Meme, arte digitale, sperimentalismi, evoluzione del web, gaming: in vista dell’attesissimo nuovo libro abbiamo fatto quattro chiacchiere con Valentina Tanni, storica dell’arte, curatrice e docente, interessata al rapporto tra arte e tecnologia e alle culture del web.
Intervista a cura di Fabrizio Ajello
FA: Ha ancora senso oggi affrontare i fenomeni artistici contemporanei con canoni e modelli di pensiero novecenteschi? In questi anni effettivamente è più che mai evidente una diffusa proliferazione di ricerche e produzioni ibride che debordano e si trasformano senza sosta, lasciando sempre un passo indietro il cosiddetto sistema dell’arte. Inoltre, mi sembra che si stia confermando una sorta di sospetto e distacco da parte della curatela nostrana, tranne rari casi, nei confronti delle più spinte avanguardie, se vogliamo definirle così.
VT: Credo sia importante che la critica e il pensiero interpretativo si evolvano nel tempo, perché spesso gli strumenti che ereditiamo dal passato si rivelano insufficienti, quando non fuorvianti, nell’analisi dei fenomeni artistici a noi contemporanei. Tuttavia il cambiamento non è un principio guida da osservare religiosamente; esistono anche griglie interpretative che resistono alla prova del tempo, e che possono rivelarsi ancora utili, specie se applicate a forme espressive ancora in evoluzione. Anche perché nessun fenomeno artistico nasce dal nulla; ereditiamo e rielaboriamo idee, forme e stili del passato in maniera incessante. Questo accade in modo ancora più evidente nell’epoca dell’internet di massa, perché ogni cosa è archiviata, accessibile e riutilizzabile. Il “cosiddetto” sistema dell’arte ha sempre fatto fatica a comprendere e assorbire le novità, specie nei momenti di rottura, quelli in cui il distacco dalla tradizione è particolarmente evidente. Oggi viviamo in un momento storico in cui non solo il cambiamento è molto più rapido rispetto al passato; ma anche altri punti di riferimento stanno saltando, come ad esempio il confine tra professionalismo e amatorialità. Tanti “mondi dell’arte” stanno nascendo, ognuno con estetiche e valori differenti. Stiamo assistendo a un processo di frammentazione sempre più estremo.
FA: Quando fai riferimento a “mondi dell’arte” che stanno nascendo, sembra che ti riferisca ad alcune realtà specifiche. Potresti darci qualche indicazione più precisa in merito?
VT: Non mi riferisco a nessuna realtà in particolare, ma a una situazione di frammentazione che è sotto gli occhi di tutti. Internet ci offre la possibilità di renderci conto dell’esistenza di innumerevoli comunità diverse che producono contenuti artistici: immagini, video, testi, musica, performance, giochi e molto altro. Ognuna di queste comunità ha delle estetiche, dei valori condivisi e spesso anche dei sistemi economici che le sono caratteristici. Penso al mondo dell’animazione 3D, al gaming, agli streamer. Ma anche a tutte le comunità che stanno nascendo attorno ai software di intelligenza artificiale, oppure, ancora, nell’universo crypto.

FA: La caratteristica inevitabile e vincente delle più recenti forme espressive è la loro fluidità e viralità. Ripenso in effetti a William S. Burroughs per il quale il virus era il messaggio e la mutazione una necessità espressiva. Quindi il futuro dell’esperienza artistica potremmo affermare che sarà fortemente caratterizzata, per così dire, da dis-ordine e ambiguità?
VT: Sicuramente la modalità di circolazione gioca un ruolo importante e in qualche caso rappresenta una caratteristica centrale e non accessoria. Il disordine, la mutabilità e la fluidità sono elementi costitutivi di molte forme espressive che nascono online in maniera spontanea. Non amo fare previsioni e non credo che sia possibile individuare il “futuro dell’esperienza artistica”. Come dicevo, la quantità delle espressioni e la diversità di stili e approcci stanno aumentando vertiginosamente, quindi se proprio devo azzardare una profezia, direi che il futuro dell’arte sarà sempre più plurale.
FA: In tal senso quali ricerche artistiche, secondo te, risultano particolarmente in linea con questa pluralità e fluidità?
VT: La performance (online, offline e a cavallo tra le due dimensioni), i progetti web-based, l’arte generativa. Ma soprattutto i progetti di creazione collettiva che nascono e si sviluppano in maniera spontanea. Si tratta di fenomeni culturali giganteschi, ai quali contribuiscono centinaia di migliaia di persone sparse nel mondo, con una regia complessiva assente o debolissima. Recentemente ho scritto un articolo sul sito di NOT (Nero Editions) sull’estetica degli spazi liminali e in particolare sulla mitologia delle Backrooms. Si tratta di un perfetto esempio di narrazione collettiva spontanea che si esprime attraverso elementi eterogenei (foto, video, rendering, racconti, meme, videogiochi) e che non è possibile assegnare a un singolo autore, né a un singolo oggetto artistico. Si tratta di un’arte corale, diffusa, fluida e radicalmente plurale.

FA: Il filosofo Byung-Chul Han nel suo recente saggio Le non cose si scaglia contro la massa di informazioni che ci investono quotidianamente, alterando la nostra memoria e riconfigurando la nostra percezione ed esperienza in un disagio esistenziale e consumistico. Siamo realmente sottomessi dal flusso informativo dei nostri devices? E nel caso sia proprio così, come possiamo allenare i nostri sguardi per non rimanere passivi rispetto all’esperienza esplorativa e percettiva del mondo?
VT: Il sovraccarico informativo è un problema innegabile. Siamo biologicamente inadatti a processare la quantità di immagini, dati e stimoli che ci raggiungono ogni giorno. Questo crea disagio psicologico e stress, è un dato di fatto. Non esiste una ricetta infallibile per salvaguardare i nostri sguardi e la nostra mente, tuttavia acquisire consapevolezza della natura dell’ambiente tecnologico in cui siamo immersi rappresenta un primo, importante passo. É fondamentale conoscere e discutere le idee che sono “embeddate” negli strumenti che utilizziamo, e comprendere che sono in gran parte progettate per capitalizzare al massimo la nostra attenzione e i nostri dati. Una volta compreso questo, è necessario mettersi alla ricerca di strategie personali di resistenza, che possono passare per tante vie differenti. Personalmente, credo nel potere liberatorio dell’entropia, ossia nell’uso strategico dell’imprevedibilità per sfuggire ai sistemi di controllo.
FA: Internet si è sviluppato in ambito militare alla fine della prima guerra fredda, e sembra proprio che per la prima volta nella storia potrebbe disgregarsi e polarizzarsi sotto le spinte dell’attuale situazione di conflitto geopolitico. Cosa ci si può aspettare dai prossimi anni? Sistemi intranet di singoli stati (come sta accadendo in Russia), connessioni criptate, filtri e neo-spionaggio, proliferazione e sfruttamento di spazi liminali e angoli bui del web?
VT: Non sono un’esperta di geopolitica, ma non penso che Internet sia destinato a disgregarsi, nonostante esistano molteplici spinte in questo senso. Quello che vedo succedere tuttavia, è una progressiva moltiplicazione e atomizzazione degli spazi di discussione pubblica, ma questo mi sembra parte di una tendenza generale verso la decentralizzazione, che vediamo in atto in tutti i settori.
Fabrizio Ajello
Immagine di copertina: Modigliani couch – found image
Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Roma e Milano. Ha pubblicato “Random. Navigando contro mano, alla scoperta dell’arte in rete” (Link editions, 2011) e “Memestetica. Il settembre eterno dell’arte” (Nero, 2020). Da novembre 2020 è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Quadriennale di Roma.