Tanto attesa e in bilico tra la pandemia e un conflitto drammatico alle porte dell’Europa, arriva la Biennale Arte 2022 a Venezia. Folla folle, pronostici, entusiasmi, critiche, schiamazzi ed eventi a gogò. Scelte coraggiose e qualche polemica qua e là. Ma alla fine della fiera anche per questo 2022 la Biennale di Venezia ha indicato una via, nel bene e nel male (a breve sarà il turno di documenta 15, curata dagli indonesiani ruangrupa). Assegnati i Leoni d’Oro alla carriera all’artista tedesca Katharina Fritsch e all’artista cilena Cecilia Vicuña, la giuria ha premiato: Leone d’Oro per la Miglior Partecipazione Nazionale alla Gran Bretagna, Sonia Boyce: Feeling Her Way, due menzioni speciali attribuite alle Partecipazioni Nazionali: Francia e Uganda, Leone d’Oro per il miglior partecipante alla Mostra Internazionale Il latte dei sogni alla statunitense Simone Leigh, Leone d’Argento per un promettente giovane partecipante alla Mostra Internazionale Il latte dei sogni alla libanese Ali Cherri e due menzioni speciali alla statunitense Lynn Hershman Leeson e alla canadese Shuvinai Ashoona.
Una Biennale che risente molto, al di là della “svolta al femminile”, di quella curata da Massimiliano Gioni, Il Palazzo Enciclopedico, del 2013, con buona pace del parere opposto della curatrice Cecilia Alemani. Ma oltre ai premiati e ai padiglioni più gettonati e alle artiste e agli artisti più discussi, c’è dell’altro a cui dare attenzione quest’anno in laguna.
Uno dei padiglioni, ad esempio, meno dibattuti ma fortemente in linea con lo statement della Alemani e convincente dal visto di visto complessivo è proprio quello della Danimarca, rappresentata dall’artista Uffe Isolotto, con il suo intervento We walked the Earth. Gli ambienti simulano una fusione tra stalla e abitazione di due esseri ibridi. Due centauri di dimensioni considerevoli, uno visibilmente mascolino e l’altro dai tratti femminili sono i protagonisti delle sale più grandi. Il primo pende impiccato dal soffitto in una posizione imperiosa e drammatica, la seconda giace in una sorta di rigor mortis post parto. Gli occhi vitrei non lasciano scampo. Fissano gli spettatori che si aggirano in una scena del crimine mitologico-sci-fi che contraddice l’ideale idilliaco della natura incontaminata e lussureggiante della Danimarca. La disperazione sembra cristallizzata in una scena da fiaba nera, come se la grande favola del progresso fosse in procinto di precipitare nel buio del dramma che accomuna tutti gli esseri viventi. Un epitaffio che sin dal titolo dell’opera risuona come un allarme rispetto ad un futuro incerto e straordinario allo stesso tempo. A rendere ancora più straniante l’intero padiglione, la presenza di alcuni oggetti metamorfici a terra, appesi, appoggiati al muro che sembrano voler sfuggire alla loro stessa natura e funzione. L’artista Isolotto afferma: Il presente in cui viviamo sta diventando sempre più complesso e imprevedibile mentre facciamo i conti con diverse realtà in tensione, sia ecologiche, politiche o esistenziali. C’è così tanta speranza e disperazione nell’aria, e io voglio rendere palpabile materialmente questa sensazione con la mia installazione.

Ma veniamo al Padiglione centrale dei Giardini, le sale imperdibili, oltre alla monumentale e inevitabile accoglienza della scultura Elefant/Elephant della premiata Katharina Fritsch, da segnalare sono quelle dedicate all’artista portoghese Paula Rego e alla svizzera Miriam Cahn. Pittura potente in entrambi i casi, che inchioda alla condizione umana in tutte le sfaccettature che continuano a mettere in mostra le fragilità della nostra essenza. La Rego indaga la quotidianità, distorcendola verso una teatralità malsana e degradata. Scene quotidiane in una cortina di buio luccicano di una ferinità scomposta. E’ come se la mostruosità di ogni soggetto osservato emergesse dai tratti spessi e carnosi dei pastelli, coagulati in visioni oniriche e caricaturali. Pupazzi ed esseri umani convivono in uno spazio che fonde palcoscenico/studio/casa/prigione. L’installazione che caratterizza l’intera sala conferma la convivenza sofferente all’interno di un armadio che non ha nessuna intenzione di tenere per sé i nostri “scheletri”. Sembra quasi che nei lavori della Rego si fondano perfettamente la ricerca di Lucien Freud e l’allucinazione esistenzialista brillante e scomposta di Francis Bacon. La Cahn viceversa non teatralizza ma rivela con tutta la violenza delle campiture luminosissime della sua pittura personaggi deconfigurati, allucinati e sessualizzati sino allo spasimo. Figure inquiete e approssimative fissano lo spettatore, sembrano fuori cornice e fuse con lo stesso spazio che le accoglie si stagliano opprimenti e aggressive. Ciò che sorprende è la luminosità, al di là dell’inquietudine emergente, pulsante nelle creature dipinte dall’artista svizzera. Si tratta di un necessario fulgore come ultimo residuo di superiorità a spegnersi. L’ultima palpitazione del divino che si cela in noi prima del buio. Una sorta di allucinazione attraversa i lavori della Cahn, una perversione semplice ma necessaria del concepire lo stare al mondo come essere in dinamiche inevitabilmente di potere.

Da segnalare inoltre i lavori straordinari di Ovartaci, l’acquerello preziosissimo della nostra Carol Rama, e all’Arsenale le collografie su carta spessa inquietanti e poetiche di Belkis Ayòn, i dipinti di Noh Davis, le gigantesche maschere della canadese Tau Lewis e il video toccante e drammatico Lacerate dell’artista ateniese Janis Rafa, vivamente consigliato. In conclusione due considerazioni inevitabili. Sicuramente il Padiglione Italia Viola/Tosatti, al di là delle discussioni, delle critiche e delle polemiche, segna nel bene e nel male un punto di riflessione e di svolta per quanto riguarda le scelte future. E come non avvertire il vuoto e il silenzio assordante del Padiglione Russo che nel fragoroso clamore e andirivieni di visitatori, stigmatizza la tragedia che continua a mietere vittime non lontano dalle feste patinate e dagli aperitivi affollati e chiassosi dei palazzi sfarzosi e dei bacari lagunari.
Fabrizio Ajello
In copertina: Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte – 2022, image courtesy of Licia Bianchi