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L’uomo nero/Dinamiche dell’immaginario #19 – abracadabra*

Solo finché c’è il gusto dell’abisso c’è avventura umana.
Guido Ceronetti

 

È un’apparizione. E in quanto epifania funziona, magnetizza, spiazza. Dalla luce al buio e nella distanza qualcosa riluce senza riconoscimento, bisogna entrare, accogliere la tenebra e, avanzando, permettere allo sguardo di adattarsi. Museo Réattu, Arles, la scultura di Ugo Schiavi che introduce il visitatore alla sua personale dal titolo Gargareôn invita e respinge. Il frammento pietrificato deborda materia, sgorga vita, è testa gorgonica che incute terrore e pietrifica se stessa prima di avere effetto sullo spettatore, ma nonostante tutto sembra percolare fluidi vitali rappresi. È “cosa” ma nello stesso tempo è abbaglio, apertura, sgomento, soglia. La soglia d’altro canto spaventa e rivela. Ma siamo sempre sicuri di comprendere dove si trovi, dove sia il valico? Nel grande vuoto di rarissimi attimi di lucida rivelazione che smarriamo fulminei. Eugenio Montale nella sua celebre poesia I limoni, così:

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ecco, lì, in prossimità s’abbandonano le cose, ma il disturbo permane e scompiglia l’esile probabilità di comprensione.  È un buco nero. Un gorgo energetico. La gorga nera – origine leggendaria ma non troppo della piena che allagò Firenze nel 1966 – che sotterra, genera, allaga. Nella tv-serie Outer Range, è la voragine perfetta e inquieta che incardina le vicende di due famiglie e di un intero paese. Le sparizioni, i déjà-vu, le apparizioni sono elementi essenziali e al contempo divergenti che indicano chiaramente quanto la vita stessa sia in/un gioco, un bluff.  La partita a carte tra i due protagonisti, Royal e Autumn, è il cardine dell’intera vicenda in bilico tra incubo lynchiano e western sci-fi. In gioco c’è la terra in quanto appezzamento, feudo, proprietà, ma anche frammento magico portato al collo come amuleto. È terra della propria terra, come sangue del proprio sangue. La terra stessa che sostiene, nasconde, insiste e si apre, batte, fa sentire il suo movimento sussultando, fendendo, ma l’apertura è visione intollerabile, sofferenza, capovolgimento, abisso. E l’abisso come si sa, se insistentemente guardato, finirà per guardarti a sua volta. Ma non si tratta solo di sguardi, ma di origini ignote e di poteri magico-rituali agiti e subiti.

Outer Range, still dalla tv-serie in onda su Amazon Prime

Siamo inclini solitamente a far coincidere la soglia con una concezione di limite spaziale, ma dentro al suono, al linguaggio, in ambiti non strettamente connessi ad una posizione, di cosa si tratta e cosa si muove. Abracadabra. Un vocabolo che sfugge al vocabolario, al senso compiuto. Senza un’origine etimologica certa, ma utilizzato in passato in molteplici lingue dall’aramico – Avrah KaDabra (creerò come parlo), oppure abhadda kedhabhra (sparisci come questa parola), al greco – ἀβρακαδάβρα o abrax (probabilmente un’invocazione), dall’arabo – Abra Kadabra (fa che le cose siano distrutte), all’ebraico – ha-bĕrakāh dabĕrāh (pronunciare la benedizione). La prima testimonianza in un testo di questo termine si trova nel Liber Medicinalis di Quintus Serenus Sammonicus (III secolo d.C.), all’epoca dell’imperatore romano Caracalla. Il medico romano consigliava al suo assistito di portare al collo un amuleto contenente un foglietto triangolare vergato proprio con la parola magica. Abracadabra funzionava come incantesimo per liberare il paziente da alcune patologie febbrili e gravi infiammazioni. Il suo potere apotropaico gli permette di placare l’aggressività dei demoni ma anche di scavalcare epoche e frontiere geografiche, sino a divenire parola magica ad uso e consumo degli illusionisti e finire in Harry Potter come incantesimo letale.

Janis Rafa, Lacerate (still) – 2020 Courtesy l’artista e Fondazione In Between Art Film

Il drammatico e lirico video Lacerate dell’artista Janis Rafa mostra definitivamente la soglia in quanto taglio netto, d’ispirazione gentileschiana – Giuditta e Oloferne, secco, violento, attorno al quale si agitano bande di cani che fanno materialmente a pezzi ciò che resta di una lussuosa abitazione deserta. Il nervosismo animale si agita caotico in queste stanze sfarzose, spesso inquadrate attraverso le porte, anch’esse fenditure che consentono di sbirciare delle vere e proprie still life pittoriche messe a soqquadro da una ferinità senza freno. I suoni ambientali, estremamente enfatizzati si rimescolano tra lo scorrere dell’acqua di un rubinetto lasciato aperto nel tinello, il rovistare maldestro e le masticazioni rumorosissime dei protagonisti a quattro zampe che scorrazzano lacerando, per l’appunto, qualsiasi cosa. Tavoli, piatti, bicchieri, cuscini, divani. Il mondo intero sembra non avere scampo anche se l’aggressione resta confinata alle quattro mura, sicure-niente affatto, di casa. Infatti la vera violenza si è già consumata prima della restante aggressione animale. Ciò che ci viene proposto, fino allo svelamento, è il post-finale. Sferzante e convincente riflessione sulla violenza domestica. Atletico andirivieni di corruzione che compone un memento mori attuale e spietato. Un magma corrosivo che ha la cadenza delle onde in tempesta, della potenza sovrumana della natura. Sarà un caso, ma ogni volta che mi sono imbattuto nella visione di Lacerate ho sentito risuonare incessanti dentro me le chitarre abrasive e deflagranti del capolavoro Below the House dei Planning for burial.

Fabrizio Ajello 

In copertina: Ugo Schiavi, Gargareôn-Navigator, 2021 Courtesy of Fabrizio Ajello

About the author

Fabrizio Ajello

Fabrizio Ajello si è laureato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, con una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea.
Ha collaborato in passato attivamente con le riviste Music Line e Succoacido.net.
Dal 2005 ha lavorato al progetto di arte pubblica, Progetto Isole.
Nel 2008 fonda, insieme all'artista Christian Costa, il progetto di arte pubblica Spazi Docili, basato a Firenze, che in questi anni ha prodotto indagini sul territorio, interventi, workshop e talk presso istituzioni pubbliche e private, mostre e residenze artistiche.
Ha inoltre esposto in gallerie e musei italiani e internazionali e preso parte a diversi eventi quali: Berlin Biennale 7, Break 2.4 Festival a Ljubljana, in Slovenia, Synthetic Zero al BronxArtSpace di New York, Moving Sculpture In The Public Realm a Cardiff, Hosted in Athens ad Atene, The Entropy of Art a Wroclaw, in Polonia.
Insegna materie letterarie presso il Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze.