per l’ombra vincere è impossibile
e pensare di vincere è ingenuo
Mario Perniola – L’arte e la sua ombra
Scrivere significa: contemplare la lingua,
e chi non vede e ama la sua lingua,
chi non sa compitarne la tenue elegia
né percepirne l’inno sommesso,
non è uno scrittore
Giorgio Agamben – il fuoco e il racconto
In questo tempo di reclusione, mi apro alle parole ed è una liberazione che profuma di condanna. Questa condizione necessaria dell’esprimersi, sospesa tra pensieri e immagini, ristagna nella distanza dalle cose del mondo. Sottrazione e meditazione in cui non si possono avere assicurazioni o facilitazioni. Non ci sono mani sicure da prendere per trapassare. Non c’è sostegno. C’è più di un metro di salvezza. Regno del perturbante, il rovistare tra l’altrove e l’irriducibile hic et nunc, è conversione faticosa. Dimensione coercitiva che sperimentiamo oggi tutti: la reclusione. Dispiace, ma bisogna accettare di essere respinti. Stare immobili. Immaginarsi sospesi per il tempo necessario. Affrontare tutto il quotidiano in questa arrendevolezza. I brividi del campo di battaglia buio di assenze, restituiscono l’efferata sensazione di esserci.

Insomma, in cosa consiste il necessario? Chi l’ha detto che bisogna andare incontro (al pubblico)? Chi ha detto che bisogna essere condivisibili e comprensibili urbi et orbi? Siamo sicuri che il conformismo imperante non può essere scalfito in nessun modo? L’esperienza culturale non dovrebbe essere un inciampo? Siamo nell’era dell’intrattenimento trasversale e definitivo? Oggi più che mai, in una massiccia fruizione di “cultura” commestibile on line, lo sforzo del distacco e della comprensione profonda sono beni inestimabili. La riscoperta della pagina, di queste settimane, impone una riflessione sul rapporto tra scrittore e pubblico, tra autore e opera, tra testo e lettore.
Leggere è osservare come veggenti il fluire delle parole sotto i nostri occhi, proprio come gli àuguri facevano col volo degli uccelli nel cielo (spazio sacro-templum) ad interrogare il destino. Una responsabilità non da poco e per l’appunto, nel momento della lettura, siamo in uno stato di veggenza, di complessa articolazione dell’immaginazione. Del produrre mondi.

Le parole, lo sappiamo, hanno il potere di fare sparire le cose, e di farle apparire in quanto scomparse, apparenza di una sparizione, presenza che, a sua volta, ritorna all’assenza per il movimento di erosione e usura che è l’anima e la vita delle parole, e trae da esse luce per il fatto che si spengono, chiarezza tramite l’oscuro.
Maurice Blanchot
Luci e ombre. Sparizioni e apparizioni. Immagini e parole. Singolare come in parallelo a tratti divergendo, i due intellettuali scomodati in apertura, attraversino le tenebre fiammeggianti del dominio dell’immagine verbale, della parola visiva, della poesia per farla breve. Agamben s’interroga tra fiamme, narrazione e memoria, mentre Perniola affronta le ombre gettate dall’arte. Antri bui e sciabole di luce da approcciare con attenzione, in questi tempi da mali estremi.

Dove s’incontrano il fuoco e il racconto nell’arte del narrare? In che senso sono connesse l’ombra e l’arte? E ancora in che punto raccontare, fiamma e ombra convergono e divergono? Tra le ombre e le fiamme l’unica certezza è l’enigma. Solo in alto e al di là, sono riposte le illuminazioni, dove si smarriscono i passi e l’ardimento viene ricompensato.
La mistica ebraica ci viene in aiuto. Fuoco, preghiera e memoria si fondono in un aneddoto sapientemente narrato da Yosef Agnon, dal quale scaturisce la lapidaria affermazione del filosofo Agamben:
ogni racconto – tutta la letteratura – è (…), memoria della perdita del fuoco.
E ancora:
Ma in che modo un elemento, la cui presenza è la prova confutabile della perdita dell’altro, può testimoniare di quell’assenza, scongiurarne l’ombra e il ricordo?
Ed ecco il punto di contatto. Scongiurare l’ombra non è possibile. Perché non è l’ombra di per sé il centro nevralgico della questione, ma ciò che accade e si agita in quell’ombra che testimonia un’assenza ridondante d’imminenti sviluppi. Nuovamente s’intriga il destino, l’infinita variabile di tutte le possibilità nelle nostre mani. Un’offerta dall’immanente. Nel dare (alla luce) il ricevere.

L’ombra di San Gimignano ci mostra un sacerdote immortalato nel gesto dell’offerta, con tanto di patera ombelicata in una mano, mentre l’altra si mostra a palmo aperto stretta all’inguine. Maschile e femminile si fondono in un’evidente immagine votiva senza tempo. Dalla toga e dai calzari emerge un’altra interessante indicazione. La figura sarebbe anche un’arringatore. In una sola raffigurazione il sacerdote offerente e l’arringatore coincidono in un’essenziale riduzione della figura umana estesa proprio come una fiamma. Il pensiero corre alle figure affusolate di Giacometti. D’altronde favella e favilla, fantasma e favola hanno radice comune, quel BHA indoeuropeo che significa splendore.
Ma colui che eccelle nell’uso della parola e colui che orante, si pone fulcro tra i vivi e i morti sono la medesima effige, ricordandoci che l’uomo tra gli esseri viventi è in effetti l’unico che ha la facoltà di morire e di parlare.

Qui non vident videant. In un gioco di sguardi e di liberazione, l’essere umano con l’ausilio del genio alato dal capo fiammeggiante, si libera dell’intrico della pesantezza dei vizi e delle bassezze materiali. Tra messaggi biblici e massonici, il disinganno poggia proprio sul personale sacrificio di scioglimento dei nodi nello spazio vuoto della scoperta e dello sguardo ritrovato. Districarsi per guadagnarsi l’altezza è impresa solitaria e necessaria . Ma impone un’azione che sia determinate, che spinga verso la “verità”. Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina , equivale proprio a risollevare lo sguardo, senza attendere aiuti e facilitazioni esterne. Prendi con te la materia stessa che ti distende e guarda avanti. Il dubbio, la contraddizione, la paura, l’imprevisto, l’avventura del domani. Non ci sono salvaguardie e sospensioni che possono restituirci il vivere nella sua imprevedibilità. Non ci chiudiamo. Non è un bene. Nemmeno in tempi di forzature. Si rischia la sopravvivenza ciecamente biologica, al di là dell’esistenza stessa.

Sta scritto: “in principio era la Parola“. E eccomi già fermo. Chi m’aiuta a procedere?
M’è impossibile dare a “Parola” tanto valore. Devo tradurre altrimenti, se mi darà giusto lume lo Spirito. Sta scritto: “in principio era il Pensiero“. Medita bene il primo rigo, ché non ti corra troppo la penna. Quel che tutto crea e opera, è il Pensiero.
Dovrebb’essere: “in principio era l’Energia“. Pure, mentre trascrivo questa parola,
qualcosa già mi dice che non qui potrò fermarmi. Mi dà aiuto lo Spirito!
Ecco che vedo chiaro e, ormai sicuro, scrivo: “in principio era l’Azione“!
Johann Wolfgang von Goethe, Faust
Con questo dodicesimo appuntamento si conclude la prima stagione de L’uomo nero. Non si tratta di un addio ma di un arrivederci. Nonostante la paralisi di questi mesi, bolle tanto in pentola. A presto. Teniamo duro.
Fabrizio Ajello
In copertina: Anne Imhof, Faust – 2019
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