Giovedì 2 gennaio la città di Varese ha celebrato il restauro di un’opera simbolo dell’attività artistica dello scultore Vittorio Tavernari (1919-1987), varesino di adozione anche se milanese di nascita, l’unico artista locale la cui fama ha saputo estendersi in sede internazionale.
Si tratta di un totem realizzato su legno nel 1970, visibile in un cortile del Castello di Masnago, che ospita al suo interno un importante ciclo di affreschi medioevali oltre che la collezione di arte moderna e contemporanea dei Musei Civici di Varese. L’opera fu duplicata in bronzo nel 1997, nel decennale della morte dell’artista, per volontà della moglie Piera e dei figli Giovanni e Carla.
L’intento era di esporre il Totem in una piazzetta alberata nel centro storico della città, a pochi passi da una galleria d’arte che negli anni ’50 era stata uno spazio vitale di incontro e confronto tra artisti, locali e no, e intellettuali che avevano animato la rinascita della vita culturale cittadina dopo gli anni bui della tirannide fascista. Dopo diversi anni l’opera era stata finalmente esposta nella piazzetta, con tutte le valenze simboliche che la accompagnavano.
Nella primavera del 2022 un gruppo di writers – o probabilmente uno solo – aveva ricoperto la scultura con tre diverse tipologie di vernici. È probabile che costui/costoro, più che voler vandalizzare l’opera con una bravata, volesse affermare l’arte talvolta improvvisata degli artisti di strada di contro all’arte ufficialmente riconosciuta dai galleristi, dai critici, dagli intellettuali e in genere dagli addetti ai lavori e dagli amanti dell’arte, proprio davanti alla sede di una galleria d’arte.
Dopo meno di un anno il Totem è stato ripulito, restaurato, rivestito da una patina antivernice e restituito così alla città. Alle valenze simboliche intrinseche all’opera, in particolare nei richiami all’arte africana considerata nel tardo ’800 e nella prima metà del ’900 soprattutto come una manifestazione di culture arcaiche e “primitive” di interesse etnologico e antropologico, e non come arte fine a se stessa, da ammirare e godere per la sua bellezza formale, si è così aggiunto un ulteriore significato, di rinascita di una città che vorrebbe allontanare da sé una vita collettiva imperfetta di teppismo diffuso, dove regna l’idea del divertissement come atto di polemica o semplicemente atto di noia.
Il richiamo a figure totemiche si inserisce sin dal 1950 nella produzione artistica di Tavernari, aperta a ogni curiosità e ad una sperimentazione stilistica, espressiva e tecnica (soprattutto nella grande varietà dei materiali impiegati). Nella sua arte domina una ricerca assoluta di essenzialità formale riconoscibile soprattutto nei Calvari, la cui semplicità esalta la potenza emotiva dell’opera. Anche nei Calvari si legge una traccia della passione di Tavernari per l’arte africana, in quel suo richiamare i pilastrini in legno che decorano le capanne dove si riunivano in assemblea gli anziani saggi dei villaggi Dogon nel Mali.

All’arte africana Tavernari era stato introdotto dalla stretta amicizia intrattenuta con il varesino Ezio Bassani, uno dei massimi studiosi al mondo di tale arte in chiave estetica e delle influenze che essa aveva esercitato sulle avanguardie artistiche del ’900. Il tema riveste grande interesse per Varese, una città dove il collezionismo di capolavori dell’arte africana è stato molto diffuso. Anche a prescindere dalla collezione dei fratelli Castiglioni, il pensiero va soprattutto alla sala dedicata dal conte Giuseppe Panza proprio alla memoria dell’amico Bassani. Nella sala, antistante l’affascinante studiolo privato del conte, è collocato peraltro uno dei massimi capolavori di Tavernari, Il fiume, una statua lignea di donna dai fluenti capelli che evoca in modo originale l’assimilazione dell’arte del Sajhel e dell’Africa centrale da parte degli artisti europei.
Non si parla più di una semplice restituzione alla città di un’opera di Tavernari, ma della ricollocazione dello scultore entro un filone della cultura europea, di cui Varese è stata una protagonista minore, ma non banale. Il restauro del Totem potrebbe preludere a questo recupero di ben più ampia importanza.
Eva Pugina