Dai truculenti miti antichi allo stereotipo della “madre perfetta”: lo status della maternità è stato troppo sublimato o troppo demonizzato, spesso dimenticando che è frutto del ventre più profondo e vulnerabile della natura femminile.

Dolci note di carillon.
Profumo di latte e borotalco.
Bambole vestite di rosa.
E poi, la grande avventura: osservare ogni suo attimo denso di vita, dai primi passi verso le braccia del papà a quelli verso l’altare, vestita da sposa, verso l’uomo che la renderà moglie e madre, a sua volta.
Eppure non è solo questo l’iter della maternità.
Non c’è un’esperienza senza ombre, che ricalca un modello di perfezione a cui tendere, pena sentirsi inadeguate.
Ci sono storie di madri negate, infertili o vittime di sorti matrigne.
Ci sono storie di madri sole e irrisolte, che nel buio cercano di stringere a sé il frutto del proprio del ventre, ma trovano solo un cordone ombelicale reciso, destinato a diventare cappio di condanna.
Talvolta è opportuno, dolcemente, assolvere, comprendendo le umane debolezze, sgravando da un senso di colpa celato atavico.
Alcuni episodi, veicolati dai media, sono un, cosiddetto, “calcio nello stomaco”, ma, se si impara a ingoiare e digerire, tutto può nutrire.
Attraverso questa sublime forma di fagocitazione, si può giungere a ritenere straordinariamente belle e trasudante di vita, pur nella inequivocabile drammaticità che la denota, testimonianze in cui le donne, sia figlie che madri, hanno saputo rinascere dalle ceneri della propria pira.
Conoscere e venire a patti con una realtà spietata che sfata il mito della madre sempre luminosa, creatosi nei secoli, non è facile.

Per scorgere il lato oscuro della maternità, così diverso dal modello edulcorato proposto, bisogna sporgersi per guardare nel baratro, incuranti del pericolo di scivolarvi.
Solo così potremo specchiarci in occhi profondi come pozzi.
Sono gli occhi donne mortificate nella femminilità, eppure femmine lo sono, e, nel caso se lo dimenticassero, ci sono i dolori del ventre martoriato a ricordarglielo.
Sono gli occhi di figlie, ormai adulte, ma ancora bramose di una carezza, che ragionano per tagli, incisioni impietose su braccia e pancia, lacerazioni e asportazioni degli affetti.
Tutte le donne sono figlie di Eva, la progenitrice, il cui primo gesto, l’assaggio e l’offerta del frutto proibito, condensa caduta e vita: senza di esso nulla sarebbe cominciato, né la morte né la Storia. E senza di esso non saremmo Madri.
Se l’infertilità riguarda il venti per cento della popolazione femminile, tuttavia, ogni donna diventa metaforicamente sterile quando viene mutilata nell’anima, quando le è negata voce, quando i doveri ci sono aggiunti e i diritti sottratti.

Ma ci sono anche storie di madri indiscutibilmente “cattive”, cuori sterili che abortiscono carezze.
Ci sono.
Sono creature dai contorni raccapriccianti, perchè contro l’umano istinto, ma ci sono: non scompariranno voltando la testa e non potremo salvare i loro figli – vittime con la debolezza del silenzio.
Il lato oscuro della maternità è un tabù che appartiene all’umanità da sempre e viene espressi fin dai racconti arcaici e dalla tragedia greca, ma perfino dalle fiabe tradizionali, nella cui versione originaria, e più truculenta, talvolta è la madre, non la matrigna, ad essere “strega”.
Tutt’oggi le figure mostruose, che popolano le pagine dei rotocalchi e dei quotidiani, lontane, intangibili, donne mito da ribattezzare con l’appellativo di “Medea”, colei che uccise i propri figli per punire il tradimento del marito, per rinchiuderle in un tempo senza nome. Invece sono vicine, abitano dietro la porta accanto, ma hanno una mano metaforica che ne ovatta la voce e la richiesta disperata.

Come porci dunque, davanti alle problematiche inerenti alla maternità e al famigerato istinto materno? Come valutare coloro che, non potendo generare, sono disposte a tutto pur di coronare il proprio sogno? E come giudicare coloro che procreano per poi abbandonare o addirittura nuocere alla propria progenie?
Non dimenticandone l’esistenza, ma cercando di comprendere, attraverso l’analisi della società e di chi la compone, scambiandosi opinioni, appassionate ma non scevre di rispetto, leggendo, scrivendo, parlando, al fine di costruire ponti di comunicazione, incontro, aiuto, sostegno. Di Ascolto.
Ricordando che nessuna madre è perfetta e che la verità ha molteplici sfumature, talora crude e crudeli, è soltanto mettendola a nudo si crea una coperta che protegge tutti, soprattutto i bambini.
Emma Fenu
Bibliografia: Emma Fenu, Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità, Echos Edizioni, 2015.
Illustrazioni: Nicoletta Ceccoli
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