Il titolo della mostra in corso fino al 13 agosto a Firenze alla Galleria Eduardo Secci, è preso in prestito dal cortometraggio realizzato per il programma Rai Io e…, andato in onda nel 1974, in cui Pier Paolo Pasolini, esteta della forma e della natura, riflette sui cambiamenti in corso in Italia relativi all’espansione delle città moderne. Vittime, secondo l’ottica pasoliniana, dell’avanzante capitalismo privo di fantasia e invenzione, questi centri hanno perso la loro pura perfezione, corrotti e disturbati dalla cavalcante ed estranea necessità dell’ampliamento. La sua è una volontà di difendere e, usando un termine urbanistico, una necessità di fortificare un’integrità collettiva in cui l’opera popolare abbia la stessa importanza e dignità di quella d’autore, in un’ottica tradizionalmente e culturalmente democraticizzata in cui il passato anonimo è parte integrante di un popolo e della sua identità.
Gli artisti, guidati dal curatore Pietro Gaglianò, sono stati invitati a guardarsi alle spalle, a esaminare la storia e i suoi processi concentrandosi sul rapporto tra l’uomo e lo spazio che abita, sul significato dell’arte che si è trasformata proprio come la città. A crearsi è, così, un mosaico di riferimenti e di punti di vista, in una dimensione che sosta tra il reale e l’immaginativo, tra la memoria storica e le sue manifestazioni artistico-formali.

Una riflessione sul rapporto tra reale e ideale è quella messa in campo da Michele Guido (1976), che crea, con una pianta dai contorni geometrici che ci ricorda la rinascimentale Sforzinda di Filarete, una città utopistica la cui forma, cementificata nel disegno e nella precisione matematica, rimanda a quella di un essere vegetale (per l’idea secondo la quale i profili architettonici si ispirino a quelli naturali e in accordo con il pensiero di Pasolini secondo il quale tutela della città e salvaguardia della natura costituiscono uno stesso problema). La geometria e la compostezza sono due leitmotiv presenti anche nei lavori di Marco Neri (1968): l’uno, un’installazione di trentacinque quadri-finestre che costituiscono una sorta di archivio dell’edilizia contemporanea; l’altro, una sovrapposizione di tele dipinte che rimandano al prototipo di un agglomerato urbano. È il modello statico della compattezza e della serialità cittadina, dell’identicità e della rigidità delle forme in cui la presenza dell’uomo non è inclusa.

L’eco di Pasolini ritorna nella complessità dell’opera di Giuseppe Stampone (1974), in cui La Resurrezione di Piero della Francesca, riflesso delle idee prospettiche rinascimentali, viene scomposta ed elevata a fenomeno concettuale. Il Cristo del dipinto, il post-umano, troneggia accanto alla locandina di Salò o le 120 giornate di Sodoma, in un’ottica politico-filosofica che trascende il semplice riferimento formale.
L’uomo nella sua collettività abita, invece, i disegni di Margherita Moscardini (1981), che traspone sulla carta folle di individui in rivolta dai tratti fisiognomici indefiniti e comuni. La singolarità cede il posto alla molteplicità, a una moltitudine umana che prende proprio la forma della città, delle sue strade e delle sue piazze, nel tentativo di riappropriarsene fisicamente e socialmente. È la stessa riappropriazione, anche se in veste fantastico-concettuale, che opera l’artista italo-libanese Elena El Asmar (1978): due arazzi cuciti in bianco e nero, come se fossero delle grandi stampe fotografiche, recuperano specifici elementi della città, ri-creati attraverso l’utilizzo di oggetti quotidiani, dando vita a un realtà immaginativa in cui il ricordo si interseca sottilmente alla possibilità dell’interpretazione.

Un’interpretazione quasi surrealista quella che, invece, impera nel dittico di Andrea Galvani con protagonista l’automobile, stereotipo della moderna e futuristica velocità di cambiamento dello spazio nel tempo. La ripetizione dell’oggetto, monade della tecnologia, sembra ricalcare la disposizione degli edifici urbani, ma la luce emanata dalle ruote fa apparire i veicoli come dotati di vita propria, sufficienti a se stessi per le loro capacità meccaniche e motorie.
La forma della città, dunque, diventa in questa mostra metafora di invenzione creativa e riflessione storica, una riflessione che Pasolini avrebbe voluto vedere o sentir fare a più persone.
Cristiana Sorrentino



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