Sulla natura fisica del cinema: il caso di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi.
Quando si parla di Yervant Gianikian (Merano, 1942) non si può non parlare di Angela Ricci Lucchi (Lugo di Romagna, 1942 – Milano, 28 febbraio 2018). Il nucleo centrale del loro lavoro sta nelle ricerche d’archivio nel cinema muto, negli home movies, e nel riprendere la quotidianità: il materiale filmico viene riportato al presente attraverso piccoli interventi di colore e interventi plastici; talvolta vengono inseriti piccoli appunti letterari all’interno del film. Una doppia poetica, quella che vede le immagini filmiche dotate di una grande autonomia, e quella letteraria, come quando i due artisti scrivono dei diari con gli appunti riguardanti le modifiche dei film, o appunti su futuri lavori da fare.
Artisti come Gianikian riportano alla luce la vera natura del cinema, che è fisica: una materia su cui lavorare, che può assumere vari significati a seconda di come la si elabori. Il lavoro quindi è prima di tutto manuale, di tatto, un lavoro che vede l’utilizzo di macchinari- come la camera analitica– in grado di fotografare le immagini originali agendo direttamente sul fotogramma, lasciando poi nella fase di montaggio una visione aperta allo spettatore.
Un esempio di ritrovamento e di rielaborazione del materiale cinematografico lo si può trovare nel film Dal Polo all’Equatore (1986), il quale ha la seguente introduzione: “A Luca Comerio, pioniere del cinema di documentazione, morto nel 1940 in stato di amnesia. L’amnesia chimica, la muffa, il decadimento fisico della immagine, è lo stato che circonda i materiali filmici”.
Le immagini ritrovate fanno parte di memorie passate, e spesso dimenticate (è il caso dell’archivio di Luca Comerio) e vengono – grazie a Gianikian e Lucchi- sottratte dal pericolo dell’oblio e dalla muffa che si addentra nella pellicola come se fosse una malattia irreversibile; a poco a poco grazie all’artigianalità dei due registi tutto prende una nuova forma: appare il non-visibile, il colore viene adattato alle immagini apportandone un nuovo spirito, e il ralenti evidenzia il valore di ogni singolo fotogramma.
Il lavoro di questi due registi si basa da un lato sul puro amore verso l’osservazione del materiale, e dall’altro sulla sua funzione documentaristica. I loro film sono distanti dall’idea di documentario storico diffuso nelle televisioni nazionali: un esempio di rottura degli schemi dettati dai format dei vari programmi televisivi e di importanti riconoscimenti internazionali è Oh!Uomo (2004) – un film realizzato con materiali filmici della prima guerra mondiale che- attraverso immagini (un tempo censurate) di corpi rovinati e di visi devastati dagli orrori della guerra – si lega alle continue vicende che accadono tuttora nel mondo; un film che pone l’attenzione sullo sguardo (in questo caso dei militari feriti) che si incrocia con quello dello spettatore, un tema che spesso si ritrova nei film di Gianikian e Lucchi; uno sguardo rivolto al presente, che fa riferimento a tutto ciò che accade oggi e a come ci viene mostrato.
Francesca Gomiero