Nella dimensione globale e collettiva della realtà contemporanea come cambia la valenza che gli artisti attribuiscono al concetto di luogo?

L’esposizione, a cura di Lorenzo Bruni e allestita presso la galleria Enrico Astuni di Bologna, imposta la riflessione su tale quesito: lo spazio espositivo diviene il veicolo di comunicazione e il filo conduttore che lega le opere realizzate dagli otto artisti coinvolti, attivando cortocircuiti in grado, a loro volta, di rivelare come possa essere declinata la percezione del luogo nella moderna civiltà mondiale. Non si tratta solo di spazi delimitati fisicamente, ma anche di ambienti immaginati e mentali: l’intervento di Maurizio Nannucci instaura una relazione con il luogo in cui è inserito, innescando una riflessione tautologica sulla nozione stessa di linguaggio. I testi al neon che percorrono le pareti bianche della galleria sono in grado di abbattere le frontiere del reale, dando vita a uno spazio immaginato all’interno dello spazio fisico della galleria.

L’artista Christian Jankowski si serve dello stesso segno lineare per attivare una relazione tra luoghi apparentemente eterogenei: il progetto ideato per l’esposizione bolognese consiste in una serie di scritte al neon di cui l’artista si serve per trascrivere gli appunti del suo taccuino. Non è un caso che l’opera dell’artista tedesco sia collocata lungo una delle pareti del magazzino, rendendo così visibile e materiale la relazione tra la sfera personale e astratta del diario e lo spazio privato e pratico del magazzino. Anche l’installazione Measurement Plant di Mel Bochner indaga la dicotomia esistente tra la dimensione reale e l’ordine mentale: l’opera consiste in una griglia realizzata sulla parete della galleria attraverso linee di nastro adesivo. Il reticolo costituisce lo sfondo a una serie di piante collocate lungo il margine del pavimento. L’artista riflette così sulla labilità del confine tra la sfera artistica e il mondo reale, interrogandosi su quale sia, in tale contesto, il luogo di riferimento dello spettatore.

La riflessione sul linguaggio come mezzo per evocare dimensioni ulteriori sembra proseguire nell’opera di Mario Airò. L’artista crea oggetti spaziali contraddittori attraverso l’accostamento e l’interazione di materiali eterogenei. Airò riflette sulle dinamiche connesse alla creazione artistica: attraverso lavori come Ierofania egli è in grado di raccontare un luogo attraverso la sua evocazione poetica. L’opera, intesa sia come oggetto sia come luogo, riesce a mettere in comunicazione realtà lontane nello spazio e nel tempo. La possibilità dell’arte di svelare la dimensione poetica insita nel reale emerge anche nell’installazione del duo Cuoghi Corsello. L’opera Degrado 4U (degrado per te) convoglia l’attenzione dello spettatore: una serie di palloncini argentati, disposti a comporre la parola degrado, invitano lo spettatore a riflettere sulla sterilità delle accezioni riferibili al termine, conferendogli così una nuova potenza lirica che travalica l’approssimazione insita nel suo uso comune. Si viene così a delineare un parallelo tra la concezione di luogo e l’idea di viaggio, che permette all’uomo di esplorare dimensioni nuove.

L’opera Roads di Nedko Solakov è costituita da dodici disegni dove il concetto di spazio è evocato in assenza: non è importante il luogo da cui il viaggiatore proviene, né la sua meta, ma l’atto stesso del viaggiare. Il luogo specifico della galleria sembra così aprirsi su altri orizzonti, permettendo allo spettatore di evadere dallo spazio fisico in cui si trova grazie al sogno e all’immaginazione. Anche Antonis Pittas indaga il concetto di luogo inteso come viaggio: l’artista greco riflette sulle modalità attraverso cui certi simboli viaggiano attraverso il tempo e giungono al presente, portando con sé tutte le variazioni subite attraverso il percorso. L’opera We shall do as we have decided nasce dall’interazione tra il testo scritto disegnato a grafite, che percorre lo spazio espositivo, e le forme di marmo in grado di riattivare una connessione tra passato e presente. Se gli artisti cercano nell’arte un mezzo per evocare luoghi immaginari, Suzanne Lacy sottolinea invece il riferimento alla fisicità del luogo, collegandolo alla sua dimensione antropologica e sociale: l’opera interpreta lo spazio attraverso le convenzioni sociali e di genere che caratterizzano quello stesso luogo. L’artista esplora realtà e situazioni spesso dimenticate o emarginate dalla coscienza comune. Il racconto del luogo, narrato da ognuno degli otto artisti coinvolti, si identifica così con il racconto dell’uomo, sottolineando il valore dell’individuo all’interno della società contemporanea globalizzata. Lo spazio si definisce solo attraverso lo sguardo di chi osserva.
Sara Ferrari

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