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Rinascimento psichedelico #5: Come cambiare la tua mente

Da MYR di Chiara Francesca Rizzuti, 2022

Stiamo giungendo verso il termine della rubrica.

Nel corso di questi incontri virtuali abbiamo visto come le sostanze psicoattive abbiano navigato tra i media e per le strade, esplodendo tra gli anni ’60 e ’70 e di come stiano tornando in auge nella cultura mainstream contemporanea.

Molto del boom odierno è dovuto a tutti gli studi sotterranei condotti durante il proibizionismo serrato dagli anni ’80 fino ad oggi.

Possiamo far partire questa storia da Rick Doblin e MAPS, associazione multidisciplinare no profit statunitense, che si occupa di fare divulgazione scientifica intorno agli psichedelici. Fondata nel 1986 da Rick Doblin, ha sede a San Jose, in California. Nella terza puntata del già citato documentario, Come cambiare la tua mente, basato sul best seller omonimo di Michael Pollan, viene approfondita l’MDMA: un anno dopo essere stata resa illegale dalla FDA, Doblin fonda MAPS con l’obiettivo di dimostrare al mondo, ma soprattutto al governo degli Stati Uniti, che gli psichedelici possono essere un trattamento efficace per il disturbo da stress post-traumatico.

Rick Doblin

Per parlare di depressione, ci spostiamo invece in Gran Bretagna, dove all’Imperial College di Londra troviamo uno studio molto più che promettente del professor Robin Carhart-Harris che si sta occupando di capire come funzioni la psilocibina in relazione a pazienti con disturbi depressivi clinici gravi.

Nella seconda puntata della docuserie di Netflix, la psilocibina, come tutte le sostanze psicoattive in generale, viene vista come una strada da percorrere per trattare condizioni mentali gravi e non, anche se non è ovviamente una bacchetta magica.

Il dato rilevante della ricerca di Carhart-Harris è analizzare la cosiddetta DMN (Default Mode Network) in fasi depressive e sotto o post trattamenti a base di psilocibina. Nelle neuroscienze, questo sistema della condizione di default è una rete cerebrale di grande scala di regioni interagenti, note per avere attività altamente correlate tra loro, distinte da quelle di altre reti del cervello. La ricerca dell’Imperial College sembrerebbe dimostrare quanto in fasi depressive questa regione – che potrebbe essere ricondotta al concetto di “ego” in psicologia – sia in qualche modo concentrata su di sé, con un’attività piuttosto notevole. Con l’aiuto della psilocobina, o di sessioni di meditazione avanzate, questa attività viene depotenziata e allentata.

In qualche modo, è come se la depressione fosse una sorta di continuo e ripetitivo pensiero unico ricurvo su sé stesso, e la psilocibina, o la meditazione, riuscisse a sciogliere questo nodo.

Nel corso della puntata, viene inoltre ricordato, da Pollan stesso, quanto gli psichedelici in generale e soprattutto la psilocibina consentano alla rete neurale di creare percorsi di pensiero nuovi, permettendoci quindi di analizzare situazioni e condizioni personali con una luce differente.

Connessioni neurali sotto placebo e sotto psilocibina

In Italia è stata fondata da pochissimo MAPS Italia, grazie a Federico di Vita, di cui è possibile seguire il lavoro sul canale YouTube, dove sono caricate le presentazioni del team e il convegno presentato a Modena dall’Associazione Luca Coscioni.

Rimaniamo sempre in Italia, citando un paio di poli fondamentali per la divulgazione scientifica e letteraria del panorama psichedelico.

Partiamo intanto dalla SISSC, Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, fondata verso la fine del 1990. La SISSC si propone come sede aggregativa e di diffusione delle informazioni che riguardano il vasto e multidisciplinare campo di ricerca sugli stati di coscienza. Si spazia dalle trance sciamaniche alla neurofisiologia degli stati estatici, dai nuovi movimenti religiosi e filosofici “psichedelici” alla storia del rapporto umano (tradizionale e scientifico) con i vegetali e i composti psicoattivi, dall’etnobotanica alla psicologia dell’estasi. Attraverso convegni, divulgazione online e attività editoriale – ha all’attivo anche una rivista, «Altrove» – mira a contribuire alle conoscenze relative agli stati di coscienza.

Il prossimo numero in uscita della rivista «Altrove»

PSY*CO*RE (the Multidisciplinary Italian Network for PSYchedelic and COnsciousness REsearch, da pronunciare in italiano: PSICORE) è un network, costituito in Italia ma con vocazione internazionale, nato nel 2019. Anche in questo caso, raccoglie tutte quelle realtà che si occupano a vario titolo e con diversi approcci di stati altri di coscienza, con un’attenzione particolare alle finalità di promozione della salute e degli aspetti etici che ne conseguono. Il network, che vuole essere aperto e inclusivo, riunisce ad oggi neuroscienziatə, psicologə, psichiatrə, medicə, filosofə, sociologə, biologə, botanicə, etnobotanicə, chimicə, farmacologə, antropologə, storicə, studiosə e ricercatrici e ricercatori indipendenti e non ma anche praticanti ed espertə di meditazione, tradizioni esoteriche, spiritualità orientale, sportivi, artistiə, editori ed editrici specializzati, tecnicə. La spinta democratica viene dalla consapevolezza che chiunque possa contribuire a completare questo puzzle di esperienze.

Rilevante ogni anno il convegno sugli Stati Generali della Psichedelia, da cui vengono tratti alcuni interventi significativi e una pubblicazione.

Sicuramente quella della via clinica e istituzionale è una strada lunga per la legalizzazione ma, dopo lo smacco della Rivoluzione Psichedelica degli anni ’70, la comunità ha diversi dubbi circa la possibilità che la libera circolazione di queste sostanze possa avvenire dal basso. Chi promuove un approccio per vie “scoperte” ha in qualche modo la fede che questa via apra varchi culturali e sociali che possano fare pressioni sui governi non solo per la legalizzazione delle sostanze, ma anche per la sperimentazione, la ricerca e la terapia. Esempi virtuosi sono l’Australia, che ha da poco legalizzato psilocibina e MDMA per determinate terapie, o alcuni stati degli USA che hanno di recente seguito questo flusso di legalizzazione.

Meme per gentile concessione di @meme_psichedelici

La mia personalissima preoccupazione, che si siede a fianco della mia gioia nel vedere uno spiraglio di luce in questi tempi bui, è molteplice.

È molto più che un bene che queste sostanze vengano utilizzate per persone con condizioni mentali gravi e più o meno invalidanti ma nel 2023, in una società sempre più impari, constatiamo quotidianamente come il ventaglio tra sanità e invalidità mentale sia vasto, variegato e soprattutto fluido.

Dove viene posta quindi l’asticella tra sano e malato? E chi non potrà accedere a questi percorsi? Viene già facilmente precluso l’accesso alle terapie psicanalitiche tradizionali, con personale spesso non qualificato od oberato di lavoro, non oso immaginare i costi insostenibili che queste terapie potrebbero avere – e che già in parte hanno se pensiamo alle sessioni di supporto assistite nei retreats che sembrano quasi resort di lusso che strizzano l’occhio alle narrazioni green, vegan e sostenibili. L’accesso a questo tipo di terapie dovrebbe essere universale e democratico, il mio timore è che sarà l’ennesimo privilegio di un’unica classe che avrà un ulteriore strumento per stare meglio di altrə.

In secondo luogo, la mia preoccupazione verte sull’appropriazione e la capitalizzazione di queste sostanze.

Va ricordato, e approfondiremo nella prossima e ultima puntata, che queste sostanze sono figlie di contesti nativi. In Occidente abbiamo un po’ dimenticato le nostre tradizioni psichedeliche, abbiamo tenuto poche sostanze come alcol e tabacco, le quali però, nel sistema capitalista, hanno amplificato il loro indice di dipendenza, diversamente dalle sostanze psichedeliche in genere. Nonostante questo, ho il timore che per l’ennesima volta nella storia contemporanea ci approprieremo di pratiche, saperi e sostanze estirpate da contesti nativi, senza ovviamente restituire nulla.

In questo senso diventa importantissimo il discorso relativo al peyote e le comunità native locali, che approfondiremo nel prossimo capitolo.

Infine, ciò che mi dà da pensare è anche la decontestualizzazione e una parziale desemantizzazione dell’uso di queste sostanze, della loro storia. LSD, funghi e tartufi, mescalina, MDMA sono potenti strumenti di conoscenza, non solo del mondo ma anche di noi stessə: dovrebbe essere diritto di chiunque aver modo di esplorarsi con quell’approccio giocoso, ludico e ricreativo che possono avere queste sostanze, anche in contesti più underground di cui abbiamo già avuto modo di accennare. Il mio timore è quindi che questo aspetto venga quasi del tutto eroso a favore solamente di quanto già descritto.

Sono ovviamente a favore della loro legalizzazione, non farei divulgazione e non sarebbe la mia materia di studio altrimenti, ma non posso non tenere a mente questi moniti che mi accompagnano nel corso della mia ricerca.

Chi bazzica in questa comunità conosce bene quanto valore abbia lo scambio, il rispetto e la collettività dell’esperienza, se vengono meno queste dinamiche e queste narrazioni, possono diventare l’ennesimo strumento di liberazione per pochi e prigionia per moltə.

Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione culturale, consapevole e strutturata, dobbiamo essere vigili senza perdere la leggerezza.

In quest’ottica va tutto il mio supporto alle persone del Progetto Neutravel, nato a Torino nel 2007, che ha chiuso i battenti dal 1° febbraio di quest’anno, speriamo solo momentaneamente, per via di mancati finanziamenti: una perla nel contesto della riduzione del danno che forniva supporto, informazioni, faceva divulgazione e non solo, analizzava anche sostanze per una maggiore consapevolezza. Insomma, un importante progetto che aiutava nel territorio a fare informazione preparata e consapevole.

*immagine di copertina: Da MYR di Chiara Francesca Rizzuti, 2022

Chiara Francesca Rizzuti

About the author

Chiara Francesca Rizzuti

Cremona, 1991. Studia arte e cinema al DAMS di Bologna e approfondisce gli studi sull’immagine contemporanea al master di Fondazione Fotografia. Attualmente vive ancora a Bologna dove fotografa molto, lavora ancora di più e non studia abbastanza antropologia. Qualche volta scrive.