L’unione degli opposti crea il terzo cerchio dell’infinito, o quello che Pistoletto ha chiamato “Terzo Paradiso”. Il simbolo che ha scelto per illustrare il concetto, di grande potenza evocativa, compare inaspettatamente anche in una decorazione a soffitto tardo-settecentesca della Reale tenuta di Carditello, nel casertano. Scopriamo ora come le due opere possono dialogare l’una con l’altra.
Geniale, (ir)razionale e poetica l’idea di paradiso. Suggestivo, inclusivo e in costante movimento ed evoluzione il concetto di Terzo Paradiso (fig.1) partorito nel 2003 dalla mente fervente di Michelangelo Pistoletto. Inusitato, ancora una volta, il collegamento stabilito in questo quinto appuntamento tra opere lontane fra loro nello spazio e nel tempo – oltre che nelle intenzioni – che oggi riescono a ricongiungersi: da un lato, abbiamo per l’appunto la serie di installazioni che l’artista piemontese ha portato in diverse parti d’Italia e del mondo – dalle terme di Caracalla al Louvre (fig.4), oltre a Catanzaro (Parco archeologico di Scolacium), Milano (Piazza Duomo), e poi ancora nello scenografico Forte di Exilles (vicino Torino) (fig.5), a l’Avana, al Palazzo delle Nazioni di Ginevra, a Kuusamo anche (nella Lapponia Finlandese) e addirittura fuori orbita, poiché l’attuale logo della missione spaziale “VITA” (acronimo di Vitalità, Innovazione, Tecnologia e Abilità) è liberamente ispirato al Terzo Paradiso di Pistoletto (fig.2) – e dall’altra una semplice ma elegante decorazione a racemi, che orna il soffitto di una sala della mai abbastanza valorizzata Reggia borbonica di Carditello (figg.3, 11, 12 e 13), a San Tammaro, in provincia di Caserta, che da qualche anno alcuni volontari tentano di far scoprire al pubblico attraverso aperture una tantum (il loro lavoro, sia beninteso, seppur insufficiente, resta encomiabile).





Già da una prima occhiata, è evidente come le due opere in questione (in fig.6) seguano la stessa logica grafica: tre cerchi che si intersecano, di cui quello centrale più grande dei due laterali. È l’evidenza del segno che sa offrirsi prima di tutto nella sua squisita qualità estetica. E se non è possibile rintracciare un’effettiva coincidenza di significato fra il Terzo Paradiso di Pistoletto e la decorazione della Reggia tardo-settecentesca, la somiglianza rimane e le suggestioni sono molteplici.

“Paradiso” è una parola intimamente legata all’idea di giardino, di hortus conclusus, e affonda le sue radici (jeu de mots che capita a fagiolo) nel vocabolo di origine persiana “pairidaeza”, composto da “pairi” (che corrisponde al “peri” greco), cioè “intorno”, e “daeza”, che significa “reparto”, “recinto”, giardino, da cui discendono “paradeisos” (greco) e il latino “paradisus”, sempre connessi all’idea di parco.

Il paradiso quindi, ovunque si trovi, è un luogo a parte e immerso nel verde, proprio come quello che Pistoletto ha voluto ricreare, ad esempio, all’interno del bosco di S. Francesco ad Assisi, ai piedi dell’ingresso principale a questo sito naturalistico gestito dal FAI: 121 ulivi, piantati dallo stesso artista, disposti a doppio filare in modo da creare un’opera magnifica di Land Art ben visibile dall’alto e percorribile dall’interno (fig.8), ulteriormente rafforzata nella sua idea di comunione tra terreno e ultraterreno dall’asta in acciaio inox di 12 metri, conficcata al centro del cerchio più grande (figg.9 e 10), che dilata all’infinito e celebra questa unione ritrovata. Basta mettersi con il mento appoggiato sull’asta metallica, guardare in alto e l’immagine del cielo riflessa dalla sua superficie specchiante sembrerà estendersi all’infinito.


Paradiso è bosco. Come quello che in origine doveva circondare la sontuosa magione di Carditello, fatta costruire nel 1787 da Ferdinando IV di Borbone e il cui nome sarebbe da ricondursi al cardo, questa specie di carciofo, riprodotto all’interno della Reale tenuta in numerose decorazioni a stucco (fig.11), che in passato costituiva uno strumento utilissimo in mano ai lanaioli, che ci “pettinavano” la lana.
Come sono cambiati i tempi, ora che la Reggia soffre la solitudine e l’incuria ma chissà che un giorno a Pistoletto non venga in mente di allestire anche qui il suo Terzo Paradiso, da lui definito come «il nuovo mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità in questo frangente epocale». L’idea di arte come azione, come concreta possibilità di miglioramento del mondo è molto forte in Pistoletto e dobbiamo rendergliene merito. In fondo è proprio così: ognuno può fare la sua parte.

E se il paradiso tradizionale ha un forte limite, quello cioè di presentarsi sostanzialmente come un “non-luogo”, un luogo ideale, perfetto in tutta la sua astrazione e inverosimiglianza, sacro e quindi separato, il Terzo Paradiso conserva invece la sua sacralità solo se è inserito nel contesto in cui viviamo. La rivoluzione da mettere in atto è proprio questa: rendere luoghi abbandonati e vittime del degrado i nuovi spazi di congiungimento tra presente, passato e futuro, tra l’io, il tu e il noi, tra la mente (tecnologica), la natura (generosa) e la spiritualità (misteriosa sì ma fondamentale).
«Non sono filosofo, ma questo so: nel nostro tempo troppo pieno di sé e delle sue conquiste, in questa nostra società in cui sembra che il destino di qualsiasi attività sia generare ricchezza, soddisfare desideri per lo più superflui, abbiamo dimenticato un bisogno, tanto essenziale quanto mangiare o bere: ABITARE UN MONDO DOTATO DI SENSO. Parlo naturalmente del nostro bisogno di spiritualità». Jorn de Précy, “E il giardino creò l’uomo”. Era solo il 1912 e questo islandese aveva già capito tutto.
Lorenza Zampa


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