Gallerista e artista: questione di feeling. Due figure legate in una relazione imprescindibile, alla base di gran parte del sistema dell’arte. MEMECULT li mette faccia a faccia, per scoprire quali sono le dinamiche – professionali e umane – che governano questo rapporto. I primi ospiti sono il gallerista Massimo Carasi (The Flat) e Michelangelo Penso (Venezia, 1964), artista che collabora da diverso tempo con la galleria milanese.

Parola a Massimo Carasi – Gallerista
Quando ti sei imbattuto per la prima volta nel lavoro di Michelangelo Penso?
Ho incontrato Michelangelo per la prima volta alla fine degli anni ‘80. Aveva da poco terminato gli studi e io avevo cominciato da qualche anno i miei primi passi con la galleria, che allora era a Mantova.
Quali considerazioni ti hanno portato a introdurre Michelangelo nella tua scuderia?
Michelangelo faceva parte di un nucleo di giovani artisti provenienti prevalentemente dal nord Italia. L’identità stilistica della galleria si stava allora gradualmente formando ed il rapporto con questo primo gruppo, come con il critico Luca Massimo Barbero, è stato molto costruttivo ed ha prodotto il primo programma di mostre.
La collaborazione con Michelangelo si è poi interrotta per parecchi anni ed è stata rinverdita quando ho visto il suo nuovo lavoro con le “cinghie” nel 2010 nel suo studio a Marghera.
Della ricerca di Michelangelo, sei più attratto dall’utilizzo processuale dei materiali o dal suo approccio più concettuale, tra il creativo e l’analitico?
Michelangelo ha oggi un rapporto più fisico con la creatività.
Lo spazio, le forme della materia e le sue proporzioni sono condizioni più “allargate”.
Nella sua produzione più recente impiega spesso trame reticolari costituite da materiali portuali che imbrigliano il vuoto e si stagliano nello spazio, qualcosa che visto in studio, mi ha fortemente impressionato. Anche l’utilizzo di materiali per la sospensione di carichi pesanti e le lamine su stampa offset hanno ri-attizzato la magia.
Questo nuovo corpo di opere tende ad esprimere la giustapposizione di forze che producono forme, conseguentemente anche alla gravità. Un materiale di grande freschezza pensato con l’obiettivo di rendere un modello cellulare che originariamente viene osservato al microscopio.
Qual è la soddisfazione più grande che il rapporto con l’artista dà al gallerista?
Forse la condivisone di temi linguistici…e credo la possibilità di catalizzare idee e di proporle.
Qual è invece la parte più difficile?
Individuare la chiave che colloca il lavoro dell’artista nel giusto contesto e lo porta così alla luce.E’un bilanciamento tra istinto e ragione che comporta investimenti ed è condizionato da molte variabili. Esistono inoltre collaborazioni completamente sbagliate. È bene rendersene conto nei tempi dovuti.
Hai una sede fissa a Milano, ma il tuo calendario annuale è costellato di appuntamenti fieristici, di respiro ampiamente internazionale. I lavori di Michelangelo vengono più apprezzati in Italia o all’estero?
Il lavoro di Michelangelo, conserva alcune derivazioni della tradizione italiana. Ciononostante esso circostanzia una specie di dimensione futuribile…La sua propensione per la manualità gli deriva moltissimo dalle sue radici e questa raffinatezza viene molto apprezzata sia in Italia che all’estero, per ora più in Europa, ma abbiamo progetti anche per altrove.
Nella situazione attuale, certo non facile, in cui versa l’ambito dell’imprenditoria e della cultura in Italia, quali sono le considerazioni e le riflessioni di un gallerista per il futuro?
Dopo più di 20 anni di attività di galleria non riesco a pensare ad un epoca felice in cui tutto andasse per il meglio. Forse per altri. Per noi è stata ed è ancora un’avventura strepitosa e uno stile di vita, ma non certamente il sistema per assicurarci una carriera sicura o un lauto pensionamento.
Figure come quelle dell’artista, del gallerista, del curatore, del critico del collezionista etc. si stanno rimodellando ovviamente, adeguandosi al contesto corrente.
Pensare al futuro mi ricorda il passato in cui desideravamo plasmare la nostra vita con la determinazione di non subirla ma cercandoci un occupazione che ci permettesse un commento.
Oggi la nostra piattaforma non è più una città o una nazione ma il mondo intero.
Il futuro non è ancora arrivato…ma è sempre più vicino.

Parola a Michelangelo Penso – Artista
Come hai conosciuto Massimo Carasi? Conoscevi già la ricerca di The Flat?
Ho conosciuto Massimo alla fine degli Anni ‘80, prima ancora dell’apertura di The Flat, nella sua galleria a Mantova, in occasione di una collettiva a cui ho partecipato dal titolo “Oro”.
Come è nata e cresciuta la vostra collaborazione?
Ho sempre seguito l’attività della galleria, nel 2010 ci siamo incontrati e ne è nata una collaborazione per una mostra nel suo spazio milanese in Via Frisi, e da 4 anni il rapporto continua a svilupparsi.
Qual è la soddisfazione più grande che il rapporto con il gallerista dà all’artista?
La condivisione dei progetti.
Qual è invece la parte più difficile?
Se i rapporti sono chiari non ci sono difficoltà.
Presso The Flat hai partecipato a diverse mostre. Risale a qualche mese fa la realizzazione di un’installazione site specific proprio per questo spazio. Qual è stata la mostra – personale o collettiva – che più ti ha coinvolto?
Sì, l’ultima mostra è sempre la più coinvolgente, ma senza le precedenti non sarebbe stato possibile realizzarla.
Essere artisti di professione non è mai stato semplice e forse oggi è ancora più difficile rispetto al passato. In che modo pensi che la contemporaneità abbia tolto e abbia aggiunto valore alla figura dell’artista?
Credo ad una parità di imprevisti che ogni periodo storico ha riservato e continua a riservare all’artista. Per quanto riguarda la specifica figura dell’artista, le diverse evoluzioni della società (compresa quella contemporanea) ne mantengono vivo il ruolo senza togliere o aggiungere valore a questa condizione.
Serena Vanzaghi
Photo credits:
Per le foto di Massimo Carasi: Riccardo Gasperoni Photographer www.riccardogasperoni.com


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