Inaugurata il 6 novembre e visitabile fino all’ 8 dicembre 2019, Palermo presenta UberMauer per la seconda edizione di BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo. Ideata e diretta da Andrea Cusumano vede quest’anno affiancati, in una relazione di altissimo spessore, la Fondazione Merz con il programma “Punte brillanti di lance” e European Alternatives, fondata da Lorenzo Marsili, che porta l’edizione del suo Transeuropa festival 2019 proprio a Palermo e per la prima volta in Italia. La biennale nasce dall’esigenza di approfondire le tematiche legate all’accoglienza, alle relazioni e al dialogo con un’attenzione a quelle culture che si affacciano sul mare. Da sempre i Paesi bagnati dal mare sono stati punti nevralgici di scambi e relazioni e da questa loro apertura ha permesso di assorbire la diversità culturale da questi continui passaggi. Se oggi il mare, in particolare il Mediterraneo, appare come un muro, una barriera geografica, Bam sposta il punto di vista del Mediterraneo come orizzonte umano e non come confine fisico. Ed è proprio sul tema del muro che verte l’edizione della biennale di quest’anno con un titolo che non lascia fraintendimenti: UberMauer (OltreMuro), che rimanda al concetto nietzschiano Ubermensch, in un invito all’inclusione, alla coesistenza e alla necessità dell’apertura verso l’altro. Un monito, in concomitanza con la celebrazione della caduta del muro di Berlino, a non dimenticare che quei muri, come vengono distrutti possono anche essere ricostruiti.
Diciotto artisti con progetti site specific e oltre 60 soggetti tra enti, associazioni e spazi che si occupano di cultura nel territorio, aprono una riflessione fortemente politica e sociale sul tema.
BAM si espande in tutto il quartiere della Kalsa (uno tra i più antichi di Palermo) e porta il visitatore alla riscoperta di quei luoghi — come il Convento della Magione con i suoi innesti arabi e normanni — che trasudano la storia di una città da sempre aperta alle contaminazioni tra culture. Antico e contemporaneo coesistono nell’intento di aprire una riflessione sul valore aggiunto del termine “accoglienza” sia come desinenza politica, che culturale e comunitaria. L’attenzione per la ricerca, legata a tematiche storiche e sociali, ha delineato la scelta degli artisti, come “Europa 11 Novembre 2015” di Francesco Arena che raccoglie in un grande rocchetto di legno 2.100 metri di nastro costituito da migliaia di elementi di scarto recuperati da amici e familiari. 2.100 sono anche i metri di reti metalliche e filo spinato innalzati nel confine tra Slovenia e Croazia proprio l’11 novembre del 2015 per controllare il flusso dei migranti. Arena, attraverso la sua operazione, ci riporta alla memoria tutti quegli episodi passati o recenti della storia che spesso sono stati tenuti nascosti per assenza di giuste motivazioni diplomatiche.

La splendida struttura dello Spasimo accoglie l’opera video dall’artista israeliana Michal Rovner, una delle installazioni più riuscite nel relazionare tra spazio architettonico e opera. Come una marcia funebre un cordone di sagome umane, realizzate dall’artista israeliana Michal Rovner, percorre le mura della navata centrale a cielo aperto. Piccole silhouette umane, tutte uguali, asessuate, unite in questo eterno cammino, scorrono come un testo, una scrittura in movimento senza soluzione di continuità, spezzate solamente dalle sagome di due cipressi mossi dal vento in un andamento continuo e fuori dal tempo che non può non ricondurre alla mente la millenaria questione ebraica.

Sempre negli spazi dello Spasimo sono installati il recentissimo video “Sarah” (2018) e l’istallazione video “Turbulent” (1998) dell’artista Shirin Neshat che con grande forza e raffinatezza esplora da sempre la delicata questione del ruolo che ricopre la donna nella cultura islamica. Perdendosi tra le strette vie del quartiere è possibile imbattersi nella serie di insegne a neon di Claire Fontaine con la scritta “Stranieri Ovunque” in diverse lingue. “Stranieri Ovunque” è il nome del collettivo torinese che, attraverso azioni e attività, combatte ogni forma di razzismo. L’ambivalenza della frase reagisce in maniera diversa a seconda del contesto in cui è collocata, aprendo una riflessione sulla violenza implicita in ogni traduzione.

A Piazza Magione, due muri molto diversi tra loro sono stati innalzati. Uno di Damian Ortega “Talkin Wall” realizzato con fango e terra dal quale, attraverso dei fori, è possibile comunicare con chi si trova dall’altra parte della struttura e quello di Giuseppe Lana “Crossover” realizzato con barriere meccaniche mobili che aprono e chiudono lo spazio circostante. L’opera riporta alla memoria una questione molto dolorosa in Italia legata all’apertura e chiusura delle barriere politiche ma in senso più ampio riporta ai meccanismi di potere che portano l’inclusione o l’esclusione di alcune aree geografiche.


Attraverso un linguaggio poetico l’artista cileno Alfredo Jaar crea una relazione di empatia con lo spettatore ponendolo sul palco del Teatro Bellini e rendendolo attore del mondo che lo circonda. Un’imponente frase realizzata in neon rosso cita le seguenti parole di Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri”. La frase sovrasta la platea fungendo da cornice a una complessa istallazione fatta da vecchie sedie logore che fluttuano nello spazio centrale in un movimento discensionale che porterà molte di queste a terra ammassate in uno stato immobile e silenzioso.

L’istallazione “Tentacles in Sicily: Scratching the Surface” a cura di N38E13 porta il duo berlinese KG AUGENSTERN all’esplorazione dei luoghi abbandonati siciliani in una riflessione sulle possibili trasformazioni di un paesaggio. Collocata all’interno dell’ex Oratorio di Santa Maria del Sabato, lo spazio viene sovrascritto dal movimento circolare dello screatching, producendo un suono che racconta l’essenza impalpabile del luogo in un’indagine sull’esistenza e confini di “paesaggi” dove la presenza/assenza dell’uomo né ha determinato una trasformazione.

E ancora all’attenzione: Spazio Speciale di Ignazio Mortellaro e Michele Tiberio, The Infinity Identity e Gravitas a cura di Dimora Oz, Studio Bellotti di Andrea Masu, Gruppo Pavone e Claudia di Gangi e l’opera partecipativa “The Wall Of Delicacy” dell’artista Giuseppina Giordano, che sarà installata a Piazza Pretoria dal primo dicembre 2019.
Questo è solo un accenno di ciò che è possibile vedere durante la Biennale Arcipelago Mediterraneo, dove una densissima programmazione si snoda tra talk, studio visit, didattica, teatro e musica nell’intento di sviscerare il tema centrale nelle sue svariate desinenze.
Tengo a concludere questo articolo attraverso le parole dell’antropologo Iain Chambers dal suo testo “Transiti mediterranei: ripensare la modernità. Contributi di Alessandro Buffa, Marta Cariello,Tiziana Carlino, Serena Guarracino, pag.16, UNIPress – Università degli studi di Napoli – L’Orientale, 2008”.
“Se pensiamo al Mediterraneo in termini di regione postcoloniale, rileviamo come evidente la polarizzazione delle identità (e delle differenze) che è prodotto della colonizzazione. Nella logica della colonizzazione, infatti, si impone una netta distinzione tra colono e colonizzato, tra ‘soggetto’ e ‘oggetto’. I confini geografici, insieme a quelli storici, devono, in tale logica, essere netti: ecco la distinzione costruita, secondo la logica coloniale, tra Europa e
regioni del Mediterraneo meridionale.
Guardando, invece, attraverso l’apertura operata dalla prospettiva postcoloniale, la nettezza, la pulizia dei confini non è più tale: scopriamo che l’obbligo di appartenere a una sponda o all’altra del mare si dissolve, non è un dato universale né ‘naturale’: si può essere più di una cosa allo stesso tempo, si possono avere più appartenenze, diverse radici coesistenti, più voci che convivono.
Anche i confini, quindi, si ‘sporcano’, si confondono. Si può attivare, con questa prospettiva, un gioco di confusione che restituisce la complessità delle identità umane schiacciate dalla logica della colonizzazione”.
Sasvati Santamaria
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