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MEMEnto n.4 | {Ritirata in Vipassana}

Iperconnessi, sovrastimolati… troppi rumori, eccessive interazioni, viviamo in un’epoca all’insegna dell’overload.

Il lato positivo dei lockdown era stato il ritorno alla quiete, al tempo biologico scandito da ritmi più umani. Ma si trattava di un’imposizione causata da una pandemia, per cui era difficile coglierne la positività.

Giorni che si susseguono come quelli dei criceti su una ruotina. Suona la sveglia, si parte. Riempire il vuoto sembra il monito del momento. Non lasciare spazi indefiniti. Una continua estroflessione operativa che rifugge la spiritualità, l’abisso recondito del proprio io interiore.

Da qui il sorgere di numerose nevrosi e il ricorso agli psicofarmaci, panacea di quei mali che non vengono colti alla radice e che perciò non possono essere pienamente risanati.

Ecco allora che imperversano svariate tecniche di rilassamento e meditazione. Persino su YouTube si trovano molteplici tutorial per imparare a spegnersi.

Dov’è il tasto off della nostra mente sovraffollata?

Altra tendenza molto in voga è quella alla cosiddetta “ritirata”. Sempre più persone decidono di spendere le proprie ferie non in qualche inflazionata meta turistica, ma in luoghi di ritiro spirituale.

È così che molti conventi, eremi e altri spazi isolati diventano la scelta per un deliberato allontanamento da tutto e da tutti.

Si può scegliere di compiere una ritirata in libertà, semplicemente in un posto immerso nella quiete, oppure di seguire dei corsi che hanno proprio l’obiettivo di disintossicarci dalla frenesia in cui siamo immersi.

È questo il caso dei centri di meditazione Vipassana – Vipassana significa “vedere le cose così come esse sono realmente” –, che organizzano corsi della durata di dieci giorni, dove si impara questa tecnica millenaria seguendo un preciso codice di disciplina. Ad esempio, gli uomini devono essere assolutamente separati dalle donne, non si possono indossare abiti vistosi o succinti, non è consentito in alcun modo comunicare con le altre persone, nemmeno tramite gesti; è inoltre vietato leggere, scrivere, fare sport, fumare o bere alcolici e praticare qualsiasi attività sessuale. La giornata, che comincia alle 4 del mattino, è scandita dalla meditazione. Nel mezzo, pochi pasti frugali che seguono un’equilibrata dieta vegetariana e solo limitati spazi di tempo in cui è eventualmente possibile interagire con gli educatori.

A molti un tale programma può sembrare la caricatura dell’inferno, eppure le liste d’attesa per partecipare a questi ritiri sono piene e, appena aprono le iscrizioni, bisogna affrettarsi ad essere il click più veloce, altrimenti si rimane esclusi.

Battere in ritirata o continuare a girare vorticosamente sulla ruotina della nostra gabbietta? E se anche il ritiro fosse un modo per volere sempre qualcosa in più senza mai raggiungerlo realmente?

Lasciamoci con Seneca e La tranquillità dell’animo:

«Devi riflettere se la tua natura sia più adatta all’attività o a un ritiro dedito agli studi, e devi volgerti là dove ti condurranno le capacità del tuo ingegno […]. Infatti daranno cattiva risposta gli ingegni forzati; la fatica è vana, se la natura vi rilutta».

Rifletteteci (!)

{tra parentesi graffe, sempre}

Alessandra De Bianchi

*[versione video dell’articolo]:

About the author

Alessandra De Bianchi

Classe 1984, due figli maschi, un gatto, un marito e una laurea magistrale in Filosofia. Lavoro: scrittura e correzione testi su commissione come libera professionista, per chiunque ne abbia bisogno. In passato: galleria d’arte, casa editrice e ufficio stampa, collaborazioni come editor, organizzazione eventi e partecipazione come autrice al romanzo In territorio nemico, minimum fax 2013.