Con 2,2 miliardi di utenti attivi, Facebook è il social network più utilizzato al mondo, talmente popolare da essersi meritato anche una biografia cinematografica di tutto rispetto. Ripercorriamo le tappe principali di questa epopea lunga quasi 15 anni.
Nonostante una dichiarata fuga di massa a seguito dei recenti scandali che hanno destabilizzato Zuckerberg e la sua creatura (più paventata che attuata, a dir la verità), Facebook si può ritenere talmente connaturato alla nostra esistenza da non temere realmente pensionamento o estinzione, almeno per il momento. Per dirla con i fatti basta guardare all’effetto domino che ha scatenato il recente fenomeno del “10 years challenge”, che proprio da Facebook è scaturito, con buona pace di analisti e complottasti che vedono in tutto ciò un’ennesima ingerenza dell’algoritmo per immagazzinare dati in modo occulto.
L’avvento di altre forme di vita social ha contribuito nel corso degli anni a mutare certamente il linguaggio di Facebook, inducendolo ad appropriarsi di diversi territori comunicativi mai sperimentati prima, e ad abbandonarne altri ormai appannaggio di terzi: meno vetrina di immagini e scatti di vita (per quello c’è Instagram), meno proclami brevi sotto forma di status (per quello c’è Twitter), meno piazza da speed date virtuale (per quello c’è Tinder). La piattaforma che quotidianamente utilizziamo è quindi radicalmente cambiata rispetto al prototipo iniziale e agli intenti che l’hanno generata e spesso in modo autonomo rispetto alla linea di condotta pensata dai suoi creatori. Mai come in questo caso infatti le reazioni dei fruitori hanno condizionato e talvolta anche obbligato scelte estetiche e funzionali del mezzo, costringendo gli sviluppatori a rivedere gli schemi evolutivi spesso anche con clamorosi dietrofront. Sono eclatanti le levate di scudi degli iscritti davanti ad alcune funzioni della timeline, introdotte e poi ritirate come in una costante ricerca di approvazione e timore di disaffezione connaturati alle strategie dei suoi creatori. Una liquidità ed una capacità di trasformarsi di pari passo con il “sentiment” dell’iscritto tipo, apportando modifiche estetiche andate di pari passo con le variazioni d’uso e fruizione del social per eccellenza.
Ma quali sono stati gli step principali nella sua evoluzione?
Facebook nasce nel 2004 e cerca di imporsi subito come “The Facebook”, non quindi come la trasposizione virtuale di uno dei tanti annuari scolastici statunitensi, ma come “il” libro delle facce per eccellenza, con la non facile ambizione di porre in networking amici e colleghi e chiunque si possa in effetti conoscere, anche solo superficialmente, nel mondo reale. Se la sua partenza è settaria, chiusa nel piccolo grande microcosmo harvardiano, nel giro di poco cresce, allargandosi prima agli altri college made in USA, e poi, già nel 2006, al Mondo e liberandosi del pretenzioso ed altisonante articolo “The”.
Con questa svolta globale e si rifà il look e si struttura, aggiungendo elementi grafici, creando uno dei capisaldi ancora ora irrinunciabili, ovvero il wall o news feed, ed iniziando, nel 2007, a creare una sorta di banca dati dei nostri usi, costumi e consumi grazie ad una lungimirante intuizione e vocazione imprenditoriale del suo fondatore, che di fatto sfrutta l’ingenuità dell’utente medio e la sua volontà un po’ naif di esporre la propria vita ed i propri gusti ad una platea sempre più sconfinata senza troppe sovrastrutture. Per gli ex teenager che si approcciano al mezzo ai suoi albori è stata quindi una sorta di Smemoranda digitale: basta scorrere la funzione “ricordi” per rendersi conto di quanto in quella prima fase di esplorazione postavamo ancor di più pensieri in libertà, esortati anche dal social stesso che chiedeva esplicitamente di dichiarare cosa stessimo pensando, anche in una più che discussa modalità in terza persona, per poter acquisire quante più nozioni e dati rilevanti ai fini statistici e favorire un’empatia tra il mezzo e l’utente ed una completa fiducia nella piattaforma.

Ma tutta questa libertà di pensiero esposta in pubblica piazza mediatica inizia a richiedere dei paletti, ed è così che nascono nel 2008, a fronte del suo dilagare e dei ben 50 milioni di iscritti, strumenti di apparente tutela della privacy, di pari passo però con nuove funzioni che di fatto ispirano ancora una volta al dichiarare apertamente i propri gusti e di fatto a profilare un proprio identikit, come la nascita, nel 2009, delle pagine fan aperte a tutti.
Nel 2010 Facebook raggiunge ben 500 milioni di utenti registrati, decuplicando in soli 3 anni la sua presenza sul territorio mondiale e nel 2011 apporta la sua più grande innovazione dalla data della sua creazione, ovvero l’introduzione della Timeline, che trasforma la pagina personale in una sorta di diario cronologico estremamente grafico e personalizzabile, nel quale è possibile inoltre navigare per poter rintracciare i post e le attività dalla propria registrazione al social network. Le immagini si fanno più grandi e di maggiore appealing, si introduce la foto di copertina, si punta sull’incrementare ancora di più la connessione e si mettono quindi in evidenza in colonna i potenziali amici con cui collegarsi.
Tra il 2013 ed il 2014 Facebook si concentra su di un uso più immediato e meno home desktop, potenziando la sua app di pari passo con il dilagare degli smartphones, introducendo la messaggistica istantanea e liberando gli utenti dal dover dialogare da un wall all’altro mettendo in piazza le proprie conversazioni; un fenomeno, quello di Messenger, che è strumento complementare ed ormai del tutto indipendente da Facebook stesso, alternativa vera e propria a Whatsapp che poi è ormai anch’esso creatura a tutti gli effetti di Zuckerberg & Co.

Il 2015 è l’anno dell’introduzione massiva del famigerato algoritmo, l’arma a doppio taglio, croce e delizia degli utenti e del suo creatore, la grande spia che affina le capacità interpretative dei dati e li volge in oro. Se da una parte infatti la profilazione degli utenti e dei loro gusti permette a Facebook di far cassa e, letteralmente, vendersi o, meglio ancora, venderci, dall’altro l’iscritto riceve informazioni più circostanziate e personali. Questa vocazione tailor made viene inoltre incentivata dalla inedita possibilità di personalizzare la privacy sul singolo post, permettendo quindi di fatto di ritagliarsi un profilo social aperto ed uno chiuso o di escludere e /o includere le informazioni condivise con determinati gruppi o persone.
E’ delle ultime versioni infatti una sorta di ossessione per l’esortazione all’allargare le reti personali, con la prepotente ingerenza della funzione “Persone che potresti conoscere” e con buona pace dei pacchetti dati ceduti al miglior offerente. Ed è proprio il grande momento di rottura e disamore scaturito dall’affaire Cambridge Analytics ed i suoi 90 milioni di utenti venduti a terzi e alle logiche di mercato, che costringe a contromisure per contenere i danni, a cercare ristabilire una affinità con l’utente, a favorire le possibilità di blindare (apparentemente) le attività dell’iscritto celandole in gruppi chiusi spesso crogiolo della parte più deteriore del web, e a cercare di stabilire una complicità quasi familiare con l’utente che sempre più spesso si trova davanti a video personalizzati celebrativi di pseudo anniversari, a richieste di interazione col mezzo seme.
Il presente del social per eccellenza è certamente permeato di questa ansia di riappropriarsi di un rapporto privilegiato e preferenziale con gli utenti costruito ed acquisito nell’arco di molti anni, ma anche dell’ossessione di inglobare, emulare, doppiare le funzioni e le innovazioni proposte dagli altri social e dalle applicazioni più disparate, come l’inserimento dei live video finalizzata al bruciare competitors come snapchat, periscope, youtube. Il suo futuro è quindi imperscrutabile e ricco di incognite e variabili sempre più dettate dal contesto globale in cui si muove, più che da una linea di sviluppo editoriale interna. Non resta che attendere che a breve soffi sulle sue prime 15 candeline, il prossimo febbraio, per capire se si stia preparando ad una nuova radicale muta o attenda piuttosto le prossime mosse dei competitors per contrastarli e fagocitarli per l’ennesima volta.
Gabriella Cerbai
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