La Fondazione Musei Civici di Venezia ha inaugurato al Centro Culturale Candiani di Mestre una importante mostra che raccoglie il patrimonio storico artistico dei musei lagunari per esporlo all’interno dell’intera Città Metropolitana di Venezia.
All’interno dell’esposizione oltre ottanta opere provenienti dalle seguenti collezioni veneziane: Ca’ Pesaro, Museo Correr, Ca’ Rezzonico, Museo Fortuny, Museo di Palazzo Mocenigo. Notevole risulta, inoltre, anche la collaborazione della Fondazione MUVE con il MART (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) ed altre collezioni pubbliche e private nazionali ed internazionali.
Il quadro di Gustav Klimt (1862-1918), uno tra i più celebri, Giuditta II ‘Salome’ (1909), venne acquisito dall’allora amministrazione comunale di Venezia – nella persona dell’allora sindaco Vittorio Grimani (1850-1921) – per confluire nelle collezioni della Galleria Internazionale d’Arte Moderna a Ca’ Pesaro. Nel 1910, infatti, l’opera era stata esposta insieme ad altre 22 in un intera sala alla IX Biennale di Venezia.
Se il titolo di questa esposizione ha messo Klimt al centro dell’attenzione insieme, soprattutto, ad un estetismo post-moderno – sulla concentrazione dell’idea iconografica di Giuditta estesa nella storiografia, sopratutto, di immagini intertestuali intese come racconti favolistici rivisitati dalle esperienze visive e percettive dai vari artisti presenti in mostra – risulta vero che raccontare ed esporre una comparazione verbo-visuale, risulta assai spesso difficile.
Non è il caso di questa mostra da titolo ‘ATTORNO A KLIMT – Giuditta, eroismo e seduzione‘, nella quale gli artisti intercettati – quali: Felicen Rops (1833-1898), Eduard Munch (1863-1944), Félix Édouard Valotton (1865-1925), Alberto Martini (1876-1954), Jules Van Biesbroeck (1973-1965), Gaetano Previati (1852-1920), Mariano Fortuny (1871-1949), Egon Schiele (1890-1918), Vittorio Zecchin (1878-1947), Luigi Bonazza (1877-1965), Felice Carena (1879-1966) – dimostrano di dialogare all’interno di un seducente percorso dove il mito giudittiano si trasforma in un simbolo-femminino atto ad entrarne in dicotomia tra gli spazi di paesaggi campestri, arcadici, fino a risolversi in maturate scomposizioni neo-espressioniste ed astratto-decorative.
Altresì importante ed imponente si rivela il grande polittico del muranese Vittorio Zecchin dal titolo Le Mille ed una notte (1914) eseguito in origine per la Sala da Pranzo dell’Hotel Terminus e Viaggiatori a Venezia. Zecchin riesce ad arominizzare la composizione strutturale della narrazione per mezzo di elementi fitomorfi, mimetizzati tra grafismi geometrici, circolari e decorativi; da amanuense contemporaneo fa propria la lezione klimtiana relativa al Secessionismo Viennese inserendola in una revisione iconologica bizantino-veneziana atta a generare nuove fisionomie iconoclaste che si possono rintracciare nel suo cantastorie pittorico.
Mentre ancora la sensualità nell’immagine della post-modernità viene argomentata in mostra con la presenza delle fotografie provenienti dal fondo dell’archivio del Museo Mariano Fortuny che – oltre a testimoniarne una pratica di soggetto – dal 1895 ca. al 1925 ca. Fortuny rappresenta una nuova dimensione della realtà nelle rappresentazioni foto-narrative al pari del cinematografo. La pittura si sposta oltre e sconfina con la fotografia ed i nuovi processi dei mass media.
La mostra a cura di Gabriella Belli, con la collaborazione di Elisabetta Barisoni, è stata inaugurata lo scorso 14 dicembre alla presenza, tra le tante, delle seguenti personalità: Luigi Brugnaro (Sindaco di Venezia), Mariacristina Gribaudi (Presidente Fondazione MUVE Venezia).
Gabriele Romeo
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