Ci sono voci capaci di riempire un teatro, nella sua bellezza e nel sussurro di storia, questo di Fiesole appoggia su una collina e resiste al tempo, anche se la parte superiore della cavea è andata perduta, tutte le gradinate inferiori, le scalinate d’accesso, le parodos, l’orchestra, il pulpitum e il proscenio si sono perfettamente conservati, come un dono a chi ci sarà, ed è cosi che il resistere ed esserci, consente di viverlo nel presente attraverso spettacoli ed eventi.
Primo teatro antico in Italia ad aver accolto la tragedia classica, nel 1962, ogni estate abbonda di arte, e questa è forse speciale poiché dopo due anni di attesa, torna ad accogliere il pubblico a capienza piena, con un cartellone che va da giugno a settembre e che comprende diversi aspetti della proposta artistica italiana ed internazionale.
Qui, in quello che chiamano la “buca delle fate”, si è tenuto martedì 26 luglio, nell’ambito dell’Estate Fiesolana, un concerto all’altezza di tale magnificenza, quello di un artista unico: Benjamin Clementine.
La sua voce aveva ammaliato il pubblico toscano già nel 2017, nell’ambito del festival Settembre Prato è Spettacolo. Dopo cinque anni lo ritroviamo a Fiesole, con il suo timbro sempre più raffinato, dal soul intenso.
Chansonnier di origine ghanese, con passaporto britannico e residenza a Parigi, Benjamin Clementine è passato dai concerti nella metropolitana agli elogi del grande pubblico, fino alla vittoria del Mercury Prize.
Pianoforte e voce, la sua musica è fatta di suoni levigati e atmosfere introspettive, malinconiche.
Lo straordinario carisma, l’intenso approccio allo strumento e l’imprevedibilità delle sue acrobazie vocali hanno spinto la critica a paragoni illustri: Nina Simone, Screamin’ Jay Hawkins, Little Richard.
Il suo canto evoca le radici nere del blues tanto quanto l’età d’oro del soul e il magnetismo dei griot.
Il teatro in silenzio, accoglie anime pronte a dissetarsi di musica, una luce lieve si accende sul palco, segue dei piedi scalzi intenti a raggiungere un pianoforte. Posiziona lo sgabello, guarda l’arena e saluta il suo pubblico, lo spettacolo inizia con giochi di note meravigliose che scivolano dai tasti, intona le prime parole inventate e ancora un saluto al pubblico, caloroso e senza distanza, che si ripete in tutto il concerto con una condivisione costante, quasi avesse necessità di ricordare che ogni suono della sua voce è volto alla condivisione, nel senso profondo della musica che unisce e accarezza. La sua voce si mescola alle emozioni, Clementine cerca l’altro mentre canta.
Accarezza i tasti del pianoforte, canta ciò che ha scritto, rivela poesie, inventa parole che non esistono se non nella fantasia che si fa canto, con il suo inconfondibile stile poetico. Lui la musica la conosce bene, impara a suonare il pianoforte a 10 anni, il sax a 22, e la chitarra a 24. Si trasferisce nel capoluogo francese a 18 anni e vivendo tra rifugi temporanei, inizia a suonare per le strade parigine fino ad essere notato da un discografico in metropolitana.
Nel 2012, mentre suonava a un evento durante il Festival di Cannes, incontra Lionel Bensemoun, un magnate francese, il quale gli propone di dar vita all’etichetta discografica ‘Behind’ per poter iniziare a registrare.
Dopo aver firmato un contratto di licenza congiunto tra le case discografiche Capitol, Virgin EMI e Barclay, Clementine pubblica il suo primo EP, “Cornerstone” nel 2013.
Debutta, poi, con l’album d’esordio “At least for now”, uscito nel gennaio 2015 per Universal Music, ricevendo i più sentiti complimenti di Sir Paul McCartney durante una sua performance live al celebre programma della BBC di Jools Holland.
Spesso paragonato ad artisti del calibro di David Byrne, Gil Scott-Heron, Gregory Porter, Kamasi Washington, ma più di tutti come non ricordare attraverso lui la grande Nina Simone.
Nella sua voce ci sono i poeti e la poesia, c’è l’influenza di scrittori e musicisti, ma oltre tutto ciò, come un dono raro, a rendere Benjamin Clementine l’artista che conosciamo, è l’elemento più denso e possente della sua arte, è la sua inimitabile voce, struggente, energica, in grado di toccare il cielo delle note.
Con il suo largo pantalone bianco, a piedi nudi, canta con estrema leggerezza, tutto intorno si dilata di un senso di pace e introspezione, come una divinità tra le pietre della storia di questo teatro, lui è lì, come un’apparizione di bellezza stravagante e semplicissima allo stesso momento.
Basta il primo accenno su un tasto del pianoforte e l’aria è già rapita dal candore di quella voce. Ogni momento è improvvisazione di qualcosa che non è a caso, ma che esisterà senza potersi ripetere. Lieve accenna, oscilla, danza tra suoni e virtuosismi vocali, inizia quel concerto che chi lo ama e conosce, sa che vorrebbe non finisse mai.
I brani si susseguono, uno dietro l’altro, quelli dei suoi dischi, tutto sembra fulmineo, semplice, in realtà è Benjamin Clementine che è capace di rendere la grandiosità del momento, un momento da poter stringere, come sabbia, nel palmo di una mano. Rende melodia il caldo che esso stesso confida di sentire e scherza con il pubblico, si ferma, riparte, è divertente, trascinante, coinvolgente e il pubblico non aspetta altro per applaudirlo, sorridere e ricordargli quanto si ha bisogno di questa musica, di artisti come lui. Ad ascoltarlo nei suoi dischi si è rapiti da un’eleganza profonda, solitaria, malinconica, dal vivo quell’eleganza diventa ancora più dolce, trasformando la malinconia in partecipazione e condivisione.
Il momento più bello è quando insieme al pubblico canta Condolance, riuscendo a rendere dolce la tristezza, necessario il viaggio verso ogni cosa…
E così invita il pubblico nel suo cerchio magico, insieme si canta “Am sending my condolence, Am sending my condolence to fear… Am sending my condolence to insecurities…”
Benjamin Clementine è un cantautore puro, un’anima che sembra venuta su questa terra per irradiarla di una luce divina. A guardare il teatro, incantevole cornice, ci si chiede come sia possibile che sia conosciuto così “poco”, meriterebbe il “successo”, ma ascoltandolo la risposta è chiara come spesso accade dinanzi ai grandi dell’arte: Benjamin Clementine non è per tutti, lui non ha bisogno di altro, come il suo pubblico che egoisticamente spera, di goderselo in concerti intimi e fuori dal rumore della musica assordante mercantile.
Benjamin Clementine è un privilegio, come le pietre di questo teatro, da custodire.
“E’ tempo di riscoprire quelle meravigliose parole cadute in disuso che tuttavia riescono perfettamente a descrivere la nostra umanità…” è tempo che la poesia ancor prima della bellezza, venga sviscerata ed esca da dentro noi stessi. E’ il solo modo per ricostruire questo triste mondo, perso e sempre più cupo, ricrearlo su una tela bianca e “dipingerlo delle nostre poesie…”
“Oggi mi chiedono come mi sento a cantare davanti a una vera audience. Per me è un nonsenso, perché anche i passeggeri del metrò erano veri. Mi sento come sempre: nudo, allo scoperto, vulnerabile – per questo preferisco esibirmi scalzo, fosse per me uscirei anche senza vestiti. Avverto sempre il pubblico, non sono un cantante, sono un espressionista, come Nina Simone. Non m’interessa la hit parade, non indosso Versace per sembrare più figo. Sono come Nick Drake, il cantautore inglese che da vivo tenevano ai margini e oggi è un culto transgenerazionale. Quando muoio voglio che la gente dica, se n’è andato Benjamin, le sue parole mi hanno toccato”.
Testo e foto di Maria Di Pietro