Impressioni di una durational performance in programma allo Spill Festival di Londra a Brick Lane.

Londra mi accoglie con un insolito caldo e un prevedibile cielo grigio.
Con i suoi prezzi esorbitanti, le strade overcrowded, le sue distanze che ogni volta dimentico.
Suscita in me pensieri tra l’estasiato e il banale, come l’evergreen “Certo che qui a Londra puoi trovare davvero tutto!”. Un mito incrollabile, specie per noi italiani, primi per emigrazione nella metropoli più cara al mondo.
“Dopo esser stati qui, perfino Tokyo sembrerà economica”, mi dice The Gloomy, mia unica compagnia in questo week end, puntando l’accento ancora una volta sul costo eccessivo di qualunque cosa, dai biglietti della metro alla perfetta colazione in stile British che scegliamo per iniziare al meglio il nostro sabato.
La zona è Brick Lane, hipster al punto giusto per non risultare odiosa e artefatta ma attraente, lo ammettiamo, per chi viaggia solitamente sulle frequenze di 280 mila abitanti.
Qualunque cafè è cozy, qualunque viso, look o negozietto vintage mi fa dimenticare il cinismo per un attimo: smetto di storcere il naso, gioisco per il free wi-fi di Star Bucks (una tra le poche certezze al mondo) e mi lascio trasportare di nuovo verso gli anni ’90.Mi lascio sedurre dalla nostalgia insensata per un decennio che non ho davvero vissuto, se non seduta nel salotto di casa a ingurgitare Bim Bum Bam; un decennio in cui l’inglese s’imparava ancora andando “a fare la stagione” a Londra, città dalla quale si tornava tutti un po’ cambiati.
But Here is not the place for Nostalgia…
Questo è il titolo di una delle durational performance che vediamo al Toynbee Hall per la settima edizione dello SPILL/ Festival of Performance; uno spazio polivalente di 3 piani, meno curato e raffinato rispetto agli spazi simili che si possono trovare in giro per il nord europa, ma più esteso, e con un ricco programma di eventi. Ci dà l’idea di un luogo in cui è permesso anche sbagliare.
L’artista britannica Lauren Jane Williams propone una performance ricca, quasi barocca, plurisensoriale e più complessa di quanto potrebbe sembrare a prima vista. In essa coesistono fin troppe dicotomie che l’essere umano non si stanca di indagare: erotismo/pornografia, maschile/femminile (o la più brutale ma meno eteronormativa orifizio/protuberanza), natura/artificio, vita/morte.
Mi immergo nella lettura dell’opera, costringendomi a rimanere pura nello sguardo: come se vedessi per la prima volta ogni singolo segno e come se questi non avessero, automaticamente, un senso da attribuire loro. Mi sforzo, cioè, di non ricercare subito un significante nel mio database di corrispondenze significato-significante, ma di accogliere la visione con ogni libera associazione mentale che essa possa generare in me.
Gli spettatori, invitati ad avvicinarsi e a coinvolgere ogni senso nell’esperienza, dall’olfatto, per via delle vernici oro usate per le minuziose decorazioni, al tatto, che esplora materiali organici, animali e vegetali. L’artista ha creato un piccolo mondo dall’interno del quale si offre allo sguardo dell’audience: un acquario, una gabbia, in cui si muove insieme a un’altra performer.

Si fanno guardare, ignorandoci, laccate e coperte di cera, mentre alle loro spalle un video va avanti.
Una vecchia tv mostra immagini che farebbero pensare alla pornografia, se non fosse che nessun atto viene consumato: niente accade tra quei corpi nudi, umani e animali, che si muovono in un ambiente naturale tanto ospitale per i cavalli, quanto violentemente inadatto alla presenza di due donne. Ciò che accade davanti ai nostri occhi è la forma più semplice di rappresentazione: un corpo umano in un sito. Forma primordiale di spettacolarità e artificio.
Non c’è spazio per la didascalia in questa narrazione sensoriale: gli elementi stanno insieme per giustapposizione. Una vecchia Singer è ricoperta di perle, pizzi, fori e forme falliche, fusi insieme in un apparato caotico, che poco ha a che fare con il patrimonio.
E in questo coesistono memoria e assenza di nostalgia: l’accumulo, se nei dettagli ha un sapore familiare, acquista nel suo complesso un valore spaesante, generando dissociazione.
Ne usciamo arricchiti (forse appesantiti?) e riempiti, come da un’esperienza vagamente erotica, senza però che nessuna sensualità in senso stretto ci abbia attraversati. Corriamo verso le altre performance, per correre poi verso la tube: il desiderio, se c’è, è di scoprire, e non rivivere; è proiettato in avanti, e non nel passato. This is not the time for Nostalgia.
Primavera Contu
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