Per celebrare i quaranta anni dall’istituzione della Fondazione Ragghianti, ad opera di Carlo Ludovico Ragghianti e Licia Collobi, si è aperta nel dicembre 2021 a cura di Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna la mostra “Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura” dedicata ad un rapporto che aveva le sue radici nella condivisione del pensiero politico e della vena creativa.
Trattandosi di due personaggi, Carlo Ludovico Ragghianti e Carlo Levi, che hanno avuto molti e diversi àmbiti di azione e riflessione, la mostra e il relativo catalogo ricostruiscono, oltre agli eventi e alle circostanze della loro amicizia, i nodi identitari di questo rapporto, le questioni teoriche di carattere storico-artistico, e altri punti d’interesse comuni ai due per un’azione da esplicarsi nel quadro di una politica delle arti. La mostra e il catalogo offrono una testimonianza, attraverso opere d’arte, lettere, documenti, fotografie e filmati, del significato dell’amicizia fra Ragghianti e Levi, anche alla luce della loro formazione culturale.

L’amicizia tra i due intellettuali si fa risalire agli anni Quaranta quando entrambi vivevano in una Firenze occupata, ma dove l’attività di resistenza, a cui i due attivamente fecero parte, era fervente: in quegli anni Levi darà luce al suo celeberrimo “Cristo si è fermato a Eboli” e nel 1948 Ragghianti gli dedicherà, episodio alquanto originale per l’epoca, una monografia in cui approfondisce e scandaglia la sua attività pittorica.
Attività pittorica che non cessa mai di essere presente nella vita di Carlo Levi, neppure negli anni più cupi della guerra e del suo confino in Francia e in Basilicata.
La mostra alla Fondazione Ragghianti ci regala una fervida testimonianza della sua instancabile produzione, dagli anni della formazione, che risalgono alla metà degli anni Venti, sino agli anni Settanta.
Nella prima fase pittorica di Levi, gli anni Venti, nonostante il contesto storico e politico sia tutt’altro che calmo, non si percepisce la drammaticità e la paura di un’Europa devastata.
È presente invece una componente personale, intimista, che richiama i luoghi di piacere e di svago dell’artista e che sembra un inno alla vita: le opere sono ritratti di amici, paesaggi che si dissolvono grazie alla pennellate corpose, sinuose, che paiono danzare sulla tela e che ricordano le pennellate, per alcuni versi grossolane, a grandi campiture, dei Fauves.
Poi però la guerra, il nazi fascismo e i tempi bui fagocitano il mondo, rapendo anche ciò che ad un artista, e agli esseri umani, non andrebbe mai sottratta: la libertà, la libertà di creare e la libertà di vivere. Nonostante la cupezza del momento storico e lo sconforto dato dalla fuga in Francia negli anni Trenta, il rientro in Italia e il confino in Basilicata, Levi è un pittore instancabile ed anzi, attraverso le sue opere si concretizza sempre più la sua battaglia politica per la libertà.
Nelle tele degli anni Trenta e Quaranta si definiscono i temi cari a Levi – ritratto, autoritratto, nature morte, paesaggio e nudo – e le sue opere sono una commistione di storia contemporanea e sofferenza, di nuda crudeltà e cupezza, come nei Tre Nudi, dove non vi è la presenza quasi scenica, vitale, dalle campiture cromatiche chiare degli anni precedenti ma, al contrario, ci viene presentato senza veli un insieme di corpi, abbandonati, in una notte scura, in un tempo sospeso. I colori impiegati, le linee vibranti ci fanno riflettere sul dolore e la privazione della libertà, della spensieratezza.

E questa intensità emotiva data ai propri soggetti la si ritrova anche nelle litografie che Levi stesso ha realizzato per “Cristo si è fermato a Eboli”: le campiture delle tele in questi lavori lasciano spazio ad un disegno che sembra veloce, ma che ci restituisce in pieno la sofferenza delle persone incontrate da Levi nel Sud Italia, un mondo lontanissimo seppur a pochi passi da Roma, dalla Capitale.
Nonostante il suo costante errare negli anni Quaranta, Levi continua a sentirsi libero sulla tela: quasi a comunicarci che l’arte lo stava salvando dalla sua condizione di esule e che grazie all’arte sarebbe vissuto nel tempo. La pittura, e in particolar modo i ritratti, gli autoritratti, sono per Levi la forma più grande di memoria “scomparse le persone nella notte del passato, scomparse nella vita, esse restano, per le loro immagini dipinte, del tutto reali in un’altra vita, completa, immune da perdite, mutilazioni, censure della memoria[1]”.

La mostra ha un approfondimento storico artistico notevole e focalizza l’attenzione anche su un singolare aspetto che lega Ragghianti e Levi: il comune interesse per il cinema. Levi lavora come sceneggiatore e scenografo per alcuni film, disegna il manifesto di Accattone di Pier Paolo Pasolini, e dagli anni Cinquanta in poi, a Roma, diventa un ritrattista ambìto da molti personaggi del mondo del cinema
Nell’archivio della Fondazione Ragghianti, così come in quello della Fondazione Carlo Levi di Roma, si conservano documenti che riguardano in special modo la sfera storico-artistica e critica, che fu al centro di questa amicizia che ben è presentata in questa bella mostra e che ci svela aspetti inediti di due grandi figure della nostra storia artistica e politica.
La mostra è visitabile fino al 20 marzo 2022 ed è accompagnata dal catalogo “Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura” pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte.
Giulia Pardini
[1] C. Levi, I Ritratti, in Levi, Lo Specchio
In copertina: Ritratto di Paola Olivetti, (1941-1942), olio su tela, 41×33 cm, Roma, Fondazione Carlo Levi, ph. Riccardo Lodovici