Continua immutato da lungo tempo ormai l’amore dell’artista belga Jan Fabre per la città di Firenze. Dopo la mostra alla Galleria Il Ponte dal titolo Knight of the night, che ha aperto la stagione espositiva 2015-2016, si rinnova con l’esposizione Spiritual Guards, inaugurata con grande clamore il 15 aprile scorso in tre sedi differenti della città, oltre che nello spazio lounge de Il Ponte.
Il dialogo tra Fabre e la città di Firenze si rinnova, un legame che era già stato ufficialmente suggellato nel 2012 con il dono da parte dell’artista di due teste, dalla serie di 18 autoritratti in bronzo, alla Galleria degli Autoritratti degli Uffizi, situata nel Corridoio Vasariano.
Fino al 2 ottobre un centinaio di opere del discutissimo artista fiammingo, fra sculture, installazioni e video delle performance realizzate tra il 1978 e il 2016, si potranno ammirare in tre sedi differenti, quali Forte Belvedere, Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria. Inoltre la Galleria Il Ponte, che da tempo collabora con l’artista, per l’occasione propone, nel suo spazio lounge, un close up su una selezione di opere da Knight of the night, con fotografie, disegni e sculture di scarabei realizzati dall’artista dal 1992 al 2013. Tra queste il Salvator Mundi (1998) ora presentato nella Cappella dei Priori di Palazzo Vecchio e due Armature, un gambale e un corpetto, precedentemente esposte nella mostra L’ange de la métamorphose al Museo del Louvre e che a ottobre verranno presentate nel Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo.
La mostra antologica, curata da Joanna De Vos e Melania Rossi, che il Comune di Firenze propone per tutto il periodo estivo, è un’immersione totale in un’arte concepita come “poetica resistenza in nome della bellezza”, che celebra l’immaginazione, in cui l’artista assume il ruolo di spiritual guard. Tema centrale dell’arte di Fabre è da sempre lo studio del corpo umano e della sua “trasfigurazione”, lavorando spesso sulle metamorfosi fra elementi umani e animali, che sfidano il naturale ciclo della vita e della morte, in un singolare mondo artistico regolato da leggi proprie, simboli e motivi ricorrenti, come, per esempio, l’autoritratto, nella doppia veste di cavaliere e guardiano, tramite tra terra e cielo, tra forze naturali e dello spirito. Il tutto si trasforma in una singolare sintesi in continuo divenire, unione di corpo dei sensi e di spirituale, di parti cangianti degli scarabei, che si ritrovano come elemento costitutivo di molte sculture e installazioni presenti all’interno del percorso museale di Palazzo Vecchio.
L’intenzione è quella di creare un dialogo fra contemporaneo e antico, in cui la sacralizzazione del corpo in tutte le sue declinazioni, della sua fragilità e capacità di difesa, viene messa in stretta relazione con la storia degli spazi che ospitano le opere. Il confronto è inevitabile e davvero rischioso, ed è per questo che l’artista, nella notte tra il 22 e il 23 aprile, ha voluto chiarire la sua posizione nei confronti dei grandi dell’arte fiorentina, con una delle sue performance, durante la quale, immobilizzato da un nastro che gli avvolgeva il corpo, si è gettato a terra e ha cominciato a strisciare come un ‘verme’ tra i grandi capolavori dell’arte. Un omaggio a Firenze, alla sua bellezza e alla sua arte immortale.
Jan Fabre, nato ad Anversa nel 1958, è l’artista, scenografo, coreografo e regista teatrale, uno dei più innovativi e controversi del panorama contemporaneo internazionale. Artista totale e coraggioso, che dà sfogo alla sua immaginazione cimentandosi nei diversi linguaggi della scultura, del disegno, dell’installazione, della performance e del teatro, spesso andando contro corrente e scatenando differenti reazioni tra il pubblico. C’è chi lo ammira e lo osanna, ma c’è anche chi lo contesta e non lo considera un vero artista. Firenze, si sa, è da sempre restia ad accogliere l’arte contemporanea, e se la colossale tartaruga, Searching for Utopia del 2003, collocata in piazza della Signoria, è già diventata un richiamo per turisti e curiosi, che la fotografano sullo sfondo di Palazzo Vecchio, le polemiche non sono mancate.
Una petizione online ha richiesto al sindaco della città la rimozione di tutte le opere dell’artista da Firenze, contrastato dagli animalisti per il largo utilizzo nelle sue opere di animali. Ma qual è il messaggio che l’artista vuole darci? Che si tratti di una sorta di richiamo alla città e la tartaruga gigante calzi a pennello per ricordare ai fiorentini l’antico motto Festina lente, abbinato al simbolo della tartaruga con vela, posto sulla flotta di Cosimo I de’ Medici? Simbolo ancora oggi visibile in decine di raffigurazioni su soffitti e pavimenti di Palazzo Vecchio, vedi sul soffitto Salone dei Cinquecento, nel Quartiere di Eleonora di Toledo, nel quartiere degli Elementi e nella sala di Leone X. La missione dell’artista è quella di “spiritual guard” della città, ispirandosi al genere letterario del romanzo cavalleresco, uno dei temi cardine della sua intera produzione. The man who measures the clouds è innalzata sull’Arengario di Palazzo Vecchio.
Certo è davvero difficile aggiungere qualcosa, anche se solo per una mostra temporanea, in piazza della Signoria! Niente è da togliere e niente è da aggiungere, in questo spazio perfetto che il passato ci ha consegnato intatto, ma che talvolta viene aggredito da orrendi e inopportuni fontanelli per l’acqua potabile (montati e smontati in un mese), o da vasi di plastica inaccettabili, messi a barriera per salvaguardare le statue, che stridono assai nella città del cotto. Ma queste sono scelte avventate e superficiali di un’amministrazione passata, poco attenta alla bellezza e al tempo stesso alla fragilità di questa città, che abbiamo la responsabilità di mantenere incorrotta il più possibile. Amore, attenzione e rispetto che noi cittadini per primi abbiamo il dovere di mantenere costante per la nostra bella ma difficile Firenze.
Rispetto e amore per la bellezza, che leggo di più in Jan Fabre, nelle cui vene scorrono arte ed emozioni. Anima inquieta, spesso irriverente, che da contemporaneo incarna lo spirito misterioso, lucido e tormentato degli artisti fiamminghi, dall’indole visionaria e poetica, che sta tutta nella frase che lui stesso ha gridato da Forte Belvedere durante l’inaugurazione della mostra: “Viva l’arte! Viva l’arte! Viva l’arte!”.
Cecilia Barbieri
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