Alla Galleria il Ponte va, tra gli altri, il merito di aver riportato dopo tanto tempo Marco Gastini a Firenze. La stagione espositiva autunnale della galleria è stata inaugurata il 16 settembre scorso con una mostra sull’artista torinese dal titolo “Quindici opere di Marco Gastini. 1969-1979 un decennio”, in cui viene presentato un nucleo selezionato di 15 opere, realizzate fra il 1969 e il 1978. Un decennio fondamentale all’interno della lunga carriera dell’artista che, nel un suo personale percorso, trova consonanze con la pittura di ricerca degli anni Settanta, la Pittura analitica, definita anche “pittura-pittura”, di cui è considerato uno dei personaggi di spicco.
Le opere di Gastini, in particolare quelle che questa mostra mette in evidenza, sono caratterizzate tutte da una particolare energia, determinata da azioni e da segni dell’artista stesso. La sua pittura si riduce al minimo, a punto e linea, proposte quali costanti del suo operare artistico, in cui «l’attenzione stacca il gesto, l’azione distanzia lo sguardo indifferenziato, lo spazio oppone un altro spazio, a sua volta discontinuo…». I suoi segni, sensibili e sintetici, sembrano inseguire le sedimentazioni di un gesto, le tracce di un pensiero non espresso, di uno spazio meditato. «Tracciare quei punti per me significa pensare a uno spazio, “vedere” uno spazio»…
Fra le opere esposte nella mostra fiorentina, curata da Andrea Alibrandi e Alessio Marolda, spiccano i plexiglas, supporto centrale nell’operare di Gastini per la sua purezza e trasparenza, presentati distanziati dalla parete, in cui le macchie (1969) e i graffi (1972) creano una nuova superficie; è presente anche una delle grandi tele bianche del 1973, “Acrilico n. 9”, resa percettibile dai punti di un nuovo spazio; alcune carte japan del 1974 di grandi dimensioni, dove ampie campiture bianche presentano incisioni e segni; fino alle due grandi opere su carta del 1977-‘78, in cui il segno e la composizione assumono struttura e vigore, anticipando l’uso della materia negli anni Ottanta. Un insieme di opere raffinate ed estremamente vibranti, perfette nello spazio puro della Galleria Il Ponte. La mostra che rimarrà aperta fino al 4 novembre, mette a fuoco con pochi ma significativi pezzi, una sensibilità rara, che va oltre il visibile, attraverso un sofisticato ed elegante uso della materia.
Marco Gastini (classe 1938), dopo una formazione nel laboratorio del padre marmista, che gli darà una profonda conoscenza sui materiali e le varie tecniche di lavorazione, si diploma presso il Liceo Artistico, proseguendo poi i suoi studi alla Scuola di Pittura dell’Accademia Albertina di Torino. Muovendo i primi passi nel clima tardo informale, dipinge inizialmente quadri di gusto astratto, per approdare progressivamente a una pittura sempre meno materica, che ha per soggetti nudi femminili o paesaggi. Alla fine degli anni Sessanta, l’indagine sul segno, la presenza spaziale e l’azzeramento cromatico lo portano ad una personale ricerca sulla pittura, con veri e propri studi, che vanno dalle tele dipinte a spray, agli smalti e ai floccaggi su plexiglas, legno o vedril. In questo periodo si susseguono tentativi e sperimentazioni, espressione di una crescita artistica quasi frenetica. La pittura si addensa su vetri, neon o cassette di plexiglas in macchie di colore di piombo e antimonio.
Nei primi anni Settanta Gastini è appunto fra i pionieri della “pittura analitica”, inserendo lavori su parete, rigorose quadrettature e tracciati elementari in polvere di cemento, carboncino o conté, preceduti da lastre progettuali in durcot su plexiglas. L’artista non perde di vista la tela, intervenendo con esili segni, che misurano lo spazio attraverso semplici geometrie, introducendo anche del pigmento “pearl white”, madreperla, dal 1977 applicato su tele, carte o sul muro, che costituiscono la sua uscita dal “non colore”. Finché, verso fine degli anni ’70, la pittura ormai sconfina dalla superficie della tela, della carta o degli altri supporti, invadendo la parete. A questo periodo risale una nuova sperimentazione su materiali come la pergamena, il vetro, metalli come il ferro, il rame e lo stagno, ma anche elementi organici quale il carbone, i vegetali simili a carrube, e in seguito la pietra, che siglano il suo singolare linguaggio artistico. Frequente anche l’uso di alluminio, fuso in calchi, e dell’ardesia, materiali che nei lavori più recenti sono conficcati di taglio nella tela. Con l’inizio degli anni Ottanta poi l’artista recupera il colore, l’impasto pittorico diventa più complesso, materico e cromaticamente acceso, con l’aggiunta di pigmenti e leganti. Le sue opere forse più potenti sono quelle in cui predomina il blu, che richiama a Cimabue e a Giotto, ma anche a Kline, un pigmento blu oltremare, utilizzato con la spugna, che trasmette allo spettatore una particolare energia vitale e materica.
Da non dimenticare poi che dagli anni Novanta, l’artista realizza lavori su grande scala, una fra tutte ricorderei ‘L’energia che unisce si espande nel blu’ per la Galleria Umberto I a Torino, spettacolare intervento all’interno della rassegna torinese “Luci d’artista”. Tutte le sue opere vivono di pieni e vuoti, di luce e di ombra, di leggerezza e di pesantezza, e sembrano sostenersi da sé nel vuoto, “…facendo coincidere al massimo – come ha dichiarato lui stesso in un’intervista del 1974 – l’azione, lo spazio, il pensiero, il tempo, il gesto e il bianco”.
Invitato più volte alla Biennale di Venezia (nel 1976 e nel 1982), Gastini è presente con le sue opere in numerose collezioni private e nei principali musei del mondo, avendo realizzato in tanti anni di corriera mostre personali e collettive in Italia e all’estero, che ne confermano una fama artistica seria e indiscussa.
Cecilia Barbieri
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