Raramente è stata approfondita la vita privata dei grandi artisti del passato in letteratura. Una straordinaria occasione ci viene regalata dall’ultimo libro di Luca Nannipieri, affermato critico d’arte toscano (direttore di Casa Nannipieri Arte, dove ha curato mostre e conferenze, da Giacomo Balla a Keith Haring), che con “Il destino di un amore. Tiziano Vecellio e Cecilia”, in uscita in questi giorni, dedica all’amore perduto del grande pittore della Scuola veneziana l’ultima sua fatica.
Un vero e proprio romanzo dunque dedicato all’amore di Tiziano per Cecilia Soldani, sua moglie che, dopo avergli già dato due figli Orazio e Pomponio e, dopo aver perso una terza figlia Emilia, muore di parto alla nascita della quarta, la piccola Lavinia. Nella memoria ossessiva di lei, Tiziano inizia così a riprodurla in molte delle sue opere.
Il nuovo libro di Nannipieri racconta tra l’altro la storia della genesi del celeberrimo capolavoro Venere di Urbino, oggi conservata alla Galleria degli Uffizi (sala di Tiziano, numero 83), primo quadro in cui la rappresenta. La grande opera, uno dei nudi femminili più famosi della storia dell’arte mondiale, riproduce una bellissima donna giacente sul letto, ai cui piedi dorme un cucciolo di cane, mentre alle sue spalle due donne sembrano cercare qualcosa dentro a un cassone, che contiene chissà quali stoffe e abiti pregiati. Chi è la donna sdraiata, chi sono le donne dietro di lei, perché il cagnolino e ad altre intriganti domande vuole rispondere il bel libro di Nannipieri, che scioglie molti dubbi e svela molti misteri sulla vita intima di Tiziano, misconosciuta ai più, e su alcune delle più belle opere della storia dell’arte.
La dama ritratta è appunto la giovane Cecilia Soldani di Feltre, figlia di un barbiere di Perarolo, paese vicino a Pieve, moglie di Tiziano, già allora uno degli artisti più acclamati del suo tempo. È incinta del terzo figlio, una gravidanza complicata. Cecilia vorrebbe abortire per continuare ad amare il pittore, ma muore scegliendo di dare al mondo la creatura che il marito tanto desiderava. Alla nascita della piccola Lavinia, Tiziano, che fino ad allora ha seguito solo fama e soldi, è travolto dall’improvvisa coscienza di un sentimento unico e disperato, scoperto solo con la morte della moglie. Inizia, così, a cercare Cecilia nei suoi quadri, dipingendola con tutto l’amore che negli anni non è riuscito a darle. La Venere, realizzata nel 1538, è ancora, per chiunque la osservi, la scintilla palpitante di quel dolore e di quell’amore. L’opera, commissionata dal Duca di Urbino, Guidobaldo II Della Rovere, è molto intrigante per i suoi significati nascosti. Il cagnolino ai piedi della donna è simbolo di fedeltà coniugale, mentre la donna alle spalle, che guarda la bambina mentre rovista in un cassone è un augurio di maternità.
La forte carica sensuale dell’opera era quindi coerente con l’uso domestico per cui fu commissionata. La posa della figura nuda è sicuramente un omaggio all’amico e maestro Giorgione, che nel 1510 aveva dipinto un quadro molto simile, la Venere dormiente del 1510 circa, conservato nella Gemäldegalerie di Dresda.
In quest’opera Tiziano, grazie all’uso sapiente del colore e dei suoi contrasti, come anche del sottile gioco di significati e allusioni, arriva alla perfetta rappresentazione della donna rinascimentale che, come Venere, diventa simbolo di amore, bellezza e fertilità.
Secondo le biografie riconosciute, Tiziano convolò a nozze solo nel 1525, quando la giovane gli aveva già dato i primi due figli. L’artista sopravvisse a lungo a Cecilia, che muore il 6 agosto 1530, mentre lui muore molto anziano, vari decenni dopo, nel 1576. Come scrivono le persone a lui vicine, Tiziano rimase molto turbato e smise di lavorare per un lungo periodo, affranto dal dolore per questo amore, a cui forse in vita non aveva dedicato abbastanza tempo. Lui era una persona importante, invitato nelle corti di tutta Italia, ma solo troppo tardi si accorge che oltre alla gloria, c’è un’altra cosa forse più importante: l’amore. Sappiamo che non si risposò mai più, ma che si dedicò in seguito all’avvenire dei figli: Pomponio abbracciò la carriera ecclesiastica; Lavinia sposò Cornelio Sarcinelli, ricco gentiluomo della nobiltà di Serravalle; Orazio, il prediletto, collaborò con lui nella sua bottega.
Tra le numerose biografie di artisti tormentati e poveri in canna, un caso anomalo è costituito appunto da quella di Tiziano, che, raggiunti assai presto la notorietà e il guadagno, diventò l’artista più pagato e conteso dell’Europa del XVI secolo, aiutato anche dal suo fiuto per gli affari e dalla sua notevole capacità imprenditoriale, qualità piuttosto rare all’interno della categoria. Nato a Pieve di Cadore, allora territorio della Serenissima, in un anno imprecisato attorno al 1490, da un’antica e solida famiglia di giureconsulti e amministratori, che traeva una parte dei guadagni dallo sfruttamento sistematico del legname boschivo, alla base della costruzione delle navi della flotta della Repubblica di Venezia. La scoperta del suo talento si colora di leggenda, quando si narra che, ancora fanciullo, dipinse sul muro della casa paterna una Madonna usando il succo spremuto dalle erbe e dai fiori. Stupiti dalle sue precocissime capacità, i parenti lo mandarono a studiare a Venezia. La città, dove già operavano importanti maestri, quali Vittore Carpaccio, i fratelli Gentile e Giovanni Bellini e Giorgione, era allora ricca di fermenti e novità pittoriche, introdotte anche dal passaggio di artisti italiani e stranieri come Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer, figure determinanti per la formazione del grande maestro veneziano.
“Se guardiamo la Venere di Urbino – racconta lo scrittore (autore anche di Capolavori rubati 2019, Raffaello 2020, A cosa serve la storia dell’arte 2020, e con Rai Libri Bellissima Italia. Splendori e miserie del patrimonio artistico nazionale 2018) – ci rendiamo conto che è una Venere particolarissima, di solito simbolo di seduzione, questa ha una certa tristezza negli occhi, come un dolore inspiegabile, tutt’altro che un volto sensuale. Inoltre se osserviamo meglio la scena, notiamo che la donna distesa tiene una mano sul pube e nell’altra delle rose. Dietro di lei ci sono due domestiche, di cui una è una bambina, l’altra è una signora, che potrebbe essere sua madre”. Nel romanzo viene svelato il segreto del quadro, un possibile significato nascosto dell’opera, cioè che nella scena di fondo ci fosse la famiglia che Tiziano non è mai riuscito a vivere appieno. Le donne dunque non sono due domestiche, ma la bambina cresciuta Lavinia e la madre che è morta partorendola, appunto Cecilia.
Ma non sveliamo altro, anche perché il libro anticipa la grande mostra adesso a Vienna “Tiziano e l’immagine della donna”, promossa da Skira Editore, in collaborazione con Kunst Historisches Museum di Vienna, attesa al Palazzo Reale di Milano dal 23 febbraio a maggio 2022.
Cecilia Barbieri