Per il ciclo di interviste a cura di Maria Rita Montagnani, è il turno di Franz Krauspenhaar, italiano nonostante il nome, milanese pentito, un artista poliedrico (sperimenta anche in musica) ma soprattutto romanziere e poeta. Un uomo e uno scrittore da scoprire in tutte le sue sfaccettature, autore di dieci romanzi che in comune hanno, sostanzialmente, una scrittura proprio sua- un marchio di fabbrica- asciutta e allo stesso tempo piena di molteplici sapori e significati, ma non nei temi, o nei generi,come li vogliamo chiamare. Ama sperimentare e creare da dove si è fermato, passando dal romanzo epistolare, al memoir familiare, al noir esistenziale, alla cosiddetta autofiction, al distopico tropicalista. Eccovi Franz Krauspenhaar in tutto il suo essere rigoroso e, soprattutto, senza peli sulla lingua.
Intervista a cura di Maria Rita Montagnani
MRM- Francesco, tu hai pubblicato una ventina di libri, tra romanzi, poesie e saggi, ma precedentemente hai lavorato nel settore commerciale. Quando e come hai avuto la consapevolezza di essere uno scrittore?
FK-Scrivo da quando andavo alle elementari, ho continuato a scrivere per anni e anni, in solitudine, ogni tanto facevo leggere qualcosa a poche persone; ma la consapevolezza l’ho avuta a quasi quarant’anni, quando ho capito che potevo essere un professionista. Che non vuol dire vivere di scrittura, dei propri libri, ma avere la capacità e l’approccio “da professionista”, che è una cosa molto diversa. In altre parole significa non solo talento, ma passione, e anche rigore, esperienza, forza d’animo, serietà.
MRM-Si inizia a scrivere perché…
Per noia, infelicità, inquietudine?
FK-Per quanto mi riguarda per passione. Ma la passione va esercitata, magari in modo caotico, senza scuole. Ti butti e cerchi di stare a galla, finché non impari a nuotare. E se lo fai da solo secondo me è meglio.
MRM- lo scrittore più “libero” è in realtà sempre prigioniero di qualcosa. È vero che ognuno ha le sue “prigioni” invisibili?
FK- È prigioniero della sua libertà, che spesso è figlia di una certa propensione alla ribellione. Ti ribelli al marcio che vedi e senti fin da piccolo, ti ribelli allo squallore dell’ipocrisia e della ruffianaggine a cui assisti impotente fin dalle elementari. È prigioniero di una certa educazione – nonostante certi momenti d’ira tutt’altro che eleganti- che spesso gli sarà di ostacolo.

MRM-Che rapporto hai (se ce l’hai) col divino?
FK- Ho dei buoni rapporti, al momento. Sono di educazione cattolica, ma sono passato per lunghi anni attraverso l’agnosticismo. Ora spero di poter credere. Certamente guardo in alto, come posso; non sono ateo, anzi una certa sicumera dell’ ateo, come d’altra parte del credente ai limiti dell’ossessione, mi indispongono. Ma qui il discorso diventerebbe lungo. Diciamo che tra un noto filosofo o psicoanalista ateo, benché di grande valore, e Bergoglio, io tendo a dare maggior retta a quest’ultimo. Anche perché amo appassionatamente la sintesi…
MRM-Cosa possiede uno scrittore rispetto all’uomo comune?
FK- Un talento, uno dei tanti che ci sono su questa terra. Ma deve fare sul serio per resistere alle mille difficoltà. Come per l’uomo comune, in sostanza.
MRM- Hai mai avuto dubbi su te stesso?
FK- Certo, i dubbi credo siano di tutti. Ho fatto anche molto altro oltre a scrivere, sono cresciuto in strada nonostante l’estrazione borghese, mi sono spesso chiesto il senso di tutto. Ho sofferto di depressione, ne sono uscito, ma dubbi veri e propri sulla mia natura non credo di averne mai avuti.
MRM- Uno o più motivi per cui non tutti dovrebbero scrivere. Oggi poi assistiamo al nascere di una miriade di scuole di scrittura. Cosa ne pensi?
FK- Non ne penso bene. Ovviamente non è giusto generalizzare, ma la scuola di scrittura cozza contro la mia biografia di scrittore e anche di uomo. Scrivere e leggere tantissimo, questa è stata la mia scuola. Perlopiù queste scuole servono a costruire delle camarille, e degli scrittori molto somiglianti tra loro; si può fare il vago paragone con le Accademie artistiche. Ma nella scrittura siamo ancora al Far West: devi pagare, e salato, e fare “l’allievo”, che per me, nella letteratura, è una cosa umiliante. Poi ci sono un sacco di improvvisati, di imbroglioni con una gran faccia tosta, magari con due pubblicazioni all’attivo, non certo di peso. Un pomeriggio di tanti anni fa un conoscente scrittore mi presentò un suo amico, un “insegnante di scrittura” che non aveva mai pubblicato niente. Diversamente, se hai un po’ di successo,- a parte questo racconto grottesco,- apri la tua scuola. E diventi una specie di guru in sedicesimi. C’è ancora questa favola girevole che in fondo scrivere è più facile che suonare il pianoforte, per dire. Basta un computer. E allora questi illusi credono di imparare a scrivere allo stesso modo, grazie al ”maestro”. Sono degli “appianificati ”, soprattutto quelli delle scuole prestigiose, belli e pronti per le major, quando va bene. Con le dovute eccezioni, siamo sempre al racconto del proprio ombelico. E poi le relazioni. Nelle scuole si stabiliscono legami utili. Ma non siamo a Oxford, unfortunately per loro.
MRM- Un romanzo di un classico che ha segnato la tua via o illuminato il tuo cammino.
FK- A rullo compressore, dico Luce d’agosto, di William Faulkner, la trilogia narrativa di Samuel Beckett, tutto il teatro di Harold Pinter, Primavera nera, di Henry Miller, Il dottor Faustus, di Thomas Mann, La pelle, di Curzio Malaparte, Il disprezzo, di Alberto Moravia, La cognizione del dolore, di Carlo Emilio Gadda, tutta l’opera narrativa di Giovanni Testori, Le ceneri di Gramsci, di Pier Paolo Pasolini. Ma ce ne sono molti altri.
MRM- Se il poeta è “un fingitore”, quanto c’è di tuo in ciò che scrivi?
FK- Spesso molto, anche se c’è chi dice che io racconto, in prosa e in poesia soprattutto, la mia vita, nemmeno scrivessi una specie di diario. Questo mi fa incazzare. Il poeta è un prestigiatore, un illusionista, anzi. Mai avuto un diario, che io sappia…
MRM- Se tu avessi la possibilità di esaudire un tuo desiderio, cosa sceglieresti di realizzare?
FK- Una vita davvero serena, magari anche felice.
MRM-“Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più, ma si è visto”, dice Daumal, tu in che fase sei? Ritieni di aver visto?
FK-A 61 anni, se hai un po’ d’intelligenza, hai visto e capito. Non certo tutto, ma ciò che ancora ti può servire. Se trent’anni fa avessi avuto questa “testa” sarebbe andata meglio con tutto? Forse: perché c’è il mondo e la fortuna, gli altri. Ma non mi lamento. Sono pieno di energia e di entusiasmo. Detesto chi si lamenta senza un briciolo di giustificazione.
MRM- Potrebbe essere che lo scrittore più prolifico sia quello che non ha niente da dire perché tutto inventa? Non necessariamente sarà un “cronista”…
FK- Balzac era di una prolificità senza eguali, non poteva materialmente fare tutte le esperienze e conoscere tutti i “tipi” di ogni classe sociale che ha descritto nei suoi numerosi romanzi. Dunque lo scrittore può essere prolifico ed essere credibile senza per questo provare di persona tutto. Anzi. Lo scrittore vero vede attraverso, immagina e intuisce. È un illusionista ma anche una specie di veggente.
MRM- Le cose che ti hanno fatto più male nella vita.
FK-La morte del mio fratello minore, e anche dei miei genitori.
MRM- La giornata tipo di uno scrittore.
FK- Avevo la giornata tipo quando lavoravo come venditore e compratore per varie aziende, esperienze che mi hanno notevolmente formato. Per lavoro ho viaggiato molto.
Oggi consumo una leggera colazione, faccio esercizio fisico a casa o qualche chilometro di camminata veloce, faccio la spesa con mio fratello, ritorno a casa, mi riposo un poco, leggo, sbrigo la corrispondenza e poi siamo all’ora di pranzo. Nel pomeriggio lavoro a delle mie consulenze commerciali che ho mantenuto, e se mi si accende la lampadina scrivo; vado avanti col libro che sto scrivendo, e ne ho sempre uno in lavorazione. Poca vita sociale, il covid ci ha dato una stangata, ma sto recuperando.
MRM- Sei più domestico o forastico? E la solitudine ti è nemica o compagna?
FK- Attualmente più domestico. La solitudine mi è nemica se non ho niente da fare. La solitudine totale non è per me. Mi piace condividere, che sia mio fratello, una donna alla quale mi sono affezionato, un amico.
MRM- Come stabilisci se il libro che hai scritto è un buon libro o no?
FK-Non lo so di preciso. Scrivendo, credo. Se a un certo punto molli il colpo, la cosa non andava. Mi è capitato varie volte.
MRM- Cos’è che pesa maggiormente per te, il passato, il presente o il futuro?
FK- Il passato, perché non passa mai, nel bene e nel male.
MRM- Quanto la malinconia o i momenti bui sono utili ad uno scrittore?
FK-Uno scrittore felice lo devo ancora conoscere. Ma forse ci sono. I momenti bui li puoi proprio riscattare con la letteratura, ma non devi nasconderti dietro un dito. Ecco perché scrivere seriamente è difficile, perché devi farti i conti in tasca di continuo, se vuoi fare bene.
MRM- L’ultima volta in cui sei rimasto senza parole.
FK- Sinceramente non lo ricordo. Sono abbastanza chiacchierone.
MRM- Dato il tuo cognome – Krauspenhaar – quanto c’è di tedesco in te e quanto di italiano?
FK- Di tedesco c’è una certa serietà e puntualità e diciamo così romanticismo, ma a volte so essere sgradevole e tagliente. Sono molto tenace, ma devo credere in quello che faccio. Di italiano l’amore per l’umorismo, un certo senso estetico, l’amore per le donne (mai volgare) l’amore per una dolcezza che purtroppo sì sta perdendo. A Milano, dove sono nato e vivo, te la puoi scordare. È diventata una città totalmente disumana.
MRM- “Un tale, che non gradiva il genere umano e che tutti scansavano, s’infilava nei vicoli per sfuggire a”…puoi finire la storia?
FK-per sfuggire a una donna travestita da topo che non gli lasciava tregua perché più lui si negava, più lei si appassionava. Ma lui, che voleva solo vivere e morire da solo, riuscendo a fuggire per l’ennesima volta dalle grinfie di quella stalker, decise che quella brutta partita l’avrebbe chiusa subito. Entro’ nell’ultimo vicolo, che sbuca sul ponte sul fiume, e senza esitazioni si tuffò’ di sotto.
MRM- Tre parole per definire il tuo lavoro.
FK- Appassionante. Duro. Salvifico.
MRM- Nella letteratura, sono più le cose che uno scrittore svela o quelle che nasconde?
FK- Forse si fa una bella crema dei due ingredienti.
MRM- insomma, alla fine, ne è valsa la pena di…
FK- Vivere, scrivere, voler bene a certe persone, credere ancora nel futuro.
Maria Rita Montagnani