L’arte non ha bisogno di alcuna risposta. E’ una domanda che vuole restare tale.
Claudio Parmiggiani
L’arte contemporanea in Italia è un sistema di addetti ai lavori per gli addetti ai lavori. Questa vulgata risuona spesso tra gli addetti ai lavori (per l’appunto) e già questo basterebbe a chiudere il cerchio. In tal senso mi capitò di stigmatizzare, per il progetto Spazi Docili, una riflessione analoga direttamente su uno dei giganteschi blocchi di marmo dell’installazione di Mimmo Paladino in Santa Croce a Firenze nel 2012:
Il sistema dell’arte italiano è un castello assediato, difeso da una manciata di soldati che cerca strenuamente di impedire l’apertura di un qualsiasi varco. E non appena un varco, nonostante tutto, si apre, colui che è riuscito a penetrare nel sacro recinto corre immediatamente in soccorso degli assediati, incominciando a sua volta a buttare pietre e olio ardente su coloro che gli erano compagni fino ad un attimo prima. E così castello e corte rimangono sempre al loro posto, intangibili, imbelli e leggermente annoiati…
Ma cosa sia l’arte contemporanea oggi non è questione da poco e aggiungo: è così importante trovare una risposta? Sicuramente non è semplice (e questo non è un male) districarsi dentro la selva di ricerche, sperimentazioni, balzi, strappi, sbordamenti, annessi e connessi, senza smarrirsi (e questo è un bene). E a perdersi a mio avviso sono sempre più spesso sia il pubblico informato, sia i curiosi ma anche gli stessi addetti ai lavori, con buona pace delle loro considerazioni inattaccabili, d’altrocanto chi li attaccherebbe mai e poi per quale motivo. Se Rebecca Solnit afferma: Non ho fiducia nel futuro ma ho fiducia nella sua imprevedibilità, io credo che non bisogna aver fiducia nel sistema dell’arte ma bisogna confidare nell’imprevedibilità degli artisti.

Quindi il tema delle definizioni nel campo dell’arte contemporanea si rivela sempre scottante e attuale, così mentre infuria la disputa per l’etichetta stigmatizzante, risulta sempre più evidente in Italia la scomparsa, tranne rarissimi casi, del pensiero critico. Il termine teoria, sembra essere il più vituperato di questa epoca, e non solo in campo artistico. Da diversi anni teorico è divenuto sinonimo di chiacchiera, di ipotesi, di superficialità, in opposizione al piano pragmatico, alla pratica, al prodotto. Inoltre, il chiacchiericcio ha sormontato e in alcuni casi sostituito per lo più lo studio, la ricerca e un sano dibattito critico. Capita non di rado, infatti, che alcuni artisti si sbilancino in affermazioni e teorie discutibili ed incaute, come nel caso delle parole in libertà dell’artista Gian Maria Tosatti durante la conferenza stampa per la presentazione del Padiglione Italia 2022. Nonostante la complessità delle argomentazioni dichiarare a pochi giorni dallo scoppio del conflitto russo-ucraino che …abbiamo perduto con noi stessi, questo è il punto, piccolezze dell’umano, no? Allora la guerra, la Russia, l’America, l’Ucraina, siamo sempre lì a parlare delle solite cazzate, la guerra, non ci muoviamo mai, è questa la guerra che abbiamo perduto, non ci stiamo evolvendo…è stata una valutazione assertiva discutibile che ha dato adito a non poche incomprensioni e perplessità. Sarebbe stato interessante inoltre che Tosatti si soffermasse sul tema dell’evoluzione mancata. In che senso non ci saremmo evoluti? E di quale evoluzione stava parlando?

Gli artisti non sono opinionisti, ma in un’epoca di spasmodica esposizione mediatica, la tendenza ad intervenire repentinamente, soprattutto sui social, si trasforma nella minaccia più insidiosa. Rimosso il filtro della riflessione, l’immediatezza diviene un pericoloso terreno scosceso. D’altronde Mario Perniola nel suo saggio L’arte e la sua ombra, proprio nell’introduzione metteva in guardia nei confronti di una doppia ingenuità nell’accostarasi all’arte, anche da parte degli addetti ai lavori. I due paradossi erano: considerare le opere d’arte l’essenziale dell’arte oppure, al contrario, attribuire all’operazione artistica i caratteri di una comunicabilità immediata e diretta. Ed è proprio in questo secondo caso sempre secondo Perniola che l’arte viene schiacciata sulla realtà, prescindendo dallo spessore e dalla complessità del reale. Ecco, leggendo la serie di mini saggi di Caliandro su Artribune dedicati all’arte sfrangiata, mi ha molto colpito la parte in cui afferma: mi irrita molto invece ogni volta che sento sminuire e negare il concetto di verità, ogni volta che la vedo negare come se anche solo supporre la sua esistenza fosse qualcosa da ingenui o da provinciali…
Anche adesso si avverte il senso “of losing that truth”, di stare perdendo o di rischiare di perdere quella verità, la verità dell’arte faticosamente inseguita.
Ciò che mi intriga infatti è proprio il fatto che l’arte sfrangiata in quanto zona di disagio, proprio come afferma Caliandro non può prescindere, a mio avviso, dal distacco al contempo dalla verità per un verso e dalla realtà per un altro, proprio per rovesciare schemi e incarnare lo spazio della contraddizione, della complessità come contraddizione e come ambiguità.
Fabrizio Ajello
In copertina: un meme con la Zattera della Medusa riletta in chiave Facebook- immagine trovata sul web