L’arte per essere tale deve necessariamente essere finzione, sebbene sia grazie all’arte che si catturano e tramandano nel tempo le verità di un’epoca. In fin dei conti, ieri come oggi, non c’è forma più esatta di giornalismo dell’arte. Fare arte vuol dire creare un qualcosa di artificiale – non a caso arte e artificiale hanno la stessa radice – un qualcosa che è però, fortunatamente, profondamente necessario all’evoluzione del vivere umano. Va notato che, con passare del tempo, gli strumenti per creare arte aumentano creando delle piccole rivoluzioni nelle possibilità di espressione artistica. Le nuove tecnologie, in particolare quelle di natura digitale, hanno largamente ampliato i processi produzione e fruizione di un’opera d’arte e portato l’artista e il suo pubblico davanti a nuove forme di esperienza audiovisiva. L’arte prodotta con l’aiuto di nuove tecnologie è quel settore in cui la sperimentazione è più forte e anche più rocambolesca dal momento che è meno vincolata dalle regole della tradizione. Soprattutto nella fase iniziale di utilizzo di un determinato strumento la fase di produzione non è ancora pienamente analizzata dalla critica d’arte, dal momento che è questo un processo che necessariamente richiede molto tempo. La storia dimostra che a sopravvivere al test del tempo sono quegli artisti che hanno un approccio analitico e utilizzano il nuovo strumento concettualizzandone le qualità intrinseche alla sua natura.

Piero Fragola e Matteo Giampaglia, From Princesses to Zombies P09, tecnica mista su tela – 2023
“I’m not a robot” è una mostra che raccoglie tre installazioni – Francesco D’Isa, “Errori”; Piero Fragola e Matteo Giampaglia; “The New Fables: From Princesses to Zombies”; Fabrizio Ajello “Non ci sono santi” – basate sull’utilizzo artistico di software TTI (text-to-image), una delle tante possibilità che l’intelligenza artificiale offre oggi, indirizzata nello specifico a chi voglia ottenere immagini di carattere realistico da una descrizione verbale di propria scelta.
Francesco D’Isa, errori, stampa su mattonella – 2023
Sebbene si tratti di tre situazioni espositive differenti e indipendenti l’una dall’altra, ad accomunare questi tre sistemi è l’“approccio umano” col quale gli artisti hanno portato avanti il proprio personale utilizzo del software ideato per la creazione di immagini. Non si tratta però di quell’entusiasmo visionario che contraddistingueva l’artista futurista dell’inizio del XX secolo nel quale la passione per la macchina assumeva toni da fervore religioso. Nel nostro caso quello dei quattro artisti è un entusiasmo genuino ma dai toni più pacati, rivolto principalmente a umanizzare la macchina per renderla parte integrante della propria visione artistica e armonicamente funzionale al loro progetto. Quella di Francesco D’Isa è una strategia che la si potrebbe definire di “sabotaggio” dal momento che l’utilizzo di un prompt volutamente ingannevole fa commettere alla macchina, programmata per non sbagliare, errori di contenuto e forma. Piero Fragola e Matteo Giampaglia nel creare il regno delle loro Principesse-Zombie procedono all’appropriazione dell’immagine digitale creata dalla tecnologia TTI intervenendo in modo binario, da un lato aggiungono manualmente sulla tela pennellate di colore e rendono così le immagini stampate da infinitamente riproducibili a forzatamente uniche, dall’altro materializzano la fantasia dell’intelligenza artificiale in oggetti tangibili assemblati dall’uomo, quali carta da parati, un libro e scintillanti sculture.
Fabrizio Ajello, L’Incontro, tecnica mista su lycra, 60×60 – 2023
Fabrizio Ajello fa invece meticolosamente suo un processo di ibridazione in cui materiali come il legno e il tessuto diventano un tutt’uno con immagini digitali che rimandano a una iconografia sacra, all’apparenza segno del passato (storia dell’arte inclusa) ma che in realtà, a ben guardare, si rivela nascondere anacronismi e riferimenti all’attualità. Se si vuole, queste tre installazioni posso essere intese come tre spunte sulla casella accanto all’affermazione “I’m not a robot” che la macchina collegata a internet spesso chiede ai navigatori dietro lo schermo per dimostrare la loro identità di essere umano. Ed è proprio mettere la spunta sulla condizione di essere un essere umano quello che facciamo ogni volta che siamo davanti a un’opera d’arte, indipendentemente dal fatto o meno che sia stata creata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.
Abstract del testo curatoriale di Antonio Geusa