Jazzista, fotografo, pubblicitario e designer, sempre un passo avanti rispetto alla corrente. Tra i suoi maestri troviamo Richard Avedon e Hiro, tra le sue frequentazioni si annoverano musicisti come John Coltrane e Cecyl Taylor, l’entourage di Salvador Dalì, gli amici e colleghi Ugo Mulas e Bruno Munari: la poliedrica ricerca artistica di Davide Mosconi prende forma e viene omaggiata in una completa mostra in corso a Firenze.
Coincidenze è il titolo della personale di Davide Mosconi (Milano, 1941), visitabile fino al prossimo 13 marzo alla Galleria Il Ponte di Firenze. Dopo la mostra antologica milanese della Galleria Milano, curata da Elio Grazioli, adesso anche Firenze rende omaggio a questo artista non ancora molto “famoso” presso il pubblico, ma che merita attenzione e riconoscimenti.
La mostra (Fotografia a cura di Ines Mosconi, Carla Pellegrini, Andrea Aliprandri; Musica a cura di Emanuele Carcano e Gabriele Bonomo, esecuzione Gerardo De Pasquale) celebra il lavoro fotografico fin dagli anni Sessanta dell’artista, che è stato musicista, fotografo pubblicitario e designer.
Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni e gallerie in tutto il mondo, tra cui la National Gallery di Bruxelles, l’I.C.A. di Londra, la Guggenheim Foundation di Venezia, la Rayburn Foundation di New York; i suoi lavori sono stati scelti per la Biennale di Venezia nel 1991, nel 1993, nel 2001 e nel 2003. Nel 1963, appena ventiduenne, veniva considerato dalla stampa nazionale “il musicista di jazz italiano più personale e dotato”, mentre due anni dopo firmava, come fotografo, il famoso servizio su Sofia Loren eseguito a Roma. Al MoMA di New York, quando nel 1972 si tenne la famosa mostra Italy: The New Domestic Landscape, il suo contributo figurava insieme ai più importanti designer di quegli anni. E se tra i suoi maestri troviamo Richard Avedon e Hiro, tra le sue frequentazioni si annoverano musicisti come John Coltrane e Cecyl Taylor, l’entourage di Salvador Dalì, gli amici e colleghi Ugo Mulas e Bruno Munari, tra i tantissimi che lo accompagnarono. Mosconi dunque era assai inserito nella scena artistica milanese e internazionale. Forse proprio perché lontano dalle scelte obbligate, sempre un passo avanti rispetto alla corrente, inafferrabile, originale e acutissimo, il suo lavoro non è ancora noto come meriterebbe.
Recentemente Elio Grazioli ha curato anche un libro: Davide Mosconi: fotografia, musica, design, che propone un puntuale studio monografico sulla poliedrica figura dell’artista, ma lascia trasparire anche quella dell’uomo, nella sua sensibile complessità.
Ma chi era Davide Mosconi? Nasce a Milano nel 1941 e muore fatalmente una sera della primavera del 2002. Studente brillante e irrequieto, si diploma al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Poi si trasferisce a Londra, per studiare fotografia al London College of Printing, formandosi quindi a New York come assistente di Richard Avedon e Hiro. Musica e fotografia, dunque: due ambiti solo apparentemente lontani, che l’artista sin dall’inizio porta avanti in parallelo e poi li fa incontrare, li coniuga in una lettura molto personale.
Dalla prima metà degli anni Settanta Mosconi lavora con la Polaroid, che permette il recupero dell’immagine immediata, contro quella costantemente manipolata della pubblicità. Nel suo studio fotografico, lo Studio X, realizzava numerose campagne pubblicitarie, per aziende come Fiat, Rinascente, Olivetti. La sua vuole essere una critica sottile, che s’insinua nel sistema pur rimanendovi all’interno. È tuttavia nella fotografia artistica, che Mosconi esprime appieno la sua ricerca, e, proprio attraverso la Polaroid, esplora la dimensione ludica dell’imprevisto. Come negli scatti realizzati per la personale alla Galleria Primopiano di Torino nel 1974, dove espone scatti degli stessi ambienti della galleria ripresi da punti di vista diversi, insieme a due immagini del suo corpo nudo, due autoritratti in cui tiene la macchina all’altezza del tronco, senza mettersi in posa o scegliere il punto di vista. Un’azione, quest’ultima, che rivela possibilità espressive inaspettate e casuali, proprio per il suo approccio giocoso.
Le opere proposte in questa mostra fiorentina sono tra le più innovative e interessanti del suo percorso, come: Isabelle Dufresne del 1965, l’occhio tra le natiche tra Surrealismo e Pop; l’Autoritratto in forma di pubblicità su “Il Corriere della Sera” del 1968, dove Mosconi fotografo, sorridente ed elegante, unisce al mestiere l’avanguardia. I light boxes, del 1968, di cui si presenta quasi l’intero ciclo, sono immagini in bianco nero con l’inserimento di diapositive a colori, montate su cassonetti retro-illuminati. Viene poi esposta In morte del padre, del 1984/85, imponente opera realizzata attraverso polaroid oversize (51×61 cm ciascuna) composta da cinque trittici basati sulla coincidenza fra l’immagine tratta da un libro, una foto altrui e il suo scatto. Con la stessa struttura compositiva sviluppa inoltre una serie di lavori sul corpo, come gli Ombelichi e i Corpi decorati della fine degli anni Ottanta. Si prosegue con la serie dei Drawing Air del 1995/96, dove oggetti lanciati in aria e fissati nello scatto fotografico, disegnano i cieli, giocando su quella casualità delle coincidenze, che ritroviamo anche nelle Polveri, del 1998-99, luminescenze d’oro, d’argento e di pietre preziose, fotografate in sospensione su una superficie di caucciù. L’ultima serie è quella degli Autoritratti bucati del 2000, realizzati non tanto nell’autoritrarsi, quanto nel sottrarsi, in cui immagine e mezzo fotografico vengono messi alla prova della distruzione, e sembrano riflettere sulla condizione fragile dell’uomo.
Di questo artista complesso, poliedrico, che ha usato tanti media e mezzi espressivi, viene presentata anche la Sezione aurea, concepita nel 1971 e compiuta nel 2000, dopo un lungo processo di elaborazione. Basata anch’essa sulle coincidenze, consiste in sei dischi vinilici vergini, senza alcun suono registrato, sulla cui superficie sono state tracciate linee algebriche con punte di diverse misure. I dischi vanno suonati insieme su sei piatti diversi, ma da una simultaneità impossibile scaturisce l’irripetibilità del suono che determina l’unicità di ogni ascolto.
Davide Mosconi è stato un infaticabile sperimentatore, la sovrapposizione tra ambiti e piani differenti è una nota distintiva del suo lavoro, che è un vero e proprio atto di rottura degli schemi, delle regole, delle delimitazioni spaziali, dei confini tra i linguaggi e le diverse discipline.
Cecilia Barbieri
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