Indecisa se entrare a Palazzo Reale o al Museo del 900 di Milano, il mio sguardo viene catturato da una porta di mezzo ai due. Fuori sono appese delle riproduzioni dei quadri esposti: sono colorati, semplici e diretti. Ho voglia di entrare, ma la scritta “Auschwitz” mi blocca. Tutto ciò che riguarda l’olocausto lo faccio davvero fatica a digerire, eppure quelle immagini sono così invitanti, l’artista è una donna – Charlotte Salomon – e il titolo della mostra è Vita? O teatro?: metto da parte i pregiudizi sulla pesantezza dell’argomento ed entro. Non avrei potuto prendere decisione migliore: nella sua opera il nazismo è marginale, mentre affiora l’intimità della sua vita, ci si emoziona con lei, ci si affeziona alle vicende e ai personaggi, ci si immedesima. La sua tecnica pittorica, i colori, la musica e le parole che sceglie fanno dimenticare per un attimo il contesto storico in cui la sua vita si evolve, la quale a sua volta non è tutta rose e fiori.
La storia della famiglia di Charlotte è infatti costellata di suicidi, a partire da quello della zia, seguito da quello della madre e infine la nonna. Nasce nel 1917 a Berlino da una coppia ebrea e trascorre un primo periodo di infanzia spensierato nella ricca Charlottenburg, ma quando compie nove anni la madre si toglie la vita. Dopo un primo momento di spaesamento il padre trova un nuovo amore nella famosa cantante lirica Paula Lindberg, che diventa per Charlotte un punto di riferimento emotivo fondamentale e sarà durante il nazismo colei che riuscirà a far uscire il padre dal campo nazista e a far scappare la piccola. Nel 1939 infatti viene spedita nel sud della Francia dai nonni, dove sperano di farla scampare alla persecuzione. I tormenti non sono mai abbastanza però: la nonna non riesce a superare il suicidio di entrambe le sue figlie e, dopo svariati tentativi, riesce a togliersi la vita, come prescritto dalla maledizione familiare. Le tele che riguardano questo periodo fanno percepire l’infinita tristezza e desolazione accompagnate dall’amore per la vita che contraddistingue l’anima dell’artista.
Charlotte ha ormai conosciuto la morte fin troppo bene e decide di non cedere. Dà prova di scegliere la vita producendo la sua grande opera: 1300 tavole a guazzo rappresentanti tutte le tappe del suo percorso di crescita tradotte in un Singspiel (recita cantata) con personaggi tratti dalla realtà sotto pseudonimo e l’indicazione delle musiche scelte. Nel 1940 viene catturata dalla Gestapo insieme al marito, deportata ad Auschwitz, dove muore probabilmente il giorno stesso, essendo incinta di qualche mese.
La tragica fine di Charlotte “potenzia ulteriormente la forza comunicativa della sua opera”, come precisa il curatore Bruno Pedretti. “Ulteriormente” perché non è la drammaticità il cuore di Leben? Oder theater? (vita? O teatro?): il cuore è lo sguardo poetico in perenne dialettica tra vita e morte, grazie a cui l’arte emerge e vince sulla e con la tragedia. In questo diario-opera si vedono gli episodi dolorosi alternarsi a quelli felici, sogni e passioni di una ragazza sensibile svilupparsi in parallelo con l’ascesa di Hitler. Sono stupefacenti il livello di intimità che raggiunge. La sintesi narrativa inquadra senza indugio e con una precisione da ingegnere i ricordi intrisi di dolore e amore. Più la sostanza si avvicina al sogno e al livello astratto-mentale, tanto più l’artista riesce a renderlo su tela, con una potenza descrittiva eguale alle situazioni più concrete. Si può dire che sia un’opera d’arte totale anche per questo, non solo perché unisce pittura, scrittura e musica.
La maestria e lo stile sono tutte esclusive della Salomon: si rintracciano echi dell’espressionismo tedesco, di Munch, di Chagall e anche del primo Kandinskij, ma non la si riesce a inquadrare in una corrente artistica determinata. Le tavole sembrano uno storyboard di ricordi, dei quali è evidente l’umore interiore dell’artista grazie al tratto e ai colori. Il primo è inizialmente meticoloso e pulito, forse figlio dell’entusiasmo iniziale e del fatto che le vicende narrate erano ormai lontane nel tempo e quindi metabolizzate. I colori sono saturi, tendenti al grigio e al verdone per l’infanzia con la madre, all’azzurro e al giallo primario per i momenti con l’amata governante, all’arancione e al rosso per gli incontri segreti con l’amante. Si può dire che abbiano sempre un significato emotivo palese e controllato, mentre il tratto si fa via via sempre più sfuggente: sembra suggerire l’ansia che attanaglia l’animo dell’artista mentre sente avvicinarsi la fine.
Quella di Charlotte Salomon è una testimonianza che bisogna ricevere con serenità per poterne cogliere l’intensità. Accoglierla come un documento storico però non basta: oltre a consegnarci uno spaccato della vita agiata berlinese pre e durante il nazismo, è il diario emotivo di una sognatrice a cui la vita non ha voluto ricambiare il sorriso, ma a cui la natura ha donato la capacità di creare in mezzo alla tragedia un’opera d’arte.
Chiara Azzolini
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