“Dio arriverà all’alba” è quasi un frutto del caso, dell’incontro tra due idee apparentemente distanti tra loro. Ho iniziato con un’indagine sulle origini della poesia, potremmo dire orfica, che nasce dalla sensibilità di osservazione e dall’immaginazione e prescinde dalla cultura largamente fraintesa del curriculum accademico e che, al contrario, spesso troviamo negli occhi e sulle mani delle persone più semplici e più distanti dai ritmi frenetici odierni, nell’emarginazione di chi per la propria esistenza compie scelte differenti. Insieme a questo, si è fuso quasi spontaneamente un altro tema sul quale stavo riflettendo durante la fase di scrittura del testo: l’innamoramento che nasce dalla stima, dalla fascinazione, dal rispetto per il proprio maestro, e la volontà di comprensione che diventa passione e ricerca di una fusione, che sfiora il carnale. L’approfondimento delle vicende biografiche di Alda Merini ha confermato la mia intuizione ed è così che si crea sulla scena una tensione passionale nei confronti della poesia, come nei confronti della forza vivificante che dalla poesia sorge e si diffonde, in ogni gesto, in ogni oggetto, in un mozzicone di sigaretta, in un fiore reciso, in ogni granello di polvere, nel chiaroscuro delle notti insonni passate a fissare il soffitto.”
Sono queste le parole di un poeta che bussa alla porta di una poetessa, vi entra silenziosamente, delicatamente, la guarda negli occhi, l’abbraccia, la riguarda e… entrambi si lasciano andare in una grassa e grossa risata. Entrambi sanno che il mondo è un delirio, ed entrambi cercano di portare serenamente questo delirio.
Antonio Nobili rende omaggio alla poetessa dei Navigli con lo spettacolo “Dio arriverà all’alba”, un racconto della sua interminabile e ricca produzione letteraria, che ha radici sulla sua quotidianità, frammenti di un’esistenza che divora nel passato come se “fosse un futuro d’amore.”
Su un palcoscenico curato in ogni dettaglio che ricordasse la casa della poetessa sui navigli di Milano, si muovono in un paio di scarpette rosse, anime diverse a accumunate dalla stessa bellezza alla vita. Una bellezza intrinseca in questo spettacolo, con una narrazione realistica ed emozionante di una donna che è tutt’uno con la sua poetica, la sua anima, ricca di sfumature che Antonio Nobili delinea con delicatezza e minuzia, riportando allo spettatore ogni fotogramma, ogni emozione, seduto romanticamente in un angolo di quella stanza tra un bicchiere di vino rosso e scie di fumo che diventano nuvole di parole.
A dieci anni dalla sua scomparsa, novembre del 2019, lo spettacolo nasce con l’intento di celebrare la Poetessa milanese. Fogli sparsi, appunti, numeri di telefono scritti col rossetto, pile di libri che ci raccontano di una poetessa che va sempre e comunque oltre i suoi libri. Sottrazioni, intermittenze che non tolgono ma riaprono, “le divisioni che uniscono da lontano e le lontananze, anche da se stessa, anche più volte nello stesso istante, che non si elimineranno mai.”
Una telefonata anticipa un incontro. Un professore universitario chiama la sua vecchia e stimata amica Alda Merini chiedendole la cortesia di seguire un giovanotto di talento che sta svolgendo da parte sua delle ricerche su alcune dinamiche della poesia contemporanea. Inizialmente riluttante, la Merini accetta di buon grado la richiesta dell’amico accogliendo il suo assistente a casa in diverse occasioni.
Si susseguono dal primo incontro, momenti, percorsi che si moltiplicano, stimoli, slanci d’amore, da quelli inconsapevoli a quelli volontari, da Alda bambina a donna che noi tutti abbiamo conosciuto man mano che abbiamo scoperto, insieme alle sue pagine scritte con rabbia, dolore, insieme a quei silenzi battuti sui tasti di una macchina da scrivere.
Alda Merini viene mostrata al pubblico senza maschera, come si potrebbe, nel suo più viscerale quotidiano, sulla sua sedia, tremante al telefono, irrequieta alla sera, nelle sue contraddizioni e dolori, ma anche con gioco, ironia, e faticosa fino all’estremo, irrinunciabile libertà.
“Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo, poeta difenditi con ferocia, il tuo sguardo son cento sguardi che ahimè ti hanno guardato tremando.”
La sua esistenza è un continuo remake e, raccontarla significa morire dolcemente di poesia, “lavare ogni notte il pensiero del poeta”, e ascoltare e immaginare non solo una sola Alda, ma tante in un solo momento.
In quella stanza i giorni si susseguono dal viavai di appuntamenti diurni e dalla governante vicina di casa, interpretata dalla brava e bella Virginia Mendez.
L’amore è incarnato dal giovane assistente universitario Paolo (Valerio Villa). Domina ogni istante della vita di Alda con le tormentate e quasi insonni ore notturne nelle quali la poetessa si confronta con la sua anima bambina (Sharon Orlandini).
L’eccezionale protagonista che fa letteralmente rivivere Alda Merini è Antonella Petrone. Ogni suo gesto, movimento, sussurro, pianti e risa, sono sorprendentemente gli stessi, un’attrice che come la poetessa che interpreta, non ha timore di mostrarsi e di raccontare una donna graffiata dalla vita, con un’anima piena che sgorga di poesia.
Le pagine si susseguono tra l’immaginario e la realtà, un diario che non sarà mai scritto che omaggia una poetessa per noi mai scomparsa, presente con la sua poesia, i suoi libri presenti come oggetti di culto, l’inquieta poetessa dei Navigli è ancora in quella stanza che guarda oltre la sofferenza, ed entra nelle stanze di ognuno, sbaragliando tra le pieghe dei nostri pensieri, un’artista diventata eterna.
Questo spettacolo da onore ad ogni cosa che ricorda Alda, Antonio Nobili e gli straordinari interpreti, hanno dato forma ai nostri pensieri, quante volte immaginando di entrare in quella stanza e poter parlare e stare bene “in quella società sbagliata.”
Un teatro libero, d’amore che, con estrema semplicità ha saputo attraverso i nostri sensi, toccare il delirio e comprendere la sua poesia.
Testo e foto Maria Di Pietro
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