Interviste

Un fotografo “romantico” | Intervista a Paolo Gotti |

Si potrebbe ricostruire un “atlante per immagini” attraverso le fotografie di Paolo Gotti: culture diverse, così vicine e così lontane, si presentano in tutta la loro autenticità negli scatti rubati dall’autore emiliano. In Paolo Gotti, l’occhio esperto dell’architetto incontra la sensibilità artistica del fotografo e il risultato è una serie di immagini-simbolo, capaci di catturare in un momento la verità della realtà. Lo abbiamo incontrato a Bologna, in occasione della sua personale sul suo ultimo reportage: “Cuba, where are you going?”

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Cuba sta vivendo un momento storico di forte cambiamento: qual è la foto più emblematica nel suo reportage che secondo lei riesce meglio a descrivere la situazione attuale del Paese?

Direi che le foto che meglio descrivono la situazione attuale sono quella che ritrae le scritte su un autobus, simbolo di mobilità, che riflettono il desiderio dei giovani verso una maggiore apertura e benessere, data anche dalla fine dell’embargo con gli USA. La fotografia che ritrae Casa Fuster con il mosaico del “mejor amigo”, ovvero Hugo Chavez, ex Presidente venezuelano, ormai scomparso ma la cui memoria rimane integra, rimanda ad un mondo ancora molto legato ai principi della Revoluciòn, con cui le persone più adulte sono cresciute.

Quale aspetto di quest’isola ha più colpito il “Paolo Gotti fotografo” e quale il “Paolo Gotti uomo”?

Uno degli eventi che ha maggiormente colpito il Paolo Gotti fotografo è stato senza dubbio la giornata trascorsa all’interno della foresta di Baracoa all’estremo est dell’isola dove ho assistito al combattimento dei galli, pratica illegale anche per il tipo di scommesse che ci gravitano attorno, che possono compromettere in pochi minuti un intero stipendio medio mensile. Una situazione sicuramente forte a livello emotivo ma affascinante, che mi ha portato addirittura a scrivere una testimonianza scritta che accompagna le immagini in mostra dedicate a questo tema. La foto che rappresenta il gallo vincitore e lo sguardo fiero del suo proprietario è stata scelta tra le 13 inserite nel calendario realizzato in occasione della mostra.

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Il Paolo Gotti uomo invece è rimasto impressionato dall’atmosfera e dal carattere del popolo cubano, sempre pronto a fare festa, pieno di vita che si esprime nella musica e nel ballo. Sono persone molto cordiali che non si pongono assolutamente in maniera ostile e sospettosa come avviene in altri paesi del Sud America che ho visitato, come ad esempio il Venezuela e Haiti.

Lei ha una formazione da architetto, la fotografia è nata in seguito come passione e come professione. Come si sono fuse e influenzate tra loro le due conoscenze/competenze?

Se ci fate caso e andate a indagare nel passato di molto fotografi, vi accorgerete che molti di essi hanno iniziato studi di architettura, magari non portandoli a termine. Per quanto mi riguarda, quando ero quasi alla fine del mio percorso accademico, subito dopo il servizio militare, ho deciso di intraprendere un viaggio, che posso definire il mio primo viaggio importante, quello in cui si sa quando si parte ma non quando si torna. Partendo da Bologna, con un vecchio Land Rover ho attraversato il Sahara fino al Golfo di Guinea in Costa D’Avorio. Il viaggio, molto avventuroso, è durato 4 mesi e mezzo, finendo con l’abbandonare l’auto ad Abijan e rientrando in Italia a bordo di un cargo che trasportava tronchi d’albero. 17 giorni di navigazione sono lunghi quando non sei abituato, ma mi sono serviti per riflettere e capire che la fotografia era la mia vera passione. Rientrato in Italia, ho terminato gli studi però quasi più per senso del dovere, e ho aperto uno studio per occuparmi principalmente di architettura di interni, grafica, fotografia industriale, still life, fotografia di moda e reportage.

Credo che nelle mie fotografie si noti molto la matrice culturale e la formazione architettonica, soprattutto nella quasi maniacale ricerca dei volumi, delle simmetrie e degli accostamenti cromatici.

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L’Africa ha rappresentato il suo primo grande viaggio fotografico: cosa le ha insegnato questa Terra molto diversa dalla nostra cultura occidentale?

Oltre ai paesaggi meravigliosi che mi hanno aperto lo sguardo sulla fotografia di reportage, l’Africa mi ha insegnato il rispetto per la povertà. Ho assistito, soprattutto nel Sahara, a scene raccapriccianti che mi hanno fatto rendere conto, anche se sembra un cliché, di quanto fossi stato fortunato a nascere in Occidente.

Se dovesse descrivere con degli aggettivi la sua fotografia, quali parole utilizzerebbe?

Direi che sono attratto dalla bellezza del creato e questo si percepisce nelle mie immagini di paesaggio, come ad esempio nella serie fotografia “Alle origini della terra”, ispirata alle frasi della Genesi: si tratta di una serie di scatti di paesaggi incontaminati, che fanno pensare al racconto della Creazione. In altri casi sono attratto dalle atmosfere cariche di narrazioni, che ho raccolto, ad esempio, nella mia serie fotografica “Stories” che collegava immagini scattate ai quattro angoli della terra alle trame di romanzi e racconti celebri. Sono inoltre affascinato dai visi delle persone (come nella serie fotografica “Faces”), che in alcuni casi, quando sono molto segnati, possono sembrare dei paesaggi.

In questi quarant’anni, e visitando oltre settanta paesi nei cinque continenti, ho raccolto oltre 10.000 immagini fotografiche. Una sorta di gigantesco atlante visivo che mi permette di pensare sempre a tematiche nuove, in alcuni casi folkloristiche o buffe, come ad esempio nella serie dei “Dormienti”, persone addormentate a varie latitudini, o nella serie dedicata alle “Case a colori”.

Diciamo che mi definirei un fotografo romantico e anche curioso.

Quali saranno le prossime sfide fotografiche? Ha già in serbo nuove mete da poter indagare attraverso l’obbiettivo fotografico?

Diciamo che ormai ho settant’anni e faccio fatica a pensare a viaggi troppo impegnativi. Vorrei riprendere certi temi storici come ad esempio un reportage sulla Cina del ’78, quasi tutto in bianco e nero, che oggi credo rappresenti un documento interessante. Oppure le fotografie industriali che ho scattato nei sette anni di scavi per la costruzione dell’alta velocità tra Bologna e Firenze.

Il mio sogno però sarebbe quello di chiudere il cerchio dall’infinito del Sahara all’infinito dei ghiacci, il mitico Antartide.

Sara Riga

Photo credits: Milko Chilleri

 

About the author

Sara Riga

Da sempre appassionata di arte e cultura contemporanea, si è laureata alla facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze. Scrive, viaggia, legge, ascolta musica e tiene gli occhi ben aperti su tutto ciò che la circonda.

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