- Quanto è cambiato rispetto a quegli anni accesi? Cosa abbiamo capito? A cosa sono servite le rivolte studentesche, le sommosse popolari e le rivoluzioni culturali? A nulla. Gianbattista Vico aveva ragione nel parlare di corsi e ricorsi della storia. Anche se in epoche diverse, capita spesso di ripetere i medesimi errori. Se è vero che sbagliare è umano, noi siamo davvero diabolici.
Nessun periodo poteva essere più indicato di questo, per l’uscita de Il processo dei 7 di Chicago, il film scritto e diretto da Aaron Sorkin, con il supporto di Steven Spielberg. La storia realmente accaduta, è ambientata nell’America del ‘68 e gira intorno a sette attivisti contro la Guerra del Vietnam, che furono processati con l’accusa di cospirazione e incitamento alla sommossa, durante le proteste scoppiate nel corso della Convention democratica di Chicago. Era il 28 agosto di quell’anno infuocato: scontri tra manifestanti e polizia, violenze subite, violenze inflitte, abuso di potere con l’utilizzo di armi, lacrimogeni e manganelli.
Al di là del fascino provocatorio e accattivante che hanno i protagonisti della vicenda, al di là della loro capacità di conquistare il pubblico, che inevitabilmente tifa per loro durante il processo, quello che suscita rabbia, disgusto e forti emozioni, è l’approccio a certe tematiche: la mancanza di rispetto per la persona umana, la brutalità manifestata dalle forze dell’ordine, la negazione di diritti basilari come la libertà di parola e di espressione, la privazione ad essere difesi da un avvocato durante un processo, il razzismo e i pregiudizi di un giudice che dovrebbe farsi portavoce di una giustizia (purtroppo inesistente), l’accanirsi verso qualcuno e considerarlo privo di cultura solamente per il suo colore della pelle.
Sembrano tematiche antiche, superate e desuete. Eppure, sono ancora molto attuali. Lo dimostrano l’uccisione di George Floyd il 25 maggio 2020 nella città di Minneapolis, in Minnesota, e la morte di Stefano Cucchi il 22 ottobre 2009 in carcere a Roma. L’incitamento alla violenza da parte di Trump non è sicuramente da meno: dimostra che la contrapposizione tipicamente americana tra il senso di difesa nazionale da parte dei militari e la libertà individuale dei civili, è ancora molto forte. Il razzismo verso gli uomini di colore non è ancora tramontato, così come il senso di rabbia e d’impotenza delle vittime.
Questa pellicola, come genere e come impatto emotivo, richiama molto il film “Codice d’onore” uscito nel 1992 e scritto dallo stesso Aaron Sorkin. Tuttavia, ne “Il processo dei 7 di Chicago” anche hippies e fricchettoni, in preda agli effetti delle droghe leggere, hanno un ruolo predominante, così come studenti e intellettuali, con le loro idee politiche e culturali. Non vogliono la guerra nel Vietnam, né la violenza che ne consegue. Reclamano la pace e l’amore.
Questo lungometraggio lancia un messaggio. Vuole comunicare qualcosa. Il motto dei manifestanti, ripetuto più volte a gran voce durante il film è: “Tutto il mondo ci guarda! Tutto il mondo ci guarda!”. Eppure, probabilmente è finito il tempo di guardare. Occorre agire, fare qualcosa, muoversi per evitare certe tragedie anche nel quotidiano. Basta, stare a guardare!
Adelaide De Martino
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