Arte e Fotografia

PAESAGGI PERSONALI alla Galleria ME Vannucci

Il paesaggio è un campo dinamico in cui pratiche intime e quotidiane interagiscono tra loro creando coreografie collettive. Le esperienze emotive costituiscono la base di queste narrazioni che diventano paesaggio nel momento in cui si relazionano con lo spazio.

Le varie opere si collegano creando una nuova estetica ed etica del paesaggio non secondo un criterio tipologico ma piuttosto una narrazione frammentata in cui il paesaggio personale diventa codice da interpretare.

La sintassi generata è quella dell’esperienza del paesaggio in termini di relazione uomo natura, io e noi, paesaggio e alterità, mostrando l’eterogeneità espressiva secondo il lessico e la sintesi degli artisti stessi.

Alla Galleria ME Vannucci di Pistoia è in scena una collettiva (fino al 29 gennaio, finissage dalle 14.00 alle 19.30), a cura di Serena Becagli, che raccoglie i “paesaggi personali” di 9 artisti contemporanei: Antonello Ghezzi, Sergia Avveduti, Mohsen Baghernejad Moghanjooghi, Luca Caccioni, Fabrizio Corneli, Marco Degl’Innocenti, Lori Lako, Erika Pellicci, Sandra Tomboloni.

Mohsen_ Baghernejad_Eachoneinanotherone

L’artista iraniano Mohsen Baghernejad Moghanjooghi (Tehran, 1988) interpreta il paesaggio in chiave costruttiva e architettonica utilizzando materiali come il cemento in cui la stratificazione si rivela non solo progettuale ma anche e soprattutto semantica. Le serie di piante in cemento hanno la delicatezza della struttura vegetale, la spontaneità della fioritura accidentale e la pesantezza del cemento: lieve alla vista, ma consapevole allo sguardo. Allo stesso tempo l’artista interviene sullo spazio esterno della galleria scrivendo “eachone in anotherone” riportando l’attenzione sullo spazio relazionale, ma anche generando una traccia mutevole in cui il rispecchiarsi nell’altro può aprire a innumerevoli campi immaginativi.

Nell’opera Ciglio di sole, 2020, Sergia Avveduti (Lugo di Ravenna, 1965) crea una dialettica fatta di sguardi in cui il foro da dove guardare è l’occhio stesso e le cui ciglia sono parte del paesaggio disegnato, in cui si spezza il funzionamento spaziale della vista che diventa scomposta e in questa sua scomposizione si fa paesaggio intimo. In Tifone, 2021 lavora ancora sulla decostruzione in cui il paesaggio arriva a negoziare la costruzione dello spazio tramite un meccanismo di orologio ingrandito e un disegno di un paesaggio quasi in sospeso. L’idea dell’artista si configura nella creazione del paesaggio come movimento, come una coreografia di azioni intermedie in cui l’uomo costruisce il paesaggio e il paesaggio allo stesso tempo modifica la percezione dell’uomo.

SergiaAvveduti_LucaCaccioni_Ph_AlessandraCinquemani
LucaCaccioni_PhAlessandraCinquemani.

Il paesaggio personale è anche luogo della memoria, ricordi che modificano l’esterno interiorizzandolo come nell’opera Lothophagie di Luca Caccioni (Bologna, 1962) in cui gli elementi naturali si accostano all’espediente letterario dei mangiatori di loto che mangiano il fiore per dimenticare. In questa serie l’elemento ecologico e la creatività rimettono in discussione la realtà frastagliandola in ricordi ed evanescenze. Cosi l’opera Metropoli di Fabrizio Corneli (Firenze, 1958) mostra un paesaggio ambiguo fatto di luci e ombre in cui l’osservatore può perdersi. Un paesaggio urbano quello che Corneli ci propone ma un paesaggio effimero dato dall’incontro fra la luce e una sfera di cristallo su cui è incisa una miniatura. La sfera di cristallo si fa oggetto simbolico di un possibile futuro, di una contemplazione non ancora avvenuta o semplicemente impossibile da fissare nel tempo e nello spazio. Mettendo all’attivo i criteri di scelta dell’osservatore si è chiamati a immaginare la propria città, a fermarsi a tal punto da provare a sentirne l’incessante brulicare umano che sta nella nostra capacità di reinventare le proprie strategie contemplative.

Il duo artistico Antonello Ghezzi (Nadia Antonello e Paolo Ghezzi, duo formatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2009) presenta dei disegni preparatori legati al progetto di land art Cielo stellato su prato, a cui lavorano dal 2019.

Spostando il punto di vista dell’osservatore gli artisti hanno progettato un’installazione in cui le balle di fieno che si trovano disseminate nel paesaggio agricolo dei colli bolognesi vengono fasciate con una rete fatta di materiale luminescente creando in questo modo un doppio cielo stellato, un riflesso delle stelle o semplicemente dei punctum luminosi che vanno a creare una nuova prospettiva, un paesaggio che cambia tra giorno e notte.

AntonelloGhezzi_Legarelaterraalcielo

La necessità di verificare la coincidenza tra se e altro, fra arte e vita, fra paesaggio e percezione di se si fa urgente nell’opera di Marco Degl’Innocenti (Firenze, 1972) in cui cultura materiale e autobiografia si fondono creando oggetti ibridi che suggeriscono un passaggio nel mondo, una possibile interazione con l’esterno, un contatto fatto di gesti e strumenti come nell’opera Terra perduta composta dal calco in bronzo delle sue mani su due strumenti da lavoro. Nella serie di disegni Accordo i rami disegnati si materializzano tramite appendici esterne, sconnesse materialmente ma connesse concettualmente alla pragmatica dei processi di interazione fra uomo e natura.

MarcoDegl_Innocenti_Accordo_Terra_Perduta_PhAlessandraConquemani
LoriLako_exotic_memories

Liberando le possibilità della simultaneità di tempo e spazio Lori Lako (Pogradec, 1991) nella serie fotografica Possibly maybe, 2017, accosta porzioni di cielo attraversate da scie bianche di aerei alle informazioni prese dal sito web dell’aeroporto relative ai voli, riportando luogo di partenza e atterraggio con relativo orario. Il cortocircuito che si crea sottolinea la natura intrinseca degli spostamenti e come il tentativo di fissare una città e un orario anticipi la pratica stessa del viaggiare. Guardare il cielo diventa quindi uno sforzo verso il possibile e una riflessione su come muoversi nel mondo comporti una riflessione più ampia. Nei collage Exotic Memories / Kujtime ekzotike, 2019, la storia intima si fa collettiva tramite una pratica comune come quella degli album fotografici di famiglia. La consuetudine di fare foto negli studi fotografici negli Anni ‘90 utilizzando fondali con paesaggi esotici. A questi paesaggi artefatti si accostano le figure ieratiche delle persone ritratte che assumono una serietà speculare a quella delle immagini del post-dittatura in Albania, paese da cui l’artista proviene. L’ambiguità è accentuata dalla rimozione delle figure umane, lasciando sagome vuote, in cui lo sfondo esotico diventa protagonista dell’immagine che si stratifica lasciando trapelare una narrazione nascosta. Il paesaggio mostrato è la riproduzione di una riproduzione in cui l’unico soggetto non riprodotto già due volte è cancellato, evidenziandone cosi l’assenza come l’essenza ambigua accentuata dalle piccole cornici appese che replicano l’intimità dell’ambiente/ focolare domestico.

ErikaPellicci_FotoAlessandraCinquemani

Rimanendo intrecciati alla tematica della casa e dell’ambiente di origine, il video di Erika Pellicci (Barga, 1992) Il luogo di origine del 2020 ci porta nel tipico paesaggio toscano in questo caso un campo dietro la sua casa di origine all’ interno del quale l’artista ha installato uno schermo su cui viene proiettato uno scorcio di New York City. L’idiosincrasia creata dal contrasto fra la quiete dell’ambiente rurale e il caos cittadino apre un varco sulle proprietà che i luoghi hanno sulle persone, sulla necessità di viaggiare, sul bisogno di allontanarsi dal luogo di provenienza e sulla possibilità di custodire ogni luogo simultaneamente nella propria personale esperienza. All’interno del video l’artista confessa le proprie riflessioni sul partire e ritornare trasportandoci all’interno del proprio paesaggio emotivo.

SandraTomboloni_ph_MassimilianoVannucci

Un paesaggio zoomorfo è quello dell’artista Sandra Tomboloni (Firenze, 1961) intitolato La stratificazione della terra, 2021. Un altorilievo da cui emergono come una concitata scena di un sarcofago romano figure in parte maiale e in parte umano che sottolineano l’idea di un paesaggio panico in cui uomini e animali non sono più distinguibili in nette dicotomie, ma parte di uno stesso tutto. Infine il dittico in pongo Irina e Irene del 2007 ribadisce come il paesaggio – per l’artista – sia del tutto simbiotico con ogni essere vivente e in cui tanti piccoli fiori bianchi dai nomi di donna si fanno metafora di una sorte comune e di un comune paesaggio.

Francesca Biagini

In copertina: Veduta_mostra_PaesaggiPersonali_foto_AlessandraCinquemani

About the author

Francesca Biagini

Curatrice indipendente,docente di evoluzione dei linguaggi visivi presso LaJetee Scuola di Visualstorytelling, assistente nel workshop per Fabbrica Europa “To be told”, ha collaborato a numerose mostre nella città di Firenze e all’estero, tra cui la mostra Urban Tracks presso il Vivaio del Malcantone con il collettivo artistico sloveno Brida.