Arte e Fotografia MEME MORE

La Fotografia è una penna che scrive

La fotografia è una penna che scrive. Può scrivere bene o male, può essere portatrice di contenuti interessanti o banali, di soggetti intriganti e toccanti, di narrazione e di poesia, di fatti. Tutto può essere visto dalla fotografia perché è estensione dei nostri occhi ed è dotata di un potere enorme: testimoniare il passaggio del tempo e con esso la nostra esistenza.

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Palazzo Braschi a Roma è magnifico.

Sembra che questo luogo magico che si affaccia su Piazza Navona venga usato per vagliare il  consenso popolare sulle mostre degli artisti che saranno ospitati in seguito nei grandi spazi espositivi della capitale. E’ lo stesso meccanismo delle serie tv che sperimentano atmosfere, soggetti, tecniche di ripresa e contenuti che ritroviamo dopo poco tempo nel grande cinema.

Questa volta la proposta di Palazzo Braschi è sugli “ever green” del paesaggio urbano: Gabriele Basilico, Roberto Bossaglia, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Roberto Koch, Andrea Jemolo.

“Queste immagini, provenienti dalla sezione contemporanea dell’Archivio Fotografico di Palazzo Braschi, raccontano – con la cura di Anita Margiotta – la città di Roma mostrando le importanti trasformazioni che ha subito negli ultimi decenni, offrendo nel contempo un’opportunità di riflessione sulla fotografia contemporanea e sulla sua ricerca di nuove iconografie del paesaggio urbano”.

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I fotografi usano un canale privilegiato che è la visione soggettiva. Definire la visione è tutt’altro che banale: si tratta della sintesi tra un mezzo meccanico/biologico che è l’occhio ed un interprete simbolico/semantico che è il nostro cervello. La realtà dell’attimo che si produce davanti a chi fotografa si unisce alla sua esperienza presente e passata e scolpisce nella materia un istante di tempo. La fotografia è un grande processo di sintesi. Un semilavorato e un prodotto finito al contempo.

Agli inizi del 1800 raccontare il paesaggio urbano è stato per la neonata fotografia un passo scontato. La tecnica fotografica infatti trova la prima ragion d’essere nella documentazione dello spazio. Si sostituisce alla pittura e al disegno e lentamente si guadagna la “dignità” di arte.

In tutte le fotografie che troviamo in mostra, il passaggio continuo dal immaginifico al concreto (da Ghirri a Basilico, da Guidi a Jemolo), assume la  perfetta organizzazione delle linee come cifra stilistica, e sembra ricalcare durante il suo percorso conoscitivo la polarizzazione dell’architettura, che trova la propria identità pescando ora nel mondo simbolico ora nel materiale, per giungere sovente ad una sorta di “iperrealismo” che diventa esso stesso, paradossalmente, astrazione.

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I fotografi ritraggono segni di contaminazione stilistica all’interno degli spazi urbani, evidenziano le tracce di un mondo che sparisce o di un mondo che emerge. Il paesaggio si modifica secondo la cultura del periodo, ma nello stesso tempo si modifica l’occhio di chi osserva e vede il presente mentre conosce il passato, o viceversa vede e comprende solo il tangibile perché non conosce a fondo la realtà che ritrae.

Quando ascolti una persona della quale non conosci la storia “deduci” e “induci” al contempo, per orientarti nel complesso mondo del giudizio che ti serve per distinguerti dall’altro e meglio definire te stesso e il tuo rapporto con il mondo.

I grandi fotografi di paesaggio urbano, mentre narrano lo spazio nel quale abitiamo, ritraggono comunque il mondo di chi lo guarda e ci ricordano che tra l’interno e l’esterno di noi stessi c’è solo la sottile linea del pensiero.

Patrizia Genovesi

About the author

Patrizia Genovesi

Patrizia Genovesi è docente, fotografa e videoartista. Ha studiato Fotografia con autori come Leonard Freed, Richard Kalvar, Attar Abbas, Moises Saman; ha studiato Sceneggiatura cinematografica e regia teatrale con Mario Monicelli, Domenico Starnone e Renzo Casali. Impegnata nella produzione e nella didattica, è docente della Libera Università del Cinema di Roma e membro di Officine Fotografiche.

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