Che senso ha ormai scioperare se quasi nessuno ha un contratto tale da averne ancora diritto e se nessuna ideologia sostiene più chi ancora può farlo?
Un po’ per tutti, i ricordi degli scioperi sono legati al periodo delle scuole superiori. Quando arrivavi davanti all’ingresso e trovavi gli altri studenti asserragliati. E il tuo volto si illuminava. L’alleggerimento della mattina, una visione che ti toglieva il peso di un nuovo inizio di giornata. Il pensiero di entrare dentro, sistemarsi scomodamente seduti a un banco, tra quattro mura, con l’aria pesante per i troppi respiri assemblati insieme e le luci al neon che ti accecano la vista, ad un tratto svaniva. Oggi sciopero, chi vuole fa festa. I motivi?! Boh. Alle volte le ragioni erano davvero insulse. Scioperiamo perché la palestra non è abbastanza riscaldata. Perché i distributori di bevande e merendine non sono ben riforniti. Perché le finestre dei bagni non si chiudono bene. Allora, era solo un’occasione per andare a giro senza meta, al forno a comprare la schiacciata con lo zaino pesante sulle spalle. Altre volte invece i motivi c’erano. Una morte sul lavoro, soprattutto nelle cittadine industriali. La cassaintegrazione. La riforma scolastica. Le bombe americane. In questi casi, la faccenda si faceva più seria. C’erano i ragazzini con la kefiah al collo e i pantaloni sdruciti col cavallo basso che davano i volantini. E c’era pure la manifestazione. Ti ritrovavi in piazza e partivi in branco, più siamo meglio è, con cori e striscioni. Che poi, se vivi in provincia, chi vuoi che la consideri la tua piccola manifestazione. Fa niente, oggi siamo politicamente impegnati e non entreremo a scaldare un banco. “Sono a conoscenza dell’assenza di mio figlio” dovevi scrivere nella giustificazione per il giorno dopo. Non si è mai capito come mai quei due o tre crumiri che entravano a tutti i costi c’erano sempre, così i professori potevano pure andare avanti con il programma. Mah.
Bei ricordi. E oggi, che senso ha scioperare?
In ambito scolastico ce ne sono ancora parecchi, ma non sono tanto gli studenti quanto il personale docente ad aderire. Una media di un paio al mese. I motivi? Boh. Ti danno un foglio da firmare perché ci sta che a tuo figlio non siano garantite le lezioni e neppure la mensa. Provi allora a chiedere alla maestra che intenzioni abbia. “Vediamo, io non vorrei scioperare, ma se le maestre di mio figlio lo fanno…”. Ah, ok. È lì che capisci che uno strumento di contestazione duramente conquistato dai lavoratori non ha più senso. Nessuna ideologia lo sorregge, nessuna reale convinzione. Scioperiamo di lunedì o venerdì, così ci attacchiamo al weekend. Sarà il disfattismo che imperversa nella nostra epoca, chissà. Tanto tu, dal basso della tua Partita IVA, questo diritto non lo avrai mai. Altro motivo per cui lo sciopero ha perso il suo valore. Quasi nessuno, infatti, gode di condizioni contrattuali che gli permettano di scioperare.
Un fenomeno, lo sciopero, tipico dell’era industriale. Un diritto conquistato in America nei primi decenni del 1800, poi esportato in Europa e anche in Italia a fine secolo. Pare che persino nell’antico Egitto scioperassero. Oggi, gli unici scioperi che riescono ad avere ancora un’eco sono quelli dei trasporti o quelli degli operai che occupano i tetti. Ma, di fatto, non è che queste manifestazioni portino a grandi conquiste. Le aziende chiudono, la produzione viene dislocata ad est perché la manodopera costa meno. Uber soppianterà i tassisti, Alitalia non si riprenderà. E la marijuana non è ancora legale nonostante i digiuni di Pannella. I processi sono questi. Inarrestabili.
Forse la piazza non funziona più. Servono altre forme di protesta. Restano i ricordi, vissuti o meno. Delle fiumane di persone alle manifestazioni, quando ancora avevano senso. Dei celerini in assetto antisommossa con i ragazzi con le mani alzate davanti. I fumogeni, i jambé, le risate. Oggi sciopero, niente scuola.
Alessandra De Bianchi
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