Cosa potrebbe ancora scuotere le menti imborghesite dal comfort e dal falso moralismo? O, in opposizione, imprimere forza sufficiente a un gesto di protesta che significhi davvero qualcosa?
Che scandalo ! No, che scandalo scandalizzarsi ! Anzi, come riuscire a scandalizzare ancora? Limiti e confini mobili delle nuove frontiere del sensazionalismo cosmico sfociano oggi in una dicotomia tra metamorfosi dell’anima moderna e progressivo spostamento delle barriere socio-culturali verso poli opposti in inquietante sodalizio. La pioggia di input è sempre più forte, sconvolgente, deflagrante, dissacrante. Al di là dell’alternativo e dell’anticonfor\mistico. Il regno incontrastato dell’eccesso soverchia le reazioni, la strenua ricerca di colpire e urtare coscienze, o modi vivendi, rende l’era contemporanea totalmente schermata, impermeabile e disillusa: troppe brecce hanno creato il vuoto, e la meraviglia ha lo stesso sapore del raccapriccio. Fin troppo spesso le nuove forme di arte e cultura vogliono interpretarsi, in questo vortice di denuncia dell’oltraggio ai diritti e ai valori umani e sociali, come unico stendardo che non mente, non finge, non omette e non cela, ma grida e dichiara la propria aggressiva unica e vera sincerità, traducendosi nei fatti – ahimè – in vana impotenza, amaramente priva di profondità e prospettiva.
Questo il punto: il movente. “Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo, la più difficile e la più intellettuale” scriveva Oscar Wilde in tempi – per l’occhio contemporaneo – ormai molto sospetti. Ci professiamo tutti poeti, vati di un destino funesto, di un futuro ingrato, causato da un presente ignobile. Il poeta maledetto e il ‘bobo’ sono oggi, in realtà, la stessa persona, la doppia faccia della stessa medaglia; dichiarata ipocrisia, ma anche opportunità, per osare il salto e uscire dal sonno della Ragione. Nessun rogo, nessun tabù, nessuna censura; se non autoimposti, se non assuefazione alla pedissequa nebbia del noto, del degno e del cauto. Il non fare nulla, per una volta, potrebbe davvero essere lo scandalo assoluto. Il non gesto, il finale perfettibile, la non-reazione prettamente estetica, simbolo del risveglio del pensiero critico e di una consapevolezza sopita.
Moravia aveva già colto il seme di questa indifferenza cronica che affligge e paralizza i moti dell’anima moderna: la superficie è densa e irta di azioni e notizie, ma cosa rimane oltre a un vago disgusto e all’atavica incertezza nell’avvenire? Cosa potrebbe ancora scuotere le menti imborghesite dal comfort e dal falso moralismo? O, in opposizione, imprimere forza sufficiente a un gesto di protesta che significhi davvero qualcosa? O, ancora, provarci che ogni illusoria passione, la morte, l’arte e l’amore non sono ormai che spettacolo, merci e sterili provocazioni? La spettacolarizzazione di ogni atto, ogni scelta, vicenda privata, pubblica, sociale, religiosa e politica, è vissuta sotto i riflettori, è carica di pathos mediatico e spietati ‘arricchimenti’ narrativi. Inesorabilmente presi nella rete, l’habitat della storia contemporanea è la meta-storia, il meta-teatro, il meta-io. ‘Je est un autre’ scriveva Rimabaud, senza specchi non siamo, senza clamore non sentiamo. L’identità non è più celata, nascosta, velata, ma venduta o, più tristemente, neutralizzata dal poter essere tutto il contrario di tutto.
Lo scambio dei ruoli è sintomatico come un cambio d’abito o ‘status’. Ogni giorno, continuamente, l’uomo contemporaneo si concede il lusso di lasciare la propria vita in sospeso mentre scorre quelle degli altri, abbruttito dalla routine e da ondate di spam virale che annebbia le coscienze e avviluppa le solitudini. Nel rumore di fondo si aprono costantemente squarci, tragedie, disastri, calamità, follie, sempre più simili a se stessi e confondibili con altri. In mondo crolla intorno a noi, sembra voler bruciare, annullarsi per poter rinascere dalla proprie cenere, mentre si riproduce in continue pantomine. La moralità, l’etica, la vergogna e la paura sono sentimenti sempre più inflazionali e obsoleti; popolo e borghesia, non esistono più, sono assimilati in un ibrido, prodotto, corrotto e confuso dall’eccesso di emozioni indotte, subissate dalla saturazione dei processi di elaborazione e filtro.
Quanta falsa moralità nasconde crimini e indicibili violenze? Quante maschere recitano per noi ruoli a cui non apparteniamo, o vite stesse che non ci attraversano? Qual è la ferita più profonda? Mentirsi o lasciarsi mentire? L’inganno è dietro l’angolo, l’inganno è rifiutare di vedere, l’inganno è non rivoltarsi. L’inno dei poeti maledetti risuona immortale, ma dello spirito non sopravvive che una libertà sconfessata che non riconosce più il limite da varcare, e allora aspetta. ‘Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero. Si baratta la propria libertà per un ruolo. Si barattano i propri sensi per un atto. Si svende la propria capacità di sentire, e in cambio si indossa una maschera. Si può privare un uomo della sua libertà politica e non lo si ferirà? Finché non lo si priverà della sua libertà di sentire. Questo può distruggerlo’ (Jim Morrison ).
L’equilibrio è assente ma scontato, l’armonia è noia, la civiltà è sempre più incivile, ma il pensiero critico non vive più che nella memoria a breve termine; appare e poi svanisce subito dopo in una smorfia o in un grido di dolore. Siamo tutti poeti, muti; siamo tutti bourgeois, vestiti di stracci intellettuali. Non abbiamo più il diritto di scandalizzarci perchè non ne siamo oggettivamente più capaci. Ma non abbiamo neanche più il diritto di sorprenderci, perché forse, purtroppo, davvero, non crediamo più a niente.
Déborah Allegranti
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