Sorridi, sei in diretta. Nell’epoca dell’always on, è possibile sfuggire al torrente della diretta full time? Dai social network alla politica, dalle app all’arte, dalle banalità della quotidianità fino al golpe in Turchia “sventato” dal suo leader tramite un appello in diretta Facetime: un moodboard di parole e immagini attorno a un concetto che sta cambiando, ogni giorno di più, il nostro modo di vivere.
La diretta siamo noi. Da sempre ci si fida maggiormente di ciò che si vede. E allora è facile fare un po’ i San Tommasi, soprattutto oggi dove la verità non è più consegnata ai dogmi, alla politica o ai media, ma a ciò che vediamo e sentiamo, con i nostri occhi e le nostre orecchie. La cronaca degli ultimi tempi ha dimostrato quale importanza abbia assunto la documentazione in diretta dei fatti, testimonianze imprescindibili da qualsiasi altra fonte perché non filtrate, illibate da ogni possibile intermediazione.
I ferri del mestiere. Tutto ciò non sarebbe possibile senza l’enorme offerta di app e servizi messi a disposizione della tecnologia e dei social media che sempre più intendono sviluppare e portare alle estreme conseguenze la diretta: Periscope, Facebook Live, Meerkat, oltre alle già consolidate piattaforme come You Tube e You Reporter, il sistema di video sharing sta raggiungendo livelli popolarità mai conosciuti prima. E, soprattutto, alla portata di tutti. Per fare un video su Periscope e magari raggiungere in poco tempo centinaia o migliaia di followers, non servono lauree, tesserini, raccomandazioni, denaro o talento particolare, basta essere al momento giusto nel posto giusto.
Un archivio amatoriale della contemporaneità. Probabilmente chi scriverà la storia della nostra generazione attingerà a man bassa a tutti questi contributi amatoriali che descrivono meglio di altri la nostra contemporaneità. Un modo fedele e a volte impietoso di descrivere il nostro oggi, così terribilmente vero, dietro la velleità un po’ naive dell’amatorialità.
E la giustizia si fa da sè, in diretta. Caso emblematico e senza precedenti è quello di Diamond Reynolds, ragazza afroamericana del Minnesota, che lo scorso 6 luglio riprende in diretta video su Facebook la morte del suo fidanzato, freddato senza un apparente motivo da un poliziotto bianco, riaprendo di fatto la lotta mai sopita della segregazione razziale negli USA. Il video di 8 minuti e 49 secondi fa il giro della rete dal profilo facebook della donna, raggiungendo milioni di visualizzazioni e suscitando la rabbia e l’indignazione di molti. Questo stesso video porterà anche all’uccisione di 5 poliziotti bianchi a Dallas, una vendetta consumata dai social alla realtà.
Al tramonto un’era dei media. Sono i media tradizionali (carta stampata et similia) a pagare più di altri il prezzo della “nuova” diretta: il giornalismo tout court oggi rischia sempre più di chiudersi nella torre d’avorio delle parole, dei commenti posticci, delle interpretazioni fuori tempo massimo, mentre la realtà corre più veloce: più veloce della carta stampata, più veloce dell’elaborazione di un pensiero critico, più veloce della penna degli editorialisti, più veloce della trasferta del videoreporter sul luogo dei fatti.
Diretta e massa critica. Secondo Beppe Severgnini, anche chi maneggia notizie da decenni è sbalordito: si sono avverate tutte insieme le fantasie del mondo collegato, le previsioni sui nuovi media, le teorie sugli effetti esponenziali della condivisione; “è come se la comunicazione avesse raggiunto, di colpo, una massa critica; e fermarla non è più possibile”.
Politica(nti) in diretta. Ormai la politica si fa più su internet che nelle sale di palazzo. Blog, live tweeting, conferenze Q&A (i question & answer sui social introdotti da Obama e adottati da altri, anche dal nostro premier Matteo Renzi), infiniti talk show, carrellate di ore di diretta per le elezioni presidenziali, per attendere il risultato della Brexit, o per conoscere in tempo reale i nomi dei nuovi sindaci eletti. Alti livelli di diretta si sono raggiunti con l’intervento sulla CNN di Erdoğan che lo scorso 15 luglio ha potuto così incitare il suo popolo tramite Facetime a scendere nelle piazze e a ribellarsi al golpe.
Il bello della diretta… A turno, più o meno tutti i grandi presentatori della TV o della radio hanno utilizzato negli anni questa espressione per giustificare gaffe o gag dovute all’imponderabile rischio dell’essere on air e che fanno gola ai programmi di sfottò, pronti a cogliere gli errori in loro favore.
Troppo in diretta. Reality show di ogni genere ormai invadono il tubo catodico e il web: sdoganati a inizi del 2000 grazie al diffondersi del format del Grande Fratello, ora non si contano più. Favoleggiatori della banalità del quotidiano, i reality conferiscono alla diretta una spruzzata di vita che avrebbe la pretese di essere genuina, senza filtri, ma che crea effetti nettamente opposti.
O arte in diretta, o niente. Tino Sehgal, uno degli artisti contemporanei più interessanti degli ultimi anni, ha trovato un modo tutto suo di intendere il medium della performance, evitando qualsiasi tipo di progettazione cartacea e video e la ripresa tecnica dell’intervento: tutto si deve svolgere rigorosamente in diretta. Il progetto viene spiegato a voce da lui stesso ai partecipanti e a chi porterà avanti l’azione giorno per giorno, e non esiste alcuna testimonianza video o fotografica “ufficiale” (sul web si trovano solo quelle amatoriali degli spettatori). L’esperienza del live è l’unico ricordo che Sehgal vuole rimanga allo spettatore. Chi ha potuto visitare un suo intervento (generalmente pensati per musei e biennali), ha ben presente questa fantastica sensazione, che rasenta la libertà. “This is so contemporary, contemporary, contemporary!”
Serena Vanzaghi
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