Tardo pomeriggio di un giorno uggioso di fine aprile. Santa Maria Novella, la stazione è un carnaio brulicante. L’Italia è spezzata in due da un incidente ferroviario a pochi chilometri da Firenze. Troviamo riparo in un baraccio lungo i binari, chiasso, il sibilo delle rotaie nella distanza e la peggiore disco music da sottofondo. Ci accomodiamo. Pronti, partenza, via. Fresco di stampa, il nuovo libro di Christian Caliandro, dal titolo Contro l’arte fighetta, indaga un fenomeno peculiare del nostro tempo su cui riflettere. Una deriva in atto da diversi anni? Una tendenza modaiola? Un impoverimento del ruolo dell’arte (ammesso che si possa parlare di “ruolo” per l’arte)? Un sistema autoreferenziale che gira a vuoto su se stesso?
F.A.: Partirei da un dato che mi ha incuriosito. Ho notato che nonostante la puntualità dell’articolata analisi che si dipana attraverso tutto il saggio non fai mai riferimento ad artisti che potremmo far rientrare nel fighettismo. Nel senso che non sono presenti esempi o riferimenti in tal senso. Sono sicuro che si tratti di una scelta ponderata.
C.C.: Infatti, è proprio così. Mettendo dei nomi sarei caduto nella trappola della schermaglia, dell’attacco diretto, che volevo proprio evitare. Intanto nella nostra epoca, a pensarci bene, l’arte fighetta rappresenta buona parte dell’arte riconosciuta, incensata, ufficiale, quindi, per certi versi uno varrebbe l’altro. Inoltre, il titolo stesso del libro è Contro l’arte fighetta, non contro il singolo artista che rientrerebbe in questa definizione. Quindi volutamente non ci sono esempi, perché il mio interesse è focalizzato sul fenomeno piuttosto che su di un singolo artista. È una critica all’atteggiamento che scoviamo dietro l’opera, mentre fare esempi, paradossalmente, sarebbe rientrato proprio nel modello dell’arte fighetta. Poi, sono sicuro che appena letto il titolo chiunque non potrà fare a meno di pensare ad un numero considerevole di opere d’arte fighette nelle quali riscontrare questa attitudine.
F.A.: Ma il fighettismo è un’attitudine prettamente italiana oppure è un fenomeno internazionale?
C.C.: È un fenomeno diffuso e assolutamente non locale. Ovviamente c’è una declinazione tutta italiana, ma è un fenomeno che va oltre i confini nazionali. Essendo un’attitudine “vincente” la puoi riscontrare con varie sfumature un po’ ovunque.
F.A.: Ad un certo punto del libro fai riferimento al “cinismo” con un’accezione molto negativa. Cerco di spiegarmi meglio, alcuni artisti, penso a Francis Bacon, Carmelo Bene, giusto per fare due nomi, erano tacciati di cinismo e forse nella loro attitudine il cinismo era proprio una caratteristica fondamentale che probabilmente rappresentava anche una delle peculiarità della forza del loro lavoro. Detto questo, in che senso invece tu imputi un cinismo “negativo” agli artisti fighetti?
C.C.: L’accezione negativa è connaturata nel termine, ma il cinismo degli artisti che citi non è lo stesso dell’artista fighetto, anzi direi che quello odierno è proprio opposto a quello che si poteva riscontrare negli anni settanta, ottanta. Il cinismo di oggi è direttamente connesso con lo sfruttamento, ossia costruire e strutturare un rapporto rispetto esclusivamente ad un torna conto, a quanto si può sfruttare l’altro. È una qualità estrattiva e quindi è strettamente connessa a ricavare un risultato immediato, un profitto strumentale, senza riuscire ad andare oltre questo obiettivo. Questo modello però, se ci pensi bene, è un pericolo, perché entriamo in un territorio inesplorato e rischioso. Philip K. Dick, ad esempio, presentava questa situazione nel rapporto uomo-androide. Nel senso che l’androide è quell’essere che ti valuta in funzione di quello che tu puoi offrire, si relaziona in virtù del proprio tornaconto, quindi possiamo affermare che l’androide di Dick coincide con l’artista fighetto.
La copertina di Contro l’arte fighetta di Christian Caliandro
F.A.: Domanda inevitabile: l’artista non fighetto, di cui tratti in maniera approfondita in diversi punti del tuo saggio, può ambire al successo, anche se è un termine molto ambiguo, mi rendo conto, può sfondare, o comunque arrivare a un livello tale da affermarsi?
C.C.: Lo sfondare rientra proprio nell’orizzonte dell’arte fighetta. È proprio l’arte fighetta che si valuta in questi termini. L’artista non fighetto non se lo pone proprio questo obiettivo, per affermarsi dovrebbe cambiare tutto il quadro di riferimento, ma non arriverà mai a sfondare, al massimo potrà estendere il suo ambito d’influenza. Pensa, ad esempio, a ciò che consideriamo negativo. Rispetto al punto di vista cambia completamente la prospettiva e la valutazione. L’artista fighetto ha orrore per ciò che è negativo, perché magari non lo comprende nemmeno ed è orientato al successo e all’affermazione, mentre la negatività ha in sé un’energia e una ricchezza che non viene considerata adeguatamente. Poi dipende anche da cosa noi “chiediamo” a un’opera, perché se noi chiediamo, come accade sempre più spesso oggi, di essere efficiente, allora l’unica via è proprio quella dell’arte fighetta. Dipende sempre da come guardiamo e da cosa “chiediamo” all’opera d’arte.
F.A.: Un’altra questione che da sempre mi colpisce è un certo senso di vergogna che percepisco nel rapporto che sviluppano molti artisti nei confronti della professione che gli consente di guadagnare, magari del tanto vituperato posto fisso, e addirittura in certi casi il senso di disprezzo nei confronti del lavoro, inteso ovviamente come occupazione lavorativa. L’artista insomma crede ancora nella purezza e nel martirio sull’altare della creazione?
C.C.: Intanto mi sembra una stortura prettamente italiana, ma alla base di tutto c’è un problema di classismo. L’arte fighetta è espressione e riferimento delle classi dominanti. L’artista fighetto adotta la logica dell’ambire e adattarsi allo status quo, senza voler cambiare nulla. Quindi questa vergogna del lavoro extra-artistico, proviene dall’eliminazione del potenziale dell’appartenere ad una classe sociale e poter portare nel mondo dell’arte un punto di vista differente, invece nella nostra epoca diventa un neo di cui vergognarsi. L’arte fighetta è un’arte che ha introiettato il punto di vista del classismo. Tutto ciò è evidente in come le opere d’arte fighette funzionano, o per meglio dire, non funzionano, spesso essendo esclusivamente decorative. Cioè l’opera non deve avere nessuna aspirazione a cambiare minimamente il modo di pensare, vedere e vivere delle persone. Purtroppo questo accade anche nei confronti di un certo tipo di arte impegnata, politica, o che vorrebbe essere tale. E se ci pensi bene è una delle cose più preoccupanti.
F.A.: Ma questa tendenza dell’arte fighetta è peculiare dei nostri tempi o anche in passato abbiamo avuto fenomeni simili? Qualcosa forse è andato storto col passare del tempo?
C.C.: Credo che sia emersa tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, perché fortemente connessa al mondo finanziario, per poi esplodere negli ultimi vent’anni e credo che i risultati siano sotto gli occhi di tutti. Forse in passato, potremmo ritrovare in alcuni passaggi della storia qualche artista fighetto, ma non era sicuramente l’unico punto di vista, non era esclusivo. Invece, il problema è che in questo momento storico il processo messo in atto dall’arte fighetta è omologante e conformista. Invece una sorta di rabbia è necessaria per “fare arte” e un sistema elitario non mi sembra che possa avere questa qualità. La rabbia non viene e non è mai venuta dall’élite, o al massimo si tratta di una posa poco autentica. In tal senso la spontaneità, l’autenticità oggi sono fuori moda e hanno perso il loro valore. Il ribelle come riferimento non esiste più. Il ribelle è percepito oggi come un disagiato, una sorta di personaggio problematico. I modelli a cui si guarda oggi devono essere pacifici, mansueti, accondiscendenti.
Fabrizio Ajello+Midjourney, Goldenman – 2022
F.A.: Inevitabile notare come sia importante la musica nell’ambito delle tue riflessioni. Il libro ha una parte considerevole dedicata proprio a questo aspetto e ai mutamenti e alle caratteristiche peculiari di certi gruppi, di certi movimenti, di determinate scene musicali, di alcune pietre miliari che sono lo specchio di un certo tipo di società e di atteggiamento artistico che ha segnato intere generazioni.
C.C.: È proprio così, nel senso che la musica è un po’ la cartina tornasole perfetta, perché il modello del pop sotterraneo poteva offrire un ottimo esempio di arte non fighetta, dal momento che si trattava di musica sperimentale, di ricerca, ma allo stesso tempo aveva una tensione verso il mainstream. Il Grunge, il Post Punk si mantenevano “duri” ma senza perdersi la potenzialità di essere accessibili. Mark Fisher aveva intuito tutto questo qualche anno fa, ossia il fatto che un certo tipo di musica, anche se indipendente, rispondeva a necessità che provenivano “dal basso”. Al contrario, l’arte fighetta è autogenerata, calata dall’alto e autoreferenziale. Non è quindi in grado quindi di generare un immaginario condiviso, perché manca di profondità e da questa superficialità non può emergere nulla di generazionale, nulla di caratteristico.
F.A.: E i social, internet, la condivisione, in tutto questo che ruolo hanno?
C.C.: Questo è un altro problema della nostra epoca. Non è detto, infatti, che la grande disponibilità di mezzi che permettano la condivisione, sia un pregio senza rischi, anzi, siamo per certi versi in balia di un maggiore consumo di beni, anche artistici e culturali. Tutto questo non è un vantaggio per la creatività, anzi, l’esatto opposto, perché tutte le sottoculture che poi emergono con risultati notevoli si nutrono proprio della scarsità di prodotti che ingolfano il sistema. L’abbondanza non è un vantaggio e questo vale per qualsiasi ambito, dalla musica al cinema, dal teatro alle arti visive.
F.A.: Potremmo concludere affermando che sarebbe importante che gli artisti ritrovassero “l’ossessione necessaria” che sembra un po’ mancare nella loro ricerca e nei loro lavori?
C.C.: Ma tornando a quanto dicevamo all’inizio del nostro discorso, il cinismo è proprio l’opposto dell’ossessione a cui fai riferimento tu. Il mettere distanza, senza riuscire a identificarsi con niente è proprio inconciliabile con l’ossessione. L’artista significativo alla fine ha un punto focale e lavora sempre su quello, certo con variazioni e sviluppi, ma l’ossessione è sempre ben riconoscibile. La concentrazione ossessiva è uno degli antidoti, forse il più potente contro l’arte fighetta.
Fabrizio Ajello
Immagine in copertina: Fabrizio Ajello+Midjourney, No land – 2022