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L’arte della conversazione – un dialogo in due tempi #1

Un dialogo aperto in due tempi su formazione, arte, identità e libertà a partire dalla recente pubblicazione del saggio La sintassi della libertà del critico d’arte e curatore Pietro Gaglianò.

F- Il tuo volume di recente pubblicazione La sintassi della libertà ha un titolo forte e a mio avviso è un saggio importante e impegnativo, nel senso che impone una particolare attenzione e una rilettura costante nel tempo. Partirei, per avviare questo nostro confronto, da una parola chiave, o perlomeno da un sostantivo che intercetta uno dei concetti fondamentali emergenti nella trattazione: conversare. Il termine proviene dal latino: CUM – insieme / VERSARE – volgersi, praticare. Siamo quindi nell’ambito di una forte connotazione relazionale che comporta lo stare insieme, aggiungerei nel rispetto reciproco, e il praticare, cioè il mettere in pratica, il tradurre. Due azioni che segnano il passaggio come spazio della scoperta e del confronto. Dal pensiero alla messa in pratica il primo e il passare da un linguaggio ad un altro (anche per farsi comprendere). Nel suo breve ma intenso pamphlet Education for socially engaged art Pablo Helguera dedica un intero capitolo al concetto di Conversation. L’artista afferma ad un certo punto che la conversazione si posizionerebbe tra la pedagogia e l’arte, come uno strumento chiave per l’educazione, ma anche come un indispensabile momento di arricchimento individuale. Aggiungeva inoltre di non riuscire a comprendere come si possa porre così poca attenzione all’importanza del dibattito e del dialogo nelle pratiche artistiche in ambiti istituzionali.
Esistono oggi nel nostro Paese esempi di pratica della conversazione da poter indicare come punti di riferimento nei processi complessi che si muovono tra educazione e arte?

P- La conversazione, come ricordi, ha in sé il concetto di una comunanza, di qualcosa che senza l’altro non può prendere forma. Non solo, per la vita e la sensatezza della conversazione è indispensabile concepire la presenza dei nostri interlocutori in un piano paritario, eliminando ogni vizio gerarchico dal rapporto che edifichiamo. Ecco chiediamoci quante volte questa declinazione della relazione abbia veramente luogo, in quali campi del vivere associato, in quali discipline, in quali universi lavorativi. Una sorta di peccato originale ci ha portato a dare alla nostra società un’architettura quasi sempre gerarchica, e il mondo dell’educazione ricalca pienamente questa tendenza, basandosi sul primato della pedagogia trasmissiva che presuppone una forte asimmetria (di generazione, di prestigio, di competenza) e una divaricazione strutturale tra chi insegna e chi apprende. La conversazione invece si fonda sulla reciprocità, su una condizione intersoggettiva in cui in luogo dell’insegnamento si ha una condivisione della conoscenza, dunque la possibilità per tutti di apprendere. Ammettere la conversazione come uno strumento pedagogico (come avviene in tutta la ricerca anarchica e libertaria) implica una visione non solo egualitaria della compagine in seno alla quale si agisce, ma anche solidale, cioè impegnata nella costruzione e nella preservazione della libertà dell’altro, della sua integrità, della sua autonomia.

P- La stessa unilateralità oggi è implicita nella gran parte del sistema di fruizione dell’arte, con un confezionamento di sistemi per la visione e percorsi di visita in cui lo spettatore rimane imbrigliato in una condizione di passività. Tutto il Novecento assiste a tentativi di ribaltare questa geometria, e forse il primo veramente consapevole di questa radicalità fu l’Untitled Event di John Cage, dal quale discende una genealogia di artisti e teorici che arriva fino a Suzanne Lacy, la cui estetica basata sulla conversazione tra le persone ha ispirato una parte del mio libro.

Susan Lacy, The circle and the square – 2015/2017

P- Da questa e da altre sperimentazioni sono derivate esperienze e gruppi di lavoro che in ogni generazione animano le possibilità del rapporto con l’arte, rendendo critico a volte anche il confine tra forma dell’arte e pedagogia. Alcune funzionano come simposi in cui gli artisti si liberano dal vincolo del finalismo e lavorano, o conversano, senza altro scopo che la sperimentazione e la conoscenza reciproca (sono così Madeinfilandia o la Fondazione Lac o le Mon); in altri casi vengono attuati dei sistemi di condivisione che si rivolgono principalmente a un pubblico che di consueto non frequenta gallerie o aule didattiche nei musei (tra queste ci sono i progetti della Scuola Civica di Arte Contemporanea realizzata dal collettivo Giuseppefraugallery, a Iglesias, o la Nuova Didattica Popolare di cui mi occupo io, nata a Guilmi Art Project). Artisti, curatori, critici riescono a valicare la posizione cattedratica in cui l’opinione comune li colloca e aprono veri spazi per il pensiero. Molte di queste realtà sono state descritte con attenzione da Maria Rosa Sossai nel suo “Vivere insieme” del 2017.

F-Sapere è potere. Sapere di non sapere (mi viene in mente Rancière) che tipo di potere incarna, se ne incarna uno? Possiamo ancora permetterci di confondere processo e sostanza? Soprattutto possiamo permetterci di precipitare intere generazioni in imbuti didattici che costringono l’apprendimento in una sottomissione all’illusione dell’insegnamento/apprendimento, obbligatorio per giunta, e al drammatico successo scolastico (termine inadatto e fuorviante)? In queste questioni, riprendo, ovviamente, il pensiero di Illich, soprattutto nel suo testo imprescindibile Descolarizzare la società.

P – Illich enuncia uno dei grandi scandali nella cultura neopositivista del Novecento, e cioè che la scolarizzazione di massa non è buona né desiderabile. Nelle sue posizioni riecheggiano quasi due secoli di teoria anarchica contro la scuola di stato, che da un pioniere come William Godwin in poi è stata percepita come una capillare, massiva fabbrica di obbedienza, di cittadini consenzienti e automatici. La critica alla scolarizzazione, contro la quale hanno scritto e agito Godwin, Francisco Ferrer, Herbert Read, Illich, presuppone una trasformazione radicale non delle tecniche di insegnamento ma della società di matrice occidentale tutta intera. A pensarci bene è vertiginoso: a ogni persona verrebbe restituita la gestione della propria intelligenza, e quindi la propria integrità, la propria felicità: come scriveva Read, ci sono due obiettivi, tra loro inconciliabili, che possono animare l’azione educativa: “l’uno, che si educhi l’uomo a diventare ciò che è; l’altro, che lo si educhi a diventare ciò che non è”. Naturalmente questo non ridiscute l’importanza della competenza e della perizia indispensabili alla cardiochirurga come all’architetto (o al cuoco, alla sarta, etc…) ma il modo in cui ogni competenza viene acquisita, e soprattutto la dimensione etica che soggiace all’acquisizione di queste conoscenze. Tutto questo mi sembra facile da comprendere pensando alla libertà dell’orizzonte in cui agisce l’artista (quando sa usarla questa libertà, quando vuole). A nessun artista può essere detto come deve fare quello che solo lui sa fare (nonostante dalle scuole primarie fino ai più titolati istituti di alta formazione artistica ci sia sempre qualcuno che sembra saperlo).

Fabrizio Ajello

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Pietro Gaglianò (1975). Laureato in architettura, critico d’arte e curatore, approfondisce l’analisi sulla linea delle libertà individuali, delle estetiche del potere, della capacità eversiva del pensiero critico e del lavoro artistico. I suoi principali campi di indagine sono i sistemi teorici della performance art, in relazione alle estetiche dell’arte visiva e del teatro di ricerca; il contesto urbano, architettonico e sociale come scena delle esperienze artistiche contemporanee; i temi e i processi della pedagogia radicale e libertaria al quale è dedicato il volume “La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia”, Gli Ori 2020.

In copertina: René Magritte, L’arte della conversazione, 1963

continua >>> L’arte della conversazione – un dialogo in due tempi #1

 

About the author

Fabrizio Ajello

Fabrizio Ajello si è laureato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, con una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea.
Ha collaborato in passato attivamente con le riviste Music Line e Succoacido.net.
Dal 2005 ha lavorato al progetto di arte pubblica, Progetto Isole.
Nel 2008 fonda, insieme all'artista Christian Costa, il progetto di arte pubblica Spazi Docili, basato a Firenze, che in questi anni ha prodotto indagini sul territorio, interventi, workshop e talk presso istituzioni pubbliche e private, mostre e residenze artistiche.
Ha inoltre esposto in gallerie e musei italiani e internazionali e preso parte a diversi eventi quali: Berlin Biennale 7, Break 2.4 Festival a Ljubljana, in Slovenia, Synthetic Zero al BronxArtSpace di New York, Moving Sculpture In The Public Realm a Cardiff, Hosted in Athens ad Atene, The Entropy of Art a Wroclaw, in Polonia.
Insegna materie letterarie presso il Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze.

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