Interviste

Arte ed Elettronica | Intervista a Leonardo Ulian

Classe 1974, di origini friulane, vive a Londra. Leonardo Ulian è sempre stato appassionato di elettronica: l’ha scoperta da bambino, l’ha studiata da ragazzo e ora, da artista, la utilizza come parte integrante della sua produzione.

Technological mandala 25, 2014. Electronic components, copper wire, paper
Technological mandala 25, 2014. Electronic components, copper wire, paper

I tuoi lavori sono minuziosi e armoniosi assemblaggi di materia elettronica, che rimandano molto ai mandala indiani per via della loro composizione e dell’effetto finale. Da un altro punto di vista, potrebbero anche essere visti come sinapsi cerebrali. Ti senti più vicino a un’interpretazione rituale del tuo lavoro, oppure a una più razionale?


Mi sento vicino a entrambe: c’è una ricerca di un’armonia geometrica di forme che comunque serve a rappresentare, come nei mandala tradizionali, un qualcosa che non ha niente a che fare con la razionalità delle cose. C’è poi una certa ritualità nel momento della realizzazione vera e propria del lavoro; sono opere che richiedono un lungo dispendio di tempo ed è li che l’atto creativo dell’assemblare l’opera diventa quasi un momento meditativo.

Microchip, transistor, vibrazioni, sospensioni, orecchie in ferro da “Bianconiglio” e tubi al neon che sembrano bacchette magiche sui generis: l’installazione che hai creato per la mostra “Tesla Remixed” (The Flat_Massimo Carasi, 2015) sembra il tavolo di un laboratorio di Hogwarts. Esiste un substrato alchemico nella tua ricerca o in alcune delle tue opere?

È una ricerca volta a trovare una certa natura intrinseca delle cose, ed è l’oggetto stesso che a volte idealmente mi comunica e mi chiede di essere usato in un certo modo piuttosto che un altro, è una sorta di dialogo surreale con i materiali che mi trovo davanti. Mi affascina il processo di trasformazione delle cose, in inglese mi piace dire, “I like to make things and dismantle others”: nel fare una cosa automaticamente qualcos’altro viene distrutto. Per esempio: mi interessa mostrare quello che non si vede a occhio nudo, tipo le onde elettromagnetiche che ci circondano, per farle poi diventare suoni o colori attraverso l’uso di aggeggi di varia natura elettronica e non; oppure come nell’installazione Quiet rhytmic rush” (https://vimeo.com/44901545) il lampeggiare caotico dei fanali di una bicicletta viene trasformato in un ritmo che assomiglia al suono di una drum machine impazzita.

Installation view of the Tesla remixed exhibition at Massimo Carasi The Flat Gallery, 2014.
Installation view of the Tesla remixed exhibition at Massimo Carasi The Flat Gallery, 2014.

Quiet rithmic rush from Leonardo Ulian on Vimeo.

La materia delle tue opere sembra propagare sottili vibrazioni nel contesto circostante. Hai mai pensato di associarle al suono, ricreando una interazione sonora come avviene nel Theremin (che, tra l’altro, è lo strumento che ha aperto la strada della moderna musica elettronica)?

Il suono è in un certo modo presente nelle mie opere anche se non in maniera diretta. Lo si puo’ vedere in uno dei miei lavori, il “Technological mandala 42, Random relay” con il quale ho realizzato proprio un’installazione di un theremin da me costruito con tre radio AM. In pratica, il mandala era sospeso dal soffitto e collegato tramite un cavetto con tre radio AM che messe insieme e per effetto prossimità, creavano un vero e proprio circuito theremin, e il suono variava a seconda della vicinanza delle persone all’opera. Il theremin è uno strumento che mi ha sempre affascinato non solo perché è stato appunto il precursore dei moderni sintetizzatori, ma anche per il fatto dell’immaterialità della sua natura: suonare il theremin è come scolpire delicatamente l’aria con le mani. Il mio interesse per quanto riguarda il suono è maturato anche attraverso la mia partecipazione a due formazioni musicali: in Italia in un gruppo rock-noise di nome “Ulla” e poi a Londra in una performance band, “The Readers”, dove in entrambe i casi la sperimentazione sonora era alla base del processo creativo e questo approccio si riflette tuttora nella mia produzione artistica.

Random relay - Technological mandala 42
Random relay – Technological mandala 42

In un’intervista hai dichiarato che uno dei tuoi numi tutelari è l’artista tedesco Joseph Beuys. Cosa più ti ha ispirato della processualità mistica e purificatrice del grande “Sciamano dell’Arte”?

Ho apprezzato la sua libertà nell’usare materiali di varia natura senza troppo preoccuparsi della loro permanenza nel tempo e il fatto che, come diceva lui, certe sue opere erano in un costante stato di mutamento…

Hai un curriculum artistico decisamente ricco, tra mostre in gallerie private e istituzioni pubbliche e partecipazioni a fiere internazionali. Quale è stata l’occasione espositiva più avvincente?

La mostra personale da Massimo Carasi mi ha dato la possibilità di mostrare una serie di lavori consolidati della mia fase artistica attuale ed è sicuramente stata un’esperienza importante anche per segnare un punto di partenza e di sviluppo per possibili nuove creazioni future.

Da italiano che vive all’estero, come vedi la situazione del tuo Paese natìo?

Vedo una situazione di estrema difficoltà dovuta a molti fattori, come per esempio la burocrazia, una certa fatica nel voler prendere atto che il mondo sta cambiando rapidamente, e non meno importante, il fatto che è difficoltoso riuscire a fare quello che veramente uno vorrebbe, per svariati motivi. Vivere a Londra mi ha fatto aprire gli occhi su tante cose, e ritengo che sia utile vivere fuori da una certa realtà per poi capirla e apprezzarla meglio. D’altro canto non credo che Londra sia il miglior luogo in assoluto, anzi a volte penso che sia come un gigantesco set cinematografico, tipo quelli dei film Western di una volta, stupendi, maestosi e ispiranti visti dal davanti, poi però giri l’angolo del set e capisci che c’è solo la facciata tenuta su da impalcature, ma manca tutto il resto della struttura… non so se ho reso l’idea… Credo che l’Italia sia piena di ottime realtà, in ogni campo, forse manca la capacità di valorizzarle a dovere.

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Memecult cerca di sondare “immaginari condivisi”, che appartengono alla nostra generazione e che hanno caratterizzato il passaggio al nuovo millennio. Quale è stato l’immaginario, la situazione, la scoperta o l’ispirazione che maggiormente ha influenzato la tua ricerca di artista e che ha segnato un “non-return point” nel tuo percorso?

Da bambino mi ha affascinato l’alone di mistero che aleggiava in tutto quello che era la rivoluzione elettronica degli anni ’80. Per questo motivo ho intrapreso studi inerenti l’elettronica, ma subito ho capito che non era quello che volevo veramente fare nella vita e mi sono in seguito dedicato ad altro, grafica, musica e arte. Mi piaceva il lato inspiegabile dei circuiti elettronici che trovavo all’interno di giocattoli o altri aggeggi che mi capitavano sotto mano. Non riuscivo a capire come un circuito stampato pieno di forme e colori diversi, che ricordava le vie intricate di una città caotica in miniatura, potesse far funzionale una radio, un giocattolo o far accendere giochi di luci. Mi rendo conto che vista con gli occhi di ieri la cosa può essere paragonata quasi ad un esperienza magica, un alchimia…forse il fatto di aver studiato l’elettronica mi ha tolto un po’ di quel mistero. È stato sicuramente questo “non comprendere” e una buona dose di curiosità che condiziona molto il mio percorso artistico in generale.

Serena Vanzaghi

Technological mandala 48 -Eye of Pula, 2015. Materials: Electronic components, copper wire, speakers,
Technological mandala 48 -Eye of Pula, 2015. Materials: Electronic components, copper wire, speakers,

 

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Donkey's ear antenna, 2014
Donkey’s ear antenna, 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

About the author

Serena Vanzaghi

Serena nasce a Milano nel 1984. Dopo gli studi in storia dell'arte, frequenta un biennio specialistico incentrato sulla promozione e l'organizzazione per l'arte contemporanea. Dal 2011 si occupa di comunicazione e progettazione in ambito artistico e culturale.

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