La partnership stretta fra Scozia e Venezia ha dato vita ad uno degli eventi collaterali più interessanti di questa 57esima edizione della Biennale d’Arte di Venezia. Si tratta di Spite Your Face, mediometraggio animato realizzato dalla giovane artista scozzese Rachel Maclean, che rivista la favola di Pinocchio in una veste tanto disturbante quanto attuale.
Spite Your Face è il progetto audiovisivo presentato dal padiglione Scotland + Venice all’interno della programmazione degli eventi collaterali della Biennale di Venezia. Il mediometraggio, visibile presso la Chiesa di Santa Caterina nel sestiere di Cannaregio, avvolge lo spettatore in un loop vorticoso che mette in luce in maniera critica varie questioni della società odierna, prime fra tutte le dinamiche legate all’acquisizione e al mantenimento del potere all’interno del nostro mondo globalizzato.
L’opera, proiettata in un megaschermo al centro della chiesa recentemente sconsacrata, è una reinterpretazione in chiave noir della favola collodiana di Pinocchio, incentrata sul percorso di formazione di un monello che, attraverso varie vicissitudini, diventa un ragazzo maturo. In Spite your face il discorso si fa più complicato: la regista mostra l’ascesi e il declino del giovane protagonista in una sequenza senza inizio e senza fine, un mondo fantastico dove il passato permea nel presente e in cui la redenzione porta alla caduta in un incessante movimento circolare.
Attraverso il personaggio di Pic, un povero ragazzo orfano costretto alla miseria della vita dei bassifondi di un’oscura cittadella medievale che improvvisamente ascende ad un livello di vita “superiore” dove la regola per mantenere il proprio status sociale è la menzogna, la Maclean presenta la parabola di chi è pronto a tutto per ottenere il successo, ribaltando il suo destino al prezzo di ciò gli è più caro: la propria integrità.
Il passaggio dal sudicio, tetro e degradato “mondo di giù” all’ordinato e scintillante “regno di sopra”, una città ideale governata da personaggi manipolatori dalla pelle argentata, avviene grazie all’intervento di un ambiguo personaggio – un misto fra una dea romana, la vergine Maria e la fata turchina – che offre a Pic una bottiglia di una magica lozione chiamata “Truth”. La bottiglia di “verità” sembra istantaneamente guarire le terribili lesioni e i denti cariati del ragazzo, che, in men che si dica, ottiene l’aspetto adatto per essere accolto dalla società dei ricchi e potenti del “regno di sopra”. Tuttavia il suo percorso verso il potere è attraversato da bugie e inganni, che oltre ad aver presa sulle folle, le quali sembrano adorare Pic sempre di più dopo ogni menzogna raccontatagli, hanno anche un impatto sul suo aspetto fisico: ogni volta che mente, il suo naso si allunga. Quando il suo naso raggiunge il massimo dell’estensione, Pic è nel pieno del suo potere e della sua influenza, ma è proprio qui che i nodi vengono al pettine e, in un picco di disperazione, ripiomba nel “mondo di giù”.
Ciò che colpisce dell’opera è il modo in cui la regista combina modi teatrali tradizionali con la nostra cultura popolare, offrendo una potente critica alla retorica politica, basata su un dubbio linguaggio nel quale la nozione di verità viene spesso sfruttata al fine di avanzare interessi e ambizioni personali, e insinuando domande sulla nostra identità, sul nostro modo di connetterci l’uno con l’altro e sulla moralità nel nostro mondo. Insomma, la Maclean porta in superficie tematiche spesso sommerse nel continuo fluire della nostra cultura, affrontando il consumismo aggressivo, le comunicazione vacua e disonesta di chi è al vertice del potere e il comportamento sessualmente predatorio di uomini potenti, tanto per citarne alcune fra le più sentite proprio negli ultimi giorni.
Un altro aspetto degno di nota è la tecnica adottata dalla regista nella costruzione del film. Infatti, la Maclean scrive le proprie sceneggiature, che, in un primo momento, vengono doppiate da attori professionisti, e, successivamente, vengono mimate da lei stessa di fronte alla telecamera, generando uno snervante attrito tra suono e immagine. Come Cindy Sherman, che usa sé stessa nelle sue opere come tela umana per esporre il ruolo ingannevole delle immagini attraverso una vasta gamma di caratterizzazioni inquietanti, la regista si allontana dall’identificabile auto-rappresentazione spiazzando i suoi spettatori.
Inoltre, traendo ispirazione dall’ estetica della pittura italiana del Rinascimento, in particolare usando in maniera suggestiva l’oro e il blu, la Maclean sovrappone senza interruzioni lo sfarzo contemporaneo allo storicismo pittorico in maniera apparentemente bizzarra, ma invece sorprendentemente coerente, specialmente considerando che la proiezione avviene a Venezia, microcosmo architettonico dove sembra che la storia si sia fermata, ma anche sede di un energico consumismo dedito al lusso più smisurato.
Il motto shakespeariano “all that glisters is not gold” (non è tutto ora ciò che luccica) che riecheggia nell’opera, sembra riassumere il senso del progetto della giovane regista (classe 87’), nel quale le nozioni di verità e menzogna vengono magistralmente mescolate, confondendo intenzionalmente lo spettatore su ciò a cui sta assistendo. Infine, c’è da ricordare che l’opera è stata concepita nel Dicembre del 2016, poco dopo la decisione del popolo inglese di uscire dall’Unione Europea e l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Questi contesti politici, caratterizzati da forme semplicistiche e infantili di retorica politica, fanno da sottofondo ad alcune idee centrali di Spite Your Face, che l’artista sviluppa in una satira tagliente ed efficace.
Ginevra Ludovici
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