Letteria Giuffrè Pagano è un’artista visiva e una regista indipendente. Con la regia Letteria disvela ciò che occulta con la pittura. Segno e pittura divengono antagonisti che si attraggono in un’unica forma. Luci e ombre sono per la sua ricerca artistica – prima ancora che visioni – l’energia della mente che apre l’anima a nuovi orizzonti sconosciuti. Forte delle sue millenarie radici siciliane, questa artista, crea “infiorescenze” espressive e stilistiche che si sviluppano e si muovono in un divenire a ritroso. Verso la fonte arcaica dei misteri originari dell’Essere.
A cura di Maria Rita Montagnani
MRM- Letteria, come artista visiva, sei più legata al segno (la scrittura) che non all’immagine, puoi spiegarci questa tua peculiarità espressiva?
LGP- La scrittura è quasi sempre presente nei miei lavori. Questa ricerca parte da molto lontano: sono sempre stata molto legata al segno, in modo intimo e spirituale direi. Il segno è la traccia di sé, il proprio respiro, il battito del cuore, testimonia la propria presenza nel mondo. Il segno si evolve, prende vita, diventa di-segno, grafema e scrittura. Le superfici diventano pagine aperte di libri, immobili o in movimento: e allora tutto può accadere, emerge una scrittura che gioca col tempo, con i ricordi, con lo spazio, col conosciuto e l’ignoto. Una scrittura asemica, che a tratti diventa riconoscibile e si possono scorgere stralci di significati, tra le cancellature e il colore.
MRM- In questa tua ricerca artistica si intreccia anche il filo, sottile ma molto forte, dell’identità che anela alla propria fonte originaria, alle sue radici arcaiche. Cosa ti spinge in questa ricerca?
LGP- Tracciare dei segni – delle scritture incomprensibili – su una superficie mi riporta alla Storia, la mia storia personale, al tempo storico in cui vivo, alla percezione che ho di questo tempo e, con esso, al ricordo ne che permane. E’ l’urgenza di lasciare una traccia del proprio esserci, che mi spinge a scrivere. Ed è un impulso forte, al quale non riesco a resistere. Per me l’opera è una sorta di soglia-varco: un’apertura sul mistero dell’esistenza, nel tentativo di coglierla sul suo limite estremo, e forse, nella sua qualità di promessa. I miei scritti raccontano di viaggi in mondi tanto reali quanto lo è la percezione che ho della loro esistenza.
MRM- Recentemente Messina, che è la tua città natale, ti ha dedicato un’importante mostra personale in uno spazio pubblico prestigioso. Qual è stata la tua esperienza più profonda e appagante dell’evento?
LGP- “Grafemi” è stata ospitata nelle sale espositive del Complesso monumentale del Monte di Pietà di Messina, ritorno ad esporre nella mia città natale dopo quasi venti anni. Nel 1998 infatti ho debuttato con la mia prima personale dal titolo “Spasmi”nel Salone degli Specchi di Palazzo dei Leoni. Grafemi è in qualche modo un ritorno dopo esperienze nazionali e internazionali. E’ stato molto coinvolgente ritornare nei miei luoghi, ho sentito un affetto sincero nel pubblico che mi arricchita di suggestioni e annotazioni personali, con quella profondità e acutezza tutta siciliana. Vorrei ringraziarli tutti, uno per uno. In modo particolare l’architetto e storico dell’arte Nino Principato, che è stato mio professore al Liceo Artistico e al quale sono legata da profonda stima. Ha presentato la mia mostra come venti anni fa, proponendo al pubblico la sua interpretazione del mio percorso, arricchito dalla sua grande cultura per il nostro territorio e da una passione coinvolgente. Sono gli incontri, i rapporti veri tra le persone, le Amicizie, che mi danno linfa vitale e quel fremito caldo misto di timore come il vento di scirocco.
MRM- Secondo te è più utile all’artista immergersi in una dimensione di solitario raccoglimento oppure un caotico confondersi nel mondo?
LGP- Perché non entrambe le cose? Le nostre solitudini, del resto, le portiamo sempre con noi. Non so cosa voglia dire essere artista, molti mi definiscono così. Posso dirti che vivo in un modo particolare, che spesso non collima con la maggioranza delle persone, ho una percezione del tempo e delle cose che, lo ammetto, a volte lasciano un po’ spiazzati. Un certo tipo di lavoro presuppone comunque il confronto vero profondo con se stessi, con i propri demoni … Perdersi e confondersi nel mondo serve ad ogni regista, ho l’ossessione di osservare quel che succede tra le persone, il muoversi di flussi nelle stazioni, piazze affollate, vie delle città. Ognuno con la sua storia e il suo mondo, corpo, abiti, movenze, trasmettono la complessità e le sfaccettature della vita. Osservo con rinnovata curiosità, che spero non mi abbandoni mai. Tutto questo è solo un aspetto del mio mondo: la solitudine e il contatto con la natura per me non solo sono necessari, ma sacri.
MRM- Dove ritieni sia “ubicato” il tuo essere artista? Dove ti trovi attualmente, quale posizione occupi nei confronti della realtà?
LGP- Sono una nomade, in perenne movimento. Riesco ad essere nomade persino dentro la mia casa-studio. Se dovessi trovare un’ubicazione al mio essere artista lo farei probabilmente nel vento, nell’acqua, nelle pieghe delle cortecce degli alberi. Non voglio occupare una posizione nei confronti della realtà, solo osservare e lasciarmi sorprendere da Le realtà..
MRM- Un altro aspetto interessante della tua attività artistica, è rappresentata dalla regia teatrale e dalla realizzazione di performances. Puoi parlarcene?
LGP- Il teatro è il luogo per eccellenza in cui la scrittura-parola prende corpo, diventa suono e movimento. Le parole in teatro possono scolpire lo spazio, diventare materia e attraversarci impressionando i nostri sensi, per pochi attimi magari. Ma è grazie agli Attimi che possiamo cambiare le nostre idee sulle cose e la nostra posizione nel mondo. Ci sono attimi che ci cambiano la vita.
MRM- “l’artista è come il funambolo che muore se non cammina sopra l’abisso”(M. Rossi). Cosa pensi al riguardo?
LGP- Siamo tutti funamboli della nostra vita, più o meno consapevolmente. Il poeta però è un essere speciale: è creato dalle sue stesse parole. Forse è l’immagine che crea l’artista?
MRM- Luci e ombre (tante) del sistema dell’arte odierno.
LGP- il discorso sarebbe lungo, però posso consigliare a un giovane artista di non farsi intrappolare dal sistema dell’arte, non ne vale la pena. Penso che la libertà espressiva debba venire prima di ogni altra cosa, scevra dai condizionamenti e dal mercato. Solo raggiunta la maturità ci si può relazionare col mercato senza farsi condizionare. Sono contenta delle mie scelte, di non avere avuto una galleria per esempio. Ho esposto e proposto il mio lavoro in modo indipendente, partecipando a progetti e bandi. Questo all’estero funziona molto, in Italia un po’ meno ma le cose possono cambiare. Ma il sistema dell’arte per me sono anche gli artisti stessi, gli scrittori, i musicisti, i maestri che incontri lungo il percorso.
MRM- Se tu potessi avere la facoltà di compiere un atto creativo in un mondo che lo è sempre di meno, che gesto vorresti compiere?
LGP- Il mondo non è meno creativo di prima, cambia il nostro modo di guardarlo, la nostra prospettiva. Certo viviamo un periodo molto particolare e delicato in cui profonde trasformazioni rischiano di farci perdere l’identità e i valori che una volta riconoscevamo come parte di noi. Gesti piccoli, ci vogliono gesti piccoli e veri, profondi, capaci di parlarci nell’intimo. L’arte ad uso e consumo della forza e della spettacolarizzazione non mi ha mai convinta del tutto.
MRM- tre parole per definire la tua arte.
LGP- non saprei, non mi occupo di definizioni! … Dai ci provo: incompiuta, necessaria, irriverente
MRM- Cosa sogna un artista? Per te sono più pregnanti i sogni della notte o i sogni ad occhi aperti?
LGP- Creare l’immagine perfetta, o almeno riuscire a creare un’Immagine – una VERA immagine, almeno una sola nella vita. Questo è il mio sogno e la mia ossessione.
MRM- Per concludere vorrei che mi “disegnassi” la vita e la morte in un’unica immagine. Come fosse il simbolo della tua arte.
LGP- Aspetta, quando scoprirò la soluzione dell’enigma ti faccio sapere! Per il momento sono alla ricerca … ed è facile perdersi, ma il bello è anche questo, o no?
Maria Rita Montagnani
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