Tra i maggiori fotografi del ‘900, è stato definito da alcuni un catalogatore, un cinico, un collezionista di volti mondani; altri hanno valorizzato in lui la parte più sensibile alla condizione degli emarginati e alla denuncia sociale; altri ancora lo hanno amato per il rigore e la serietà, il sottile humor e la vivida intelligenza. Richard Avedon è stato tutto questo, e molto altro ancora.
Richard Avedon, pietra miliare della storia del ritratto e della fotografia di moda del ‘900, nasce a New York il 15 maggio 1923, figlio di un immigrato russo. Appassionato di fotografia fin da giovanissimo, inizia la sua carriera non ancora ventenne, quando nel 1942 abbandona gli studi di Filosofia presso la Columbia University e viene assunto nella Marina Mercantile come fotografo assegnato alle autopsie e alle foto d’identità.
Nel 1944 avviene l’incontro decisivo con Alexey Brodovitch, art director di Harper’s Bazaar. Ne nasce una collaborazione duratura con la nota rivista di moda, in cui Avedon crescerà professionalmente fino ad assumere egli stesso il ruolo che era stato di Brodovitch. Nella sua lunga carriera, collaborò anche con altri importanti testate e brand come Vogue, Life, Versace, Revlon, Calvin Klein.
Avedon è il creatore di icone femminili che hanno segnato generazioni di donne; a lui devono la fama grandi modelle, come ad esempio Veruschka e Twiggy. Ormai affermato, Avedon ritrae grandissimi personaggi del suo tempo: Buster Keaton, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Eisenhower, Andy Warhol, i Beatles, Charlie Chaplin, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Henry Kissinger e molti altri (tra i quali, molto più tardi, un giovane Barack Obama). Contribuisce al successo delle testate con le quali collabora grazie ad un efficacissimo dinamismo compositivo, figlio di uno stile visionario e di una grande libertà di pensiero. Rifiuta programmaticamente la distinzione tra la fotografia artistica e quella commerciale, dimostrando come si possano nutrire reciprocamente.
Avedon non si occupa solo di moda; al contrario è uno dei fotografi più eclettici della sua generazione. Nel 1955 pubblica un volume di ritratti, Observations, in cui Brodovitch cura la parte grafica e Truman Capote i testi. Il 22 novembre 1963 ritrae in Times Square una serie di persone che mostrano un giornale con la notizia dell’assassinio di Kennedy. Nei primi anni ’70 pubblica Alice nel paese delle meraviglie, una raccolta nella quale le fotografie hanno un aspetto eccezionalmente teatrale. Questo lavoro rappresenta una svolta stilistica originale e rivela il carattere sperimentale della sua opera.
Nel 1974 espone al MOMA di New York “Jacob Israel Avedon”, una serie di memorabili fotografie sulla lenta morte di suo padre, attirandosi pareri contrastanti di critica e pubblico.
Successivamente la sua attenzione si sposta su minatori, braccianti, disoccupati. La raccolta In the American West, esposta e pubblicata nel 1985, comprende oltre 700 ritratti di gente comune del West americano stampate in gradi dimensioni, ed è considerata una delle principali opere di ritrattistica fotografica del ‘900. Queste foto rivelano profonda attenzione per l’interiorità dei soggetti, alimentata anche da una sensibilità rinnovata a seguito di un’infezione cardiaca che aveva messo a rischio la sua stessa vita. Realizza quindi una serie dedicata ai malati di mente del Louisiana State Hospital. La sua personale posizione contro la guerra del Vietnam lo porta a realizzare servizi sulle vittime del napalm. Avedon ha sempre rifiutato di rappresentare immagini violente, convinto che le immagini di violenza generassero altra violenza; quelle sul Vietnam sono tra le sue pochissime pubblicate.
Teatrale e trasgressivo, Avedon ha un approccio alla fotografia essenziale e minimalista, ma sempre innovativo e appassionato. In tutta la sua opera sottolinea i contrasti tra quiete e moto, tra armonia classica ed espressione caricaturale. Ogni stimolo emozionale e visivo entra in lui per essere elaborato dalla sua forte personalità artistica, dal suo stile e dalla sua originalità. E’ attratto dalla bellezza sfavillante rappresentata in pose sofisticate e al tempo stesso geometricamente essenziali, e contemporaneamente ricerca l’impatto emotivo della quotidianità e il segno del tempo e della tragedia sui volti.
Avedon cerca la complicità dei soggetti che ritrae ed instaura con loro un rapporto di profonda fiducia. Le sue fotografie rivelano, narrano ed entrano nel cuore delle persone rappresentate. Nondimeno, sa mantenere un giusto distacco e una professionalità ineccepibile, alimentata anche dalla convinzione del ruolo di elaborazione della fotografia, luogo che rappresenta sempre lo sguardo del suo autore e mai la realtà:
“Un ritratto non è una somiglianza. Il momento in cui un’emozione o un fatto viene trasformato in una fotografia non è più un fatto in sé e per sè, ma un’opinione. In una fotografia non esistono cose come l’imprecisione. Tutte le fotografie sono esatte. Nessuna di esse è la verità”
La composizione del ritratto di Avedon si caratterizza per la concentrazione esclusiva sul movimento fisico, psicologico ed emotivo del soggetto, espressa visivamente attraverso la rinuncia ad un rapporto articolato con lo spazio circostante. Lo sfondo è spesso un semplice piano bianco.
“Non mi piacciono gli espedienti a base di giochi di luce o pose particolari. Il bianco aiuta a separare il personaggio dal resto. Il grigio invece protegge, abbraccia, riscalda, ti fa emergere dall’ombra alla luce. Racconta un’altra storia. Nel bianco sei solo.”
Una concezione che in qualche modo ricorda la musica di Bach, dove l’eliminazione dei tratti espressivi permette di focalizzarsi sull’essenza della musica, dei rapporti alla base dell’armonia.
Su Avedon è stato detto tutto e il contrario di tutto. Alcuni lo hanno definito un catalogatore, un cinico, un collezionista di volti; altri hanno visto in lui l’interesse per gli ultimi, la denuncia sociale, l’artista vicino agli emarginati; altri ancora lo hanno amato per il suo rigore e la sua serietà, il sottile humor ed l’aristocratico distacco letti come segni di equilibrio e di vivida intelligenza.
Il rapporto di Avedon con la città natale, New York, è viscerale. Metropoli da lui amatissima, lo accoglie nella vita e nelle braccia della morte: Avedon infatti muore per ictus cerebrale nel 2004, proprio mentre stava realizzando per conto del New Yorker un servizio fotografico in vista delle elezioni presidenziali.
Patrizia Genovesi
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