I visi frammentati e vagamente sospesi tra la bellezza spigolosa del cubismo e quella scattante del futurismo, catturano il nostro sguardo e ci risucchiano dentro mosaici kaleidoscopici pervasi di inebriante armonia. Ogni ritratto è uno sciame vibrante di polaroid, riunite in un unico grande alveare, dopo l’abbraccio intimo della macchina fotografica intorno ai volti dei soggetti ritratti. Un concerto visivo entro il quale ogni istantanea diviene ambasciatrice di un dettaglio, un particolare segreto ed inconfondibile.
Queste sono le sensazioni che affiorano mentre osserviamo la serie di “Ritratti” di Maurizio Galimberti in mostra presso i magnifici spazi dello studio di architettura Kryptos Materia. L’esposizione, curata da Filippo Rebuzzini e Alessia Locatelli di Obiettivo Camera in collaborazione con Silvana Editore, raccoglie tutti i lavori relativi ad un arco di tempo che parte dagli albori della carriera di Galimberti, ossia gli anni ’90, entro i quali egli ricorda la sua prima importante pubblicazione avvenuta nel 1995 sulla rivista FOTOgraphia di Maurizio Rebuzzini.
In quegli anni la cellulosa era ancora il materiale per eccellenza. Di acqua ne è passata, eppure, Maurizio Galimberti ha saputo fare della fotografia istantanea il suo punto di forza anche in un’epoca in cui l’arrogante universo del digitale si è ormai insinuato in tutte le forme d’arte tradizionali, in primis la fotografia appunto. Nonostante il mercato e le grandi marche produttrici di apparecchi fotografici come Leica (che ha appena rilasciato un modello polaroid nuovo di zecca, la Sofort) stiano tornando a rivolgere il proprio interesse al vintage, alle vetuste tecniche e alle polverose strumentazioni delle origini, alla manualità, al fascino degli agenti chimici, ai vecchi congegni di impressione dell’immagine, il lavoro di Galimberti continua a guadagnare consensi e a macinare successi.
Non solo, ma dai racconti di repertorio di Galimberti scopriamo che a volte qualcuno dei suoi ritratti musivi ha addirittura saputo smuovere nel profondo fino alle lacrime, lasciando il soggetto in balia di quella visione così audacemente originale di se stesso, frastagliata ma allo stesso tempo integra e intensa più che mai.
Galimberti ricorda con grande tenerezza (e una punta di innocuo divertimento) il suo incontro con il temerario protagonista di Highlander Christopher Lambert, avvenuto al Festival del Cinema di Venezia nel 2009, il quale vedendo il risultato del set di posa si abbandonò alle lacrime. Reazione simile ebbe anche Vinton Cerf, il padre di internet, che Galimberti fotografò nel 2014 durante una performance al TEDxRoma, e che dopo avergli domandato il perché della scelta di lavorare con la Polaroid visionò il quadro completo e si commosse, affermando di ritrovarsi pienamente in quella elaborazione artistica così intima della sua persona.
Molti notevoli lavori ed altrettanti aneddoti riguardano solamente il Festival del Cinema di Venezia cui Galimberti partecipò nel corso degli anni, e grazie al quale poté incontrare e ritrarre svariate personalità del cinema e dello spettacolo: fra i tanti, Peter Greenaway, Tinto Brass, un giovanissimo Raoul Bova, Mimmo Rotella, Qin Feng, Barbara Bouchet, la quale pretese di essere ritratta solo dal lato sinistro poiché riteneva quello destro meno bello e non all’altezza.
Il ricordo forse più caro di Maurizio Galimberti va all’amico Lucio Dalla, di cui è presente in esposizione lo storico ritratto che divenne poi la copertina dell’album “Il contrario di me”, il quale sognava un grande viaggio fotografico in Italia insieme a Galimberti, nello stile della grande tournée americana del 1986 compiuta con Luigi Ghirri.
L’elemento di forza di questo allestimento è la scelta di predisporre un ambiente dello studio, quello che si trova nella cantinetta interrata, per l’esposizione di oggetti e materiali concernenti Maurizio Galimberti in quanto personalità artistica: troveremo quindi oggetti di sua proprietà, come svariati modelli di macchine fotografiche polaroid utilizzate nel corso degli anni, poi due piccole teche in vetro al cui interno sono conservati cataloghi sul suo lavoro ed altro materiale di design in edizione limitata, e due differenti serie di ready-made. Nel caso dei ready-made, la poetica fotografica di Maurizio Galimberti si fa ancora più originale, in quanto comprende un vero e proprio processo artistico in cui l’immagine viene “mangiata, digerita e rimessa in circolazione con una sua visione completamente nuova”, come ci spiega l’artista stesso.
Per chi ha preso parte attivamente alla realizzazione di questo progetto, è importante sottolineare la scelta della location, Kryptos Materia, ossia uno studio di architettura che ospita spesso eventi artistici: segno del progresso in atto di una disciplina, la Fotografia, che a livello espositivo sta forse cominciando ad uscire dai canoni tradizionali delle gallerie d’arte mercato-centriche per approdare in realtà culturali più genuine e volte a promuovere più il valore estetico dell’arte, e meno quello economico.
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