«tout ce qui nous arrive de bien et de mal ici-bas était écrit là-haut»
Gennaio bolognese, Arte Fiera, pre-pandemia.
I tempi degli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan, quando il problema del mondo occidentale era l’ISIS e non il COVID.
Freddo e cielo grigiolino, tipici della stagione. Nella zona della fiera li senti e vedi bene, perché non ci sono i portici a darti l’illusione di un riparo.
Autobus affollati per tornare alla stazione. Uno ha già chiuso le porte, quando un gruppo di ragazzi vestiti di nero lo rincorre. L’autista riapre per farli salire. Sono tutti orientali, con la pelle scura. Trafelati e schiamazzanti. Ripetono a voce alta parole arabe incomprensibili. E tutti hanno in mano una Holy Bible con la copertina nera.
D’accordo, non è il Corano, ma la scena è ugualmente allucinante. Lì per lì non hai nemmeno il tempo di realizzare di quale testo sacro si tratti. Di fatto, sembrano dei potenziali terroristi, proprio come avresti potuto immaginarli quando vedevi le scene della gente europea colpita a Madrid, a Londra o a Parigi.
Che fare? Premere freneticamente il pulsante, aspettando con ansia la prossima fermata per scendere. Inscenare un malore e far riaprire le porte. Tirar giù un finestrino e tentare un’improbabile fuoriuscita da lì.
Oppure, assistere alla scena come ripresa dall’alto. Aspettare.
Fatalismo.
«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare»
Se il caso ha voluto che io morissi dopo aver visto Arte Fiera su un autobus per tornare alla stazione, perché dovrei oppormi?
Senza una qualche dose di fatalismo, l’uomo non sopravvivrebbe.
Esco fuori di casa un giorno come un altro e la famosa tegola mi cade in testa. Bambini, persone che muoiono prematuramente. Nascere in una parte del globo terrestre piuttosto che in un’altra, morire di fame e di sete, oppure vivere nel lusso più ostentato. Calamità naturali, guerre, eredità milionarie, guadagni da influencer.
Per rimanere in vita bisogna molto spesso compiere una epochè, mettere da parte lo spirito critico e la razionalità, per ripetere come un mantra la famosa formula dantesca.
Accadono cose e il più delle volte sono al di fuori della nostra portata, incomprensibili, se non le vediamo nell’ottica di un destino che ci sovrasta.
Allora lasciamoci, in questo clima dicembrino pre-natalizio, con l’incipit del famoso metaromanzo illuminista di Denis Diderot, Jacques il fatalista:
«Come s’erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? E che ve ne importa? Donde venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano? Si sa forse dove si va? Che dicevano? Il padrone non diceva nulla, e Jacques diceva che il suo capitano diceva che tutto ciò che di bene o di male ci càpita quaggiù stava scritto lassù».
Rifletteteci (!)
{tra parentesi graffe, sempre}
*l’autobus non è realmente saltato in aria e quei ragazzi con le Bibbie nere non erano degli attentatori.
Alessandra De Bianchi