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Ribelli con stile. Gli immaginari delle sottoculture giovanili

Il secondo Novecento è costellato di sottoculture giovanili che, lontano dai circuiti mainstream, hanno fatto dello stile una questione sociale, politica, di appartenenza a un costume e a un modo di pensare diversi da quelli imposti dal loro tempo. Voci di minoranza (outsider, emarginati, bohémiens, devianti sociali, intellettuali borderline, drogati, sovversivi), che hanno saputo creare immaginari collettivi diventati nel tempo esempi di ribellione. Una rivolta non per forza urlata ma autentica, prima che il marketing della moda, decenni dopo, arrivasse a cannibalizzare con i suoi trend setter, riducendo a una costosissima questione di coolness ciò che in molti casi è nato come protesta dal basso.

Ogni tempo e ogni nazione ha la propria quota ribelle, dagli USA all’Europa, passando per l’Asia, l’America del Sud e l’Africa; Paesi in cui oggi, curiosamente, certi stili “occidentali” in voga nei decenni passati, tornano con interpretazioni differenti, basti citare le Gothic Lolita (le “bamboline” dark del Giappone), i Sapeurs (i dandy delle bidonville del Congo), i Rolinga (i fans sfegatati – fuori tempo massimo – dei Rolling Stones in Argentina).

Ma procediamo con ordine e torniamo indietro di qualche tempo, fino ai mitici anni Cinquanta, quando il clima post bellico iniziava a maturare consapevolezze diverse, primi semi di autentici cambiamenti.

Ecco allora qualche esempio significativo delle subculture giovanili negli ultimi 60 anni.

ROCKABILLY (USA, fine anni Cinquanta)

Sotto l’impulso di quella vera rivoluzione che porta il nome di Rock’n’roll, nasce un nuovo stile, ispirato alla sua icona diventata leggenda – il mitico Elvis Presley – e dalla commistione tra il country bianco e il blues nero. Con spirito insolente, i rockabilly (letteralmente “facce da schiaffi”) disconoscono la generazione che ha fatto la guerra per prendere in mano la loro nuova vita fatta di maggiori agi, leggerezze, comodità e libertà. Ciuffi impomatati imponenti, scarpe scamosciate, giacche e pantaloni skinny, per i ragazzi; trucco da pin up, abbigliamento succinto e tatuaggi colorati da maîtresse di luna park, per le ragazze. Se oggi risulta essere una pratica molto diffusa e tutto sommato accettata, il tattoo all’epoca era considerato roba da galeotti e le generazioni più anziane vedevano questa pratica e in generale lo stile rockabilly come una devianza inaccettabile (addirittura il critico Francis Braceland la definì sul New York Times “una malattia tribale di cui sono vittime gli adolescenti”).

ESISTENZIALISTI (Parigi, inizio anni Cinquanta)

Sotto l’egida di Jean Paul Sartre e della sua compagna Simone de Beauvoir, la Parigi dell’epoca cambia il suo volto da intellettuale bohémien, creando proseliti in tutta Europa. Nei caffè della Rive Gauche si riuniscono giovani antiborghesi, a parlare di politica e marxismo, inaugurando una nuova stagione intellettuale che più tardi si svilupperà in modo strutturato nell’anticapitalismo (gran parte delle ribellioni del Maggio Francese e del ’68 furono ispirati da questo movimento). “Né Dio, né padrone”: agnostici e disprezzanti di ogni tipo di benessere (e di ottimismo), vivono di notte, vestono di nero; con dolcevita consunti e aria emaciata si aggirano nelle caves parigine, professando la ribellione intellettuale al sistema dominante.

TEDDY BOYS (Londra, fine anni Cinquanta)

Provenienti dal proletariato inglese, questo gruppo di giovani sfidano i costumi sociali del secondo dopoguerra vestendosi con l’eleganza delle classi borghesi, mixando citazioni stilistiche d’alto rango a tatuaggi, tagli di capelli improbabili, accessori importanti, cravatte originali, calze dai colori impossibili. Stretti nei loro completi, i teddy boys indossano scarpe con suole alte, mentre le teddy girls sfidano l’androginia con vestiti mascolini ispirati ai tempi di Edoardo VII (Teddy è il diminutivo di Edward) ma sapientemente orchestrati con accessori e tocchi femminili. I Teddy Boys sono a tutti gli effetti delle gang: non disdegnano le risse, ascoltano costantemente musica ad alto volume e sono insofferenti alle divise di ogni genere. Un modo per trovare un’alternativa alla grigia prospettiva della classe operaia inglese post-guerra: darsi un tono, un posto nuovo nella società, invertire la scala gerarchica, partendo dallo stile e da ciò che si indossa.

HIPPY (USA, fine anni Sessanta / inizio Settanta)

Conosciuti anche come “figli dei fiori”, gli hippies si contraddistinguono sin da subito per una presa di posizione non violenta (famosi i loro slogan: “peace and love”, “fate l’amore, non la guerra” e via dicendo). Gli hippies sono degli “anticonformisti gentili”, vivono a stretto contatto con la natura e sono paladini di una rivoluzione sessuale che vede la libertà come parametro di vita, da San Francisco (dove sono nati i primi nuclei) fino all’Europa. Lo stile è semplice, easy, il meno possibile artefatto. Capelli lunghi sia per maschi sia per femmine, con fiori ed elementi naturali come accessori e una propensione per l’esoterismo e i misticismi orientali. Non tutti sanno che la cultura hippy trae ispirazione da un altro movimento, nato in Germania nei primi decenni del ‘900: il Lebensreform (Riforma della vita) che in tempi non sospetti sfidò i duri corsetti, gli stivaletti stretti e i completi gessati, promuovendo uno stile di vestire e di vivere più leggero, spontaneo, libero, da condividere nelle comuni in sintonia con la natura e con gli altri uomini.

SKINHEAD (Londra, fine anni Sessanta / inizio Settanta)

Appartenenti alla working class inglese, gli skinheads (teste rasate) odiano gli intellettuali (e gli intellettualismi in genere) e simpatizzano per gli estremismi di destra. Ultranazionalisti, spesso tifosi sfegatati di football, questi giovani si distinguono per uno stile che predilige rasature spinte (anche per le ragazze, generalmente attorno alla nuca con lunghe ciocche ai lati), pantaloni stretti a vita alta, giubbotto stile “bomber” e tatuaggi a vista, sulle mani e sul collo. Gli stivali modello Dr. Martens con la punta in ferro sono comodi sia per ballare a ritmo di musica nei pub e nelle bettole delle periferie industriali, sia per tirare calci nelle risse. Curioso come negli anni lo stile skinhead sia stato adottato in parte anche da gruppi con ideali opposti rispetto ai loro: i redskins (giovani militanti di sinistra) e i punk (che ne mutuano alcune caratteristiche).

PUNK (USA / Inghilterra, metà anni Settanta)

Fomentati da input di controcultura e da una buona dose di paranoia mista a parodia, i punk rappresentano una realtà giovanile che ha espresso al meglio la frustrazione adolescenziale di una generazione che non crede più nei vecchi ideali senza riuscirne a trovare di nuovi. In America – sotto la spinta della programmazione musicale del mitico club CBGB’s e del look psicotico di Iggy Pop e Johnny Thunder –,  così come in Inghilterra – con il nuovo stile di Vivienne Westwood e i Sex Pistols –,  il punk pone le basi di una cultura ambigua, perversa, disillusa. Borchie e collari da cane, slogan anarchici contro il potere costituito, altissime creste sulle teste e un utilizzo poco ortodosso dell’inglesissimo tweed: il punk ha talmente segnato un’epoca che ancora oggi il suo fascino non tende a morire, anche se ormai lo si ritrova qua e là, come una vecchia conoscenza, in improbabili e poco credibili caricature di se stesso.

GLAM (anni Settanta)

Forse una tra le prime sottoculture giovanili a non mettere in primo piano il fattore alfa maschile, il glam ha aperto una coloratissima strada verso lustrini, paillettes e trucchi rigorosamente unisex. Un’isteria baroccheggiante, di matrice rock ma anche pop, basata su abbinamenti tra ambiguità sessuale e immaginari da cartoni animati. Paladini indiscussi di questo stile sono Marc Bolan e David Bowie, con il personaggio alieno e alienato di Ziggy Stardust. Di pari passo a un look siderale, va anche la sperimentazione assidua di nuove sonorità, contaminate da un massiccio uso dell’elettronica e di controvoci.

PANINARI (Italia, inizio anni Ottanta)

Antesignani dei più recenti Yuppies, i Paninari sono un fenomeno prettamente italiano che merita una menzione. Dopo gli oscuri Anni Settanta – contraddistinti dalla linea di terrorismo degli Anni di Piombo – gli Anni Ottanta aprono ai giovani di famiglie benestanti una nuova consapevolezza nel voler esibire il loro stile e le loro possibilità, economiche e culturali. I Paninari non sono dei ribelli nel senso più autoctono del termine, bensì nel modo in cui impongono un nuovo stile di vita nell’Italia post-Sessantotto: il nuovo modello sono i giovani americani di cui copiano le abitudini come, per esempio, mangiare gli hamburger nei fast food (da qui il termine “paninari”), vedere film tipo “Top Gun” e ostentare griffe di ogni genere. Non vogliono più sapere di politica e di ideologia, il loro unico obiettivo è consumare, in perfetta linea con gli anni dell’edonismo reaganiano. Da Milano, culla del movimento, i paninari si espandono in tutta Italia, creando uno stile condiviso nei maggiori centri di tutta la Penisola.

HIP HOP (USA, anni Ottanta)

I neri, gli esclusi della Big Apple, trovano un loro modo unico di espressione e di libertà che intreccia musica e abbigliamento in un connubio originale, identificativo. Piegati dalla miseria e dall’abbandono i giovani del bronx si riuniscono per fare aggregazione e, al tempo stesso, per dire al mondo “anche noi ci siamo”. Con le loro radio da spalla (le leggendarie ghetto blasters), i loro contest di breakdance e freestyle, pongono le basi per una vera e propria cultura che sfocia anche nella street art, incursioni artistiche nella parte ricca della città, una protesta colorata per affermare che il ghetto non può limitare il bisogno di espressione dei giovani di ogni colore.

GOTHIC (Londra, anni Ottanta)

Alcuni lo definiscono lo spin-off dark del punk, ma in realtà il Gothic è stato un movimento ben più articolato che non può essere interpretato solo come una propaggine del punk. Una matrice dark e gotica, per l’appunto, che si rifà a un’estetica para-religiosa e vittoriana, richiamando atmosfere noir da film horror alla Nosferatu. Introspezione, malinconia, sofferenza: i gothic possiedono ed esprimono un animo nero, che mira a produrre un effetto di straniamento dalla realtà alla ricerca di un’integrità che – va sottolineato – è stata molto più duratura dello scanzonato saliscendi del punk. Agli inizi del 2000 una nuova ondata dark ha preso il sopravvento nella generazione dei millennials: gli EMO, una versione soft e un po’ più edulcorata dei padri goths ma allo stesso modo dardeggiante.

SQUATTERS (Berlino, anni Novanta)

La generazione cresciuta a pane e rave, ha dato vita a uno stile giovanile anticonformista, nomade, senza regole. Viaggiatori erranti, gli squatters non hanno meta, viaggiano da soli o in piccoli gruppi con mezzi di ventura, passando da un rave all’altro e occupando gli spazi pubblici o privati che trovano. Inclini all’uso di droghe, spesso sintetiche, non si preoccupano del futuro, ma vivono alla giornata, in cerca di situazioni a loro consone. Lo stile è ibrido, con una forte propensione ai dreadlocks e a vestiti di second mano. Per molti anni il sogno squatters è stato incarnato da Berlino e dalle sue contraddizioni post-caduta del Muro, ma riverberi di ogni sorta ce ne sono stati in tutta Europa. Gli squatters non credono in ideali edificanti, prediligono uno stile di vita “a briglia sciolta”, rinnegando qualsiasi istituzione, dalla famiglia, allo stato, alla religione.

DERIVE MILLENNIALS

Anche i primi anni Duemila hanno visto il fiorire di nuove tendenze: se è prematuro e forse non del tutto pertinennte parlare di sottoculture giovanili (sono più mode e trend che mixano ingredienti diversi di gran parte delle sottoculture sopra citate, più che movimenti con una precisa identità), non si può fare a meno di citare fenomeni come gli Hipster o, più recentemente, la cultura Normcore e New Normal. Il tempo decreterà il suo giudizio, ma una cosa è abbastanza evidente: spesso si tratta di tendenze legate ai trending della moda, operazioni di marketing con un parterre di testimonial e griffe che farebbero invidia ai jet set più istituzionali. La sottocultura, l’anticonformismo e lo stile sono altra cosa.

Serena Vanzaghi

About the author

Serena Vanzaghi

Serena nasce a Milano nel 1984. Dopo gli studi in storia dell'arte, frequenta un biennio specialistico incentrato sulla promozione e l'organizzazione per l'arte contemporanea. Dal 2011 si occupa di comunicazione e progettazione in ambito artistico e culturale.

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