Per tutti quelli che “Firenze è una città artisticamente morta”; per tutti quelli che “Firenze è solo la culla del Rinascimento”: in questa rubrica scopriamo e intervistiamo i possibili talenti “in erba” che si stanno formando nel capoluogo toscano. Nel primo appuntamento, incontriamo Debora Piccinini: classe 1989, originaria di Ortona a Mare (CH), diplomata all’Accademia di Belle Arti, borsista presso la scuola d’arte grafica “Il Bisonte”.
A cura di Chiara Lupo
Adriano Bimbi, professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ti ha permesso di partecipare a vari progetti di pittura, vere e proprie residenze d’artista, grazie ai quali ti sei potuta confrontare con temi sempre diversi, artisti e luoghi nuovi da esplorare. Tali progetti, durante e dopo aver frequentato l’Accademia, ti hanno dato la possibilità di partecipare a diverse mostre. Raccontaci un po’ di queste esperienze.
I progetti di pittura mi hanno accompagnata durante tutto il mio percorso accademico e non solo. Ogni anno, durante i tre mesi di pausa estiva dai corsi accademici, io e i miei colleghi ci trasferivamo in diversi luoghi della Toscana, ospiti negli spazi che le istituzioni comunali o religiose gentilmente ci offrivano per la realizzazione di progetti di pittura studiati ogni volta ad hoc. Di certo sono state esperienze fondamentali per il mio percorso artistico, sono cresciuta molto, e ogni volta il tutto si è sempre concluso con una mostra che mi ha permesso a piccoli passi di entrare nel circuito espositivo. Il contatto diretto con il paesaggio mi ha fatto capire l’importanza dello studio dal vero attraverso il disegno, un approccio che poi è diventato costante nel mio modo di lavorare. In queste esperienze è cambiato il mio approccio non solo nei confronti della realtà, ma anche verso il disegno che da esercizio accademico noioso è diventato mezzo necessario e indispensabile per raccontare ciò che mi circonda. Detto così sembra che tutto sia stato molto facile ma esiste anche un’altra faccia della medaglia. Di certo ho dovuto affrontare anche molte difficoltà soprattutto legate ai problemi che si creano quando ti trovi a vivere per mesi in ambienti nuovi, che non ti appartengono, a volte anche ostili, dove alla fine devi pure produrre qualcosa. Non nego che molte volte ho anche pensato di mollare tutto e tornare a disegnare nella comodità di casa ma per fortuna ho sempre continuato fino in fondo, convinta del fatto che sono proprio i momenti difficili a metterti alla prova. Del resto, come dice sempre il mio maestro Adriano Bimbi: << l’è dura la pittura, ma è un’avventura straordinaria>>.
Osservando le tue opere si ha la sensazione di avere a che fare con due grandi “filoni pittorici”. Il primo, con il quale hai iniziato, è quello dei grandi dipinti. Sono immagini intime e appartate di paesaggi e scorci monocromi nei quali raramente appare la figura umana. Il secondo invece, al quale ti sei dedicata negli ultimissimi anni, è quella minuta, fatta di piccolissime nature morte e piccoli ritratti che risentono chiaramente dell’approfondito studio di pittori medievali e rinascimentali. C’è un motivo che ti ha portato a questo cambiamento?
Da uno sguardo generale effettivamente si può parlare di due “filoni pittorici” ma di fatto non è proprio così. Ogni mio grande quadro è sempre preceduto da innumerevoli piccoli studi dal vero, veri e propri processi creativi per me indispensabili per poter realizzare un’immagine di quel tipo. Se però per il paesaggio sento l’esigenza di tradurre questi piccoli studi in grande formato, la cosa è ben diversa per quanto riguarda la ritrattistica, tema prediletto negli ultimi anni, che invece concepisco come una traduzione più intima. Come intimo è il rapporto che mi lega ai soggetti che ritraggo, ogni particolare mi ricorda sempre qualcosa della loro vita.
Certamente questi due “filoni pittorici” sono diversi solo per dimensioni, entrambi raccontano un modo di vedere la realtà. Una realtà traslata, diversa, dove gli oggetti e le persone si collocano in una dimensione che sfugge volutamente alle regole prospettiche a favore di una visione assolutamente personale. Quando dipingi cos’è la cosa che più ti interessa?
Mi interessa la luce che plasma una forma e che crea la sua ombra. La realtà è la mia fonte d’ispirazione che piego alla mia visione poetica delle cose. Mi spiego meglio. Se dovessi dipingere una natura morta disposta su un tavolo la prospettiva tradizionale per me sarebbe limitante perché mi obbligherebbe a sacrificare la visione di alcuni oggetti o elementi del tavolo che mi hanno incuriosito e spinto a dipingerli. In questo senso credo di dipingere una realtà personale.

Cosa ci dici riguardo la tecnica che utilizzi?
Se dovessi far riferimento ai due “filoni pittorici” di cui parli posso dire che per i grandi dipinti prediligo la pittura monocroma, si tratta di grandi disegni su carta montati su tavola o tela, vere traduzioni dei bozzetti preparatori sia per tecnica che per linguaggio. Utilizzo pigmenti, grafite, carboncini e, per creare forme e giochi di luce, la carta stessa tagliata e strappata. Diverso è invece per i piccoli ritratti e nature morte, sempre su carta incisa e strappata, ma in questo caso il colore e i motivi geometrici hanno un ruolo fondamentale.
Adesso vivi e lavori a Firenze. Hai progetti futuri?
Attualmente il mio obiettivo è concentrami sull’incisione per me da sempre procedimento creativo stimolante per la mia pittura.
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