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Gli Haters

Tramontata l’era del peace and love di matrice hippy, non rimangono che gli haters? 

Likers Vs haters. C’è chi ama e c’è chi odia: la sfida tra likers and haters si consuma oggi più che mai sulle pagine dei social network su cui assistiamo, di profilo in profilo e di commento in commento, a schizofreniche manifestazioni di amore per persone, animali, luoghi, cose, alternate a commenti brutali, efferati e violenti. Un saliscendi su cui si gongola il linguaggio 3.0, condito da faccine ed emoticon, impiegato ora come mezzo per impietosire, addolcire, patetizzare, ora per ferire, vendicare, far male.

La rete che odia. Il fenomeno degli haters ha trovato terreno fertile in internet, non luogo preferito su cui sfogare le proprie frustrazioni e indirizzarle – da lontano, sulla comoda poltrona di casa – ad altri utenti. Spesso coperti da nickname, gli haters odiano per cattiveria, per invidia, per scherno, per il gusto perverso di odiare, senza mezzi termini o condizioni. La rete così dà sfogo alle pulsioni più negative, che altrove verrebbero inequivocabilmente censurate. Da uno studio condotto da Vox – Osservatorio italiano sui diritti  tra il 2015 e il 2016, le categorie più bersagliate sul web risultano essere: donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili ed ebrei.

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Minus habens o webeti. Spesso dotati di scarsa intelligenza (così come di relazioni sociali), i rancorosi da tastiera passano le loro giornate a cercare un contesto in cui poter dar libero sfogo alla loro rabbia. Ogni argomento è buono: dalla politica al look delle stars, dalle stragi ai talent show, dalla musica al cinema o alla letteratura. L’obiettivo invece è unico: provocare e attaccare, molte volte senza senso o pertinenza. Di recente è stato Enrico Mentana a coniare il termine webete per definire coloro che senza troppa preparazione e competenza sentenziano dal proprio account commenti sconnessi, spesso dettati dall’odio. Il termine, diventato subito un trending topic su twitter, è stato accolto con entusiasmo e la consueta irriverenza dalla rete e c’è anche chi propone di inserirlo nel dizionario dell’Accademia della Crusca, come è accaduto per l’ormai famoso “petaloso”…

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Purchè se ne parli: l’odio come guerrilla marketing. C’è anche chi utilizza l’odio per creare sensazionalismo tramite cui far soldi: una delle derive della social psycology è purtroppo anche questa. Facendo leva sui bisogni sopiti degli utenti e sulle caratteristiche psicologiche dell’user medio, si costruiscono vere e proprie campagne di odio che demonizzano paure e intolleranze collettive. L’odio sul web è remunerativo, anche in termini di consenso e per la carriera di singole persone, che sfruttano la potenza della viralità a fini personali, aizzando le masse alla violenza.

Cioran, hater ante litteram. Il filosofo rumeno Emil Cioran, in era pre-internet, è stato un fautore dell’odio come motore della Storia, capace di alimentare la lotta di classe e di muovere il corso delle cose. Una visione metastorica che vede la rabbia come condizione essenziale per il progresso sociale: “Dove c’è l’odio succede qualcosa. La bontà, al contrario, è statica; conserva, arresta, manca di efficacia storica, frena ogni dinamismo. La bontà non è complice del tempo; mentre l’odio ne è l’essenza”.

Celebrities Vs haters. Naturalmente i personaggi più in vista nel mondo delle spettacolo sono anche quelli più presi di mira dagli haters perdigiorno che, mossi dall’invidia, sono pronti a scatenare putiferi mediatici per un chilo di troppo, per una stonata o per un abbinamento non azzeccato. You Tube, Instagram, Facebook e Twitter sono vetrine per commenti di questo tenore. Le risposte delle star sono spesso esilaranti: Lady Gaga per esempio si è auto-commentata, postando un tweet con una foto che la ritrae visibilmente appesantita (è un fotomontaggio) con l’auto-accusa “Lady Gaga is fat now!” e l’hashtag #DoWhatUWantWithMyBody, come dire: “non mi interessa quello che pensate, cari haters“. E ancora Rihanna, che in risposta a un commento sui suoi capelli brutti e senza forma, sentenzia: “cuz I’m black bitch!”. Nulla da aggiungere, RiRi.

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Tenere a bada gli haters. C’è anche chi è diventato famoso in rete grazie agli haters. Sono questi i casi di giovani you tuber di tutto il mondo che a fronte di molti consensi hanno trovato altrettanti dissensi, contribuendo a far crescere la loro stessa fama. Saper gestire gli haters diventa così una priorità per chi si espone sul web e non è un caso se sempre più tutorial e corsi di formazione online si stiano indirizzando sulle strategie per tenerli a bada…

#therewillbehaters. Gli haters colpiscono anche in pubblicità: Adidas ha creato una campagna per scarpe da football che fa leva sul sentimento di invidia e rancore suscitato da tre fra i calciatori più discussi degli ultimi anni: nella descrizione del video su You Tube (che nel frattempo ha collezionato quasi 22 milioni di visualizzazioni) si legge: “Gareth Bale, James Rodríguez, Luis Suárez and Karim Benzema have some shiny new boots. Get yours at http://adidas.com/go/exgAA. #ThereWillBeHaters“. Come dire: il marketing.

Serena Vanzaghi

https://youtu.be/UNiGSf2Sy30

About the author

Serena Vanzaghi

Serena nasce a Milano nel 1984. Dopo gli studi in storia dell'arte, frequenta un biennio specialistico incentrato sulla promozione e l'organizzazione per l'arte contemporanea. Dal 2011 si occupa di comunicazione e progettazione in ambito artistico e culturale.

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