Pittura contemporanea come indagine esplorativa nella storia della genetica. Astrazione gestuale sul segno centrifugo-figurato come restituzione identitaria di messaggi, codici e simboli assiali. Nella mostra che si è svolta alla Pinacoteca Albertina di Torino, dal 23 ottobre al 13 novembre, Filippo di Sambuy è riuscito a proporre nei suoi lavori una visionaria decodificazione di quegli elementi strutturali e mnemonici che riguardano la decomposizione delle tracce prodotte dall’umanità.

photo by Gabriele Romeo
L’umanità e la ‘memoria storica’ vengono ripetutamente interrogate da Sambuy. La pittura sambyana risulta, a mio avviso, rivolta un ‘bioformismo-pop‘: aspetti fisiognomici che mutano sfaccettature dinamiche, fluide, contribuendo a tracciare ‘sindoni‘ di icone anacroniste.
Revivalista e post-avanguardista, di Sambuy riesce a comporre e scomporre i propri lavori artistici con una particolare action: il DNA di impronta.
Nei seguenti termini si esprime Francesco Poli (curatore della mostra) sull’artista, all’interno del catalogo dedicato alla mostra ‘ALLERETUAR’ da Stupingi alla Pinacoteca Albertina 2001-2016:
‘I suoi interventi si sono concretizzati attraverso la realizzazione di installazioni tridimensionali, configurazioni in pavimenti di pietre policrome, sculture, dipinti e disegni, che in ogni occasione hanno dato vita a complesse narrazioni figurative‘.
Tra le opere presenti in mostra, riscuotono interesse gli studi eseguiti da di Sambuy per il ritratto di Federico II, Stupor Mundi, Immutator mirabilis (2005-2007).

photo by Gabriele Romeo
Caricando le proprie opere di energia, l’artista riesce tracciare una trans-fisicità giocando con l’alchimia dei colori e con lo star-gate di uno spazio da navigare con una time-machine.
Un continuum spazio-temporale che vede di Sambuy esporre i suoi enigmi ma anche le proprie perplessità sull’avanzamento del tempo. Troviamo, spesso, l’artista impegnato a sovrascrivere le superfici pittoriche: una cancellazione volontaria, quasi a voler significare, secondo il mio punto di vista, una usura del deterioramento nella carne-umana.
Rintracciamo, tra l’altro, nelle opere di Filippo di Sambuy (Rosa Bianca, Rosa Nera, 2010) una attenta ricerca sul lavoro prodotto da Mario Merz.
La teoria di Fibonacci, la scientificità del rapporto numerico, il numero innamorato di impronta merziana, trovano – una volta analizzati questi contaminanti dal punto di vista semiotico – una vera e distintiva rivoluzione nella seguente triade della bioscienza visionaria dell’artista: un cervello e due teste collegate da una spirale.
Quest’ultima sembra essere, oltre che la firma di Filippo di Sambuy, il vero messaggio concettuale che l’artista crea, rivolgendolo al fruitore: memorie presenti vs memorie trascorse mediate da ‘vibrazioni dell’essere‘.
Una mostra che rende omaggio anche al bisnonno dell’artista, Ernesto Balbo Bertone di Sambuy (1837-1909), senatore dell’allora Regno d’Italia e presidente dell’Accademia Albertina dal 1887 al 1894.
Filippo di Sambuy sin dagli anni Ottanta ha svolto numerose mostre in Italia e all’Estero in importanti e prestigiose sedi museali ed espositive: Palazzo Reale di Palermo, Museo Riso, Palazzo dell’Incoronazione di Palermo (2016); Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Casa Museo Gabriele D’Annunzio, Galleria Giorgia Romano a Siracusa (2015); Palazzo Fortuny a Venezia (2014). Più volte ha esposto al Pricipato di Monaco esportando la sua arte a Miami, California, New Mexico, Chicago, etc. Lo ricordiamo, infine, all’Hangar Bicocca a Milano (2005) e alla Palazzina di Caccia di Stupinigi (2001).
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