
HCC – I due autori sono, sia pure in modo differente, romeni e universali al contempo, il che a mio avviso li rende interessanti, come scrittori e pensatori, non solo in Occidente.
MRM – Cos’è che può attrarre in Cioran nonostante la sua natura forastica e dedita all’isolamento volontario?
HCC – Le opere di Cioran e il mito della vita solitaria nella mansarda parigina – da lui attentamente alimentato –, il rifiuto dei premi letterari, della visibilità mediatica eccetera, hanno indotto molti dei suoi lettori a considerarlo un asociale, un misantropo e probabile misogino. Chi lo ha conosciuto in privato – e anche le sue lettere lo rivelano – scopre invece che il Cioran in carne ed ossa è una persona gentile, generosa, divertente. Questo contrasto è affascinante, non solo sul piano letterario. Cioran ha avuto non solo una compagna paziente e discreta (Simone Boué) fino alla morte, ma anche molte ammiratrici, di tutte le età. Di una, Firedgard Thoma, il settantenne Cioran si è anche innamorato, come un adolescente! Chi, leggendo i suoi libri, l’avrebbe mai immaginato?
MRM – E di Eliade quale ritieni sia il “nucleo pulsante” e più personale del suo pensiero?
HCC – Forse la nostalgia romantica per il paradiso perduto, accessibile tuttavia all’uomo moderno, anche al di fuori delle credenze e tradizioni religiose consacrate, quando siamo in grado di scoprire, dietro l’apparente opacità del mondo profano, la “segnaletica” del sacro.
MRM – A questo proposito, “Il sacro si manifesta sotto qualsiasi forma, anche la più aberrante”, ci dice Eliade. Sei d’accordo, tenendo conto che oggi il legame sacro col mondo sembra essere reciso?
HCC – Purtroppo, oggi come ieri, il sacro è spesso manipolato e strumentalizzato per motivi politici, di dominio e sopraffazione. Il terrorismo di matrice islamica – tanto per fare un esempio – opera non con la dicotomia eliadiana sacro-profano bensì con quella, nota anche in altri contesti religiosi, fedele-infedele. I suoi leader sono apparentemente di segno opposto, ma strutturalmente consimili, a quelli prodotti dalla società capitalistica e globalizzata. Si promuove un “prodotto” – mondano o extramondano – in grado di appagare determinati desideri. Grazie ai mezzi di comunicazione possiamo conoscere in tempo reale molti di questi aspetti “aberranti” di cui parla Eliade, nelle religioni, nelle sette religiose o nei movimenti politici che si richiamano a valori (reali o presunti) religiosi. Le “aberrazioni” non sono però un’invenzione recente, anzi la loro manifestazione sembra inevitabile. Ma forse il nostro sacro legame col mondo è oggi minacciato dalla situazione ambientale del nostro pianeta, sempre più simile a un’enorme pattumiera. Anzi, siamo riusciti a produrre spazzatura persino nello spazio cosmico. Ecco, questo pone un problema anche sul piano spirituale o religioso.
MRM – Cioran invece ci parla dell’ “inconveniente di essere nati”. In cosa consiste, secondo te?
HCC – È la nota posizione gnostica, che Cioran fa sua, secondo cui è preferibile non essere che essere: l’essere, l’esistere, come recita un altro libro cioraniano, è una Caduta nel tempo, un “declassamento” che ci allontana dall’Assoluto.
MRM – Ma alla fine, questa “segreta complicità” tra giganti, è anche una segreta simmetria tra uomini?
HCC – C’è un brano molto suggestivo di una lettera del 1969 di Eliade a Cioran. Eliade, che aveva appena ricevuto e letto a Chicago Le mauvais démiurge, scrivendo subito a Cioran, gli dice:
“Mi piace immensamente, soprattutto quando teologizzi – e se il cristianesimo non fosse al punto in cui è ora, ti darei perfino ragione. Che bello sarebbe stato se l’Aquinate o Lutero ti avessero potuto leggere! Loro sì che avrebbero davvero provato paura… In ogni caso, non posso impedirmi di notare questo simbolico «parallelismo»: due romeni della «giovane generazione», gettati dalla sorte in Occidente, elaborano simultaneamente, l’uno, la più precisa autopsia del cristianesimo, e l’altro, il tentativo più disperato di riattualizzarlo attraverso la «storia comparata delle religioni». Forse sarà così che entreremo tutt’e due nella Storia della Chiesa!…”
Ecco, non sappiamo se entreranno tutt’e due nella Storia della Chiesa, ma sappiamo che sono “voci” di primo ordine che il Novecento ci ha donato.
Maria Rita Montagnani
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