Inaugurata lo scorso 1° marzo e prorogata fino al 6 giugno alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Io dico Io – I say I è una mostra-indagine che esplora i territori dell’arte contemporanea italiana in dialogo con le istanze del femminismo. Tappa importante del progetto Women Up, un programma radicale di 6 anni che mette al centro le donne, l’esposizione collettiva si pone innanzitutto l’obiettivo di valorizzare le opere delle artiste presenti nelle collezioni della GNAM smantellando, pezzo dopo pezzo, gli stereotipi più comuni legati al femminile.
L’allestimento, a cura di Cecilia Canziani, Lara Conte e Paola Ugolini, riunisce 49 artiste italiane di generazioni e linguaggi diversi, provenienti da molteplici contesti storici e sociali ma accomunate dalla determinazione a raccontare la propria soggettività in modo autentico, restituendo attraverso una costellazione di visioni il proprio modo di abitare il mondo. Il percorso espositivo restituisce pienamente la pluralità e le convergenze ma anche le dissonanze dei lavori delle artiste in una polifonia che coinvolge in molti sensi.
Frutto di un lungo lavoro di preparazione e di ricerca, Io dico Io – I say I emerge da un dialogo intenso e prolifico tra le curatrici e la direttrice Cristiana Collu che si è progressivamente sviluppato coinvolgendo tutto lo staff della prestigiosa istituzione museale romana. Il grande lavoro di team ha poi mostrato il suo enorme valore proprio in questi strani tempi pandemici. La chiusura temporanea al pubblico è diventata l’occasione per declinare il progetto in forma digitale: il percorso, disponibile gratuitamente su Google Arts&Culture, è in continua espansione.
“Io dico Io”: il percorso espositivo
Il desiderio di restituire e moltiplicare lo sguardo sull’arte e sulla creatività femminile si avverte immediatamente: Io dico Io – I say I è un dispositivo aperto che si sviluppa in tutta la struttura del museo, a partire dal grande salone centrale per poi dipanarsi ovunque, nelle sale laterali in relazione a Time is Out of Joint e negli spazi ammezzati in cui è custodito il materiale dell’Archivio Carla Lonzi, donato alla GNAM nel 2018. L’archivio costituisce, in una certa misura, il punto di partenza per costruire nuove prospettive rispetto alle soggettività femminili contemporanee: la Galleria, infatti, espone in mostra il prezioso materiale della filosofa e critica d’arte che rappresenta a tutti gli effetti la pietra miliare del femminismo italiano.

L’indagine si sviluppa su un doppio binario: da una parte le istanze ideologiche e filosofiche dei processi per l’emancipazione femminile e dall’altra le pratiche artistiche, le estetiche e le poetiche della creatività dei soggetti femminili. Non c’è un solo tema specifico, non c’è un focus unilaterale ma al contrario: ciò che arriva visitando l’allestimento è proprio la molteplicità degli sguardi, la varietà delle prospettive, la polivalenza delle esperienze e dei linguaggi.
È Marinella Senatore a darci il benvenuto con un lavoro site-specific letteralmente abbagliante: un’enorme luminaria che l’artista reinterpreta in chiave fortemente politica. Remember the first time you saw your name è una soglia che delimita il limen, demarcando il passaggio dalla società patriarcale in cui il femminile è pre-determinato alla dimensione della creatività e dell’elaborazione artistica in cui è il femminile che si autodetermina in diverse traiettorie tra passato e presente.
Soggettività e linguaggi in connessione
Le opere di artiste storiche come Marisa Merz, Carla Accardi, Lisetta Carmi e Ketty La Rocca sono presentate in connessione ai lavori delle esponenti della generazione successiva come Vanessa Beecroft, Liliana Moro, Adelaide Cioni, Daniela Comani. Inoltre, le curatrici hanno fortemente voluto opere commissionate ad hoc in una prospettiva di dialogo sul presente e sul cogente.

La pluralità attiene anche ai linguaggi del contemporaneo. La fotografia eterea e analogica di Monica Carocci è in dialogo con la pittura di Irma Blank; gli acquerelli di Carol Rama si propagano nella videoart di Grazia Toderi e così via, in uno straordinario crescendo di rifrazioni caleidoscopiche.
Non manca nemmeno linguaggio del cinema, esemplificato dal lavoro di Rä di Martino che con The pictures of Ourselves induce a riflettere sull’ambiguità, sull’ambivalenza, sulla parzialità di ogni punto di vista. Il corto si sviluppa a partire da un soggetto semplice e complesso al tempo stesso: c’è una bambina a testa in giù, tenuta per le gambe da un uomo. La relazione che intercorre tra i due non è affatto chiara ed è proprio in questo spazio opaco che arrivano le suggestioni, le ipotesi, le connessioni con il proprio vissuto.
E non mancano nemmeno le stimolazioni per i canali percettivi diversi da quello visivo: l’orecchio è avvolto, frastornato, disorientato dal Canto libero #2 di Marzia Migliora, presente in mostra con un’installazione realizzata in collaborazione con la drammaturga Elena Pugliese.
Oltre la mostra
L’essenza di Io dico Io – I say I risiede proprio nella molteplicità degli sguardi, nella pluralità dei codici artistici, nel dialogo tra estetica, pratica e poetica al femminile. In questo senso, l’allestimento proposto dalla GNAM ha una forte valenza politica e sociale, espressa magistralmente anche nel catalogo.
Edito da Silvana Editoriale, il volume è un prolungamento del dialogo che continua e si propaga grazie ai contributi di importanti storiche dell’arte ma non solo. Le intersezioni, infatti, si sviluppano grazie alle voci di esperte in diversi campi come Vera Gheno, sociolinguista, Maura Gancitano, filosofa e scrittrice, Maria Grazia Chiuri, stilista e direttrice artistica di Dior.
Infine, la Galleria Nazionale propone un ulteriore approfondimento dei temi e degli ambiti di ricerca indagati dalla mostra con Io dico Io – Online Series. Si tratta di sei incontri che si sono svolti dal 13 al 22 aprile in diretta streaming su Facebook e che resteranno disponibili sull’account Spotify del museo. Sei tavole rotonde a cui parteciperanno artiste, curatrici, docenti, esperte ed attiviste che si confronteranno a proposito di autorappresentazione, rapporto tra spazio, potere e genere, linguaggi e scrittura e molto altro.
Cristina Cassese
In copertina: l’ingresso alla mostra “Io dico io- I say I” alla Galleria Nazionale di Roma. Ph. Cristina Cassese
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